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periferie controcorrente

Sulle benedizioni gay l'Africa fa muro lasciando una breccia

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Per le conferenze episcopali del Continente Nero benedire le coppie omosessuali andrebbe contro la cultura africana (e se questa domani mutasse?). L'argomento è debole ma l'opposizione a Fiducia supplicans è netta.

Ecclesia 13_01_2024
Credit: STEFANO CAROFEI - IMAGOECONOMICA

L’Africa si costituisce, nel suo complesso, come zona franca rispetto a Fiducia supplicans. È questa la sostanza della lettera pubblica che il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) ha resa nota giovedì 11 gennaio (qui un riassunto). Pur riaffermando con forza la propria comunione con papa Francesco, i vescovi africani ritengono che le benedizioni extra-liturgiche sdoganate da FS non s’hanno da fare.

Una lettera che riassume il giudizio che, giorno dopo giorno, le diverse Conferenze Episcopali africane hanno espresso sulla possibilità di benedire le coppie omosessuali: «Le Conferenze Episcopali generalmente preferiscono – ogni Vescovo restando libero nella sua diocesi – non impartire benedizioni alle coppie dello stesso sesso. Questa decisione nasce dalla preoccupazione per la potenziale confusione e scandalo all’interno della comunità ecclesiale».

Il cardinale Ambongo ha fatto leva sull’inopportunità di queste benedizioni, perché, ha spiegato, «nel nostro contesto, ciò causerebbe confusione e sarebbe in diretta contraddizione con l’etica culturale delle comunità africane». Il presule ha altresì ribadito l’insegnamento costante della Chiesa che «descrive gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” (…) e contrari alla legge naturale».

Prima, ovvia, considerazione. Questa lettera del Presidente del SECAM mette ulteriormente in luce la curiosa fretta con cui papa Francesco e Fernández abbiano voluto pubblicare un documento su un tema così delicato. Se si pensa che un intero continente ha reagito fin da subito, mettendo in luce la confusione e lo scandalo che un’implementazione della Dichiarazione comporterebbe nei propri territori pastorali, si può comprendere quanto sia stata contro ogni buon senso e ogni norma di prudenza la pubblicazione della Dichiarazione del 18 dicembre scorso. Ma non solo l’Africa ha fatto presente il problema: i vescovi di Kazakhstan, Polonia, Ucraina, Ungheria, Haiti ed altri singoli vescovi hanno bandito dalle proprie aree l’applicazione di FS per ragioni simili.

Questa situazione mette a nudo quale idea abbia realmente il Papa sulla sinodalità della Chiesa: è un manto con il quale dare l’impressione di voler essere attenti alla voce di tutti, ma solo quando questo è funzionale a mettere in discussione quanto nella Chiesa è già stato definito e stabilito. Se invece si ha il sentore che la sinodalità non vada nella direzione giusta, che il popolo di Dio non sia ancora stato raggiunto e forgiato dallo “spirito”, allora si agisce d’imperio, senza nemmeno premurarsi di tastare prima il sentire dei vescovi. O forse, proprio perché questo sentire non favorevole lo si ha ben presente. FS è dunque un atto d’imperio, l’imposizione di una volontà arbitraria, senza alcun fondamento nella Rivelazione, autenticamente interpretata dal Magistero, una volontà che, in barba alla “sinodalità della Chiesa”, è uscita come un fulmine a ciel sereno.

Una seconda riflessione riguarda gli argomenti di questa lettera del cardinale Ambongo; si tratta in sostanza di giustificare la propria posizione, facendo riferimento all’«etica culturale» delle comunità africane o al linguaggio sottile della Dichiarazione. Quanto a quest’ultimo, è d’uopo precisare che, se di sottigliezze si deve parlare, allora trattasi di sottigliezze sofistiche, preparate ad arte precisamente per confondere i lettori.

La questione più importante rimane però l’affermazione che FS non possa essere accolta perché incompatibile con la cultura africana. Una strategia simile a quella dell’arcivescovo maggiore di Kyiv, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk (vedi qui), che si appellò alla particolarità del Diritto delle Chiese Orientali e al significato delle benedizioni per le medesime. Scelta comprensibile da un punto di vista di strategia territoriale, ma che ha l’effetto, nemmeno tanto indiretto di inquadrare la resistenza a FS sulla base di una sorta di federalismo ecclesiale, anziché di una opposizione sul principio inaccettabile della benedizione delle coppie che vivono more uxorio o di quelle omosessuali.

Con questa strategia, il cardinal Ambongo sceglie di rimanere nei perimetri di libertà concessi dal cardinal Fernández nel Comunicato stampa del 4 gennaio:  «La prudenza e l’attenzione al contesto ecclesiale e alla cultura locale potrebbero ammettere diverse modalità di applicazione, ma non una negazione totale o definitiva di questo cammino che viene proposto ai sacerdoti».

Questo appello alla cultura africana appare tuttavia debole. Se un domani la cultura africana, sotto la spinta dell’ideologia arcobaleno, dovesse essere più “aperta”, che cosa accadrà? O se dal Papa dovesse venire la richiesta di promuovere nelle Chiesa d’Africa delle iniziative per essere più fattivamente “accoglienti” verso le convivenze omosessuali e promuovere gradualmente l’accettazione di FS? Ma soprattutto: perché dovrebbe essere solo una questione di cultura africana? Quando dei fedeli ivoriani assistono alla benedizione di due omosessuali conviventi, vedono forse qualcosa di diverso da quanto vede un francese? Essi comprendono quel segno sacramentale esattamente come lo comprende un cattolico europeo. E, proprio per questo, entrambi subiscono lo scandalo, che non è – è bene ricordarlo – un semplice moto di indignazione (che forse uno potrebbe avere e l’altro no, a seconda appunto dei contesti culturali), ma il fatto di trovarsi di fronte ad un comportamento che di per sé costituisce una spinta al male, a compierlo o ad approvarlo.

Se qualcuno punta un coltello alla gola di un’altra persona, quel gesto vuol dire la stessa cosa in Camerun, in India o in Cina; e sarebbe ridicolo protestare che in realtà non si traccia di una minaccia di morte, per il fatto qualcuno ha scritto un documento pieno di sottigliezze per spiegare che quel gesto è in realtà un atto di accoglienza. Il gesto di benedire, in quanto coppie, chi vive la propria sessualità al di fuori del matrimonio o persino contro natura, non è accettabile in se stesso, per il senso oggettivo della benedizione e della coppia, e non perché il documento che lo supporta utilizza un linguaggio «troppo sottile perché venga compreso dalle persone semplici».

Quell’inciso della lettera, «ogni Vescovo restando libero nella sua diocesi», pone pericolosamente la premessa per l’inizio di uno sgretolamento interno anche al continente africano, e soprattutto manca il punto centrale della questione, per cui nessun vescovo, nemmeno quello di Roma, può autorizzare quanto espresso in FS. La Dichiarazione, in quanto afferma la possibilità di benedire coppie “irregolari” o conviventi omosessuali, è per questo irricevibile, come hanno chiaramente espresso il cardinale Robert Sarah (qui) ed il cardinale Gerhard Müller (qui).



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