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Suicidio assistito, il Piemonte boccia la proposta dei radicali

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Il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato la pregiudiziale di costituzionalità sulla proposta “Liberi subito”, bloccando così il tentativo dei radicali di accelerare e normalizzare il suicidio assistito a livello regionale.

Vita e bioetica 23_03_2024
Palazzo Lascaris (foto dal sito del Consiglio regionale del Piemonte)

Dopo il Veneto, anche il Consiglio regionale del Piemonte ha stoppato la proposta “Liberi subito” con cui l’Associazione Luca Coscioni sta tentando di forzare la mano alle Regioni in tema di suicidio assistito. Ma se nel caso del Veneto, dove il governatore Luca Zaia si trova schierato sul fronte pro-eutanasia, lo stop era arrivato per un solo provvidenziale voto (che ha comportato il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta), per il Piemonte il margine è stato molto più ampio. E diversa è stata la modalità con cui si è respinta la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dai radicali e il cui titolo ufficiale è: “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”.

La bocciatura della proposta di legge è giunta infatti grazie al voto sulla pregiudiziale di costituzionalità, presentata dal presidente del Consiglio regionale, Stefano Allasia (Lega), e approvata alla luce di 23 sì, 12 no, un astenuto e un non partecipante al voto.

Come ha riassunto lo stesso Allasia nell’illustrare la pregiudiziale di costituzionalità, la proposta dei radicali, «sottoscritta da oltre 11 mila cittadini, ha ricevuto, caso unico da quando è stata istituita, parere non unanime di ammissibilità da parte della Commissione di garanzia, successivamente confermato dall’Ufficio di Presidenza e dall’Aula, prima di cominciare il proprio iter in Commissione Sanità, dove sono state svolte diverse audizioni». Ma nel corso di questo iter si è avuta una conferma ufficiale dei problemi che già si sapevano, appunto quelli di costituzionalità. Infatti, come ha aggiunto Allasia nella sua relazione, «contemporaneamente l’Avvocatura dello Stato, richiesta di un parere pro veritate da parte della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative regionali, ha sottolineato la presenza di ampi elementi che potrebbero portare a impugnare la proposta di legge regionale per difetto di competenza, che la stessa sentenza della Corte costituzionale ribadisce quando auspica che sia il legislatore nazionale a legiferare in materia».

Il riferimento è alla sentenza 242/2019 (relativa al cosiddetto “Caso Cappato”), con cui la Consulta ha depenalizzato l’aiuto al suicidio quando ricorrono fondamentalmente quattro requisiti: una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, con una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dalla persona stessa, la quale sviluppa in modo libero il proposito di suicidarsi.

Forte del parere dell’Avvocatura dello Stato e delle stesse indicazioni della Consulta, il presidente del Consiglio regionale del Piemonte ha quindi concluso la sua relazione sulla pregiudiziale di costituzionalità spiegando che la proposta dei radicali viola l’articolo 117 della Costituzione, perché la materia del contendere rientra nella legislazione esclusiva dello Stato.

Secondo un copione già visto in altre regioni, i favorevoli alla proposta di matrice radicale hanno tentato da un lato di sostenere la necessità del provvedimento e dall’altro di minimizzarne la portata. Ad esempio, Maurizio Marello (Partito democratico) ha definito «totalmente infondata» la questione sull’incostituzionalità, «dal momento che il provvedimento non intende stabilire il diritto al suicidio medicalmente assistito ma individuarne tempi, modalità e procedure per quanto riguarda le Asl. Lo Stato, infatti, ha già legiferato in materia – ha aggiunto l’esponente del Pd – non con una legge del Parlamento ma attraverso la sentenza della Corte costituzionale, che dichiara illegittimo parte dell’articolo 580 del Codice penale».

Ma a questo proposito va ricordato prima di tutto che il problema sta proprio nella sentenza 242/2019 della Corte costituzionale (vedi qui un approfondimento della Bussola) che ha depenalizzato, in buona parte, una pratica contraria alla dignità umana, minando il diritto che è alla base di tutti gli altri: il diritto alla vita. E lo ha fatto evidentemente arrogandosi una funzione, quella legislativa, che la Costituzione non le assegna. Dunque, è vero che il suicidio assistito è già possibile, a determinate condizioni, in Italia, ma rimane sempre sbagliato. Allo stesso tempo, è chiaro che l’eventuale approvazione di una legge a livello regionale – fatta salva una possibile impugnazione da parte dello Stato – andrebbe a peggiorare il quadro, propagando una cultura di morte e accelerando le procedure per il suicidio assistito. Altro che minimizzare: tutto questo andrebbe contro le necessità dei malati, favorendo soluzioni eutanasiche anziché di cura. Una perversione della medicina in piena regola.

Se si avesse davvero a cuore di alleviare le sofferenze dei malati, si investirebbe per esempio sulle cure palliative. Le quali, laddove vengono applicate, riducono drasticamente le richieste di eutanasia e suicidio assistito.



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