Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PIANO INCLINATO

Finché eutanasia non ci separi, in Olanda baratro senza fine

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Tiene banco l’eutanasia «mano nella mano» dell’ex premier olandese Dries van Agt e della moglie Eugenie. Una tendenza, l’eutanasia di coppia, in crescita nei Paesi Bassi. Insieme un’offesa contro la sacralità della vita e del matrimonio.

Vita e bioetica 13_02_2024
Eugenie e Dries van Agt (licenza CC0 1.0 universal)

Sta facendo il giro del mondo la notizia dell’eutanasia di coppia riguardante l’ex primo ministro olandese Dries van Agt e la moglie Eugenie, entrambi di 93 anni. I due coniugi, sposati dal 1958, sono morti «insieme e mano nella mano» lunedì 5 febbraio. Il funerale si è poi svolto in forma privata. A riferirlo il sito di The Rights Forum, un’organizzazione filopalestinese fondata da van Agt nel 2009.

Van Agt era nato in una famiglia cattolica e, dopo aver lavorato come avvocato e docente, era entrato in politica nel Partito Popolare Cattolico, poi evolutosi nell’Appello Cristiano-Democratico. Aveva in seguito ricoperto cariche diplomatiche. Noto per la sua arte oratoria e anche per i suoi discorsi complicati, col passare degli anni aveva assunto posizioni sempre più progressiste.

Nel 2019 aveva subito un’emorragia cerebrale, dalla quale si era in parte ripreso, ma senza più riuscire ad avere l’eloquenza e la lucidità di un tempo. Anche la salute della moglie, secondo quanto riporta il Rights Forum, «peggiorava costantemente». Come del resto è piuttosto normale che sia, a un’età sopra i 90 anni. A proposito della scelta dell’eutanasia, Gerard Jonkman, direttore del Rights Forum, ha dichiarato che Dries ed Eugenie «non potevano vivere l’uno senza l’altra». Parole che oggi potrebbero essere approvate dai più, ma che in realtà, riferite al contesto della scelta di morte fatta dai due coniugi, testimoniano il sempre più grande guaio odierno, di sentimenti slegati dalla retta ragione, dunque dal vero bene.

L’eutanasia di coppia non è una novità nei Paesi Bassi. Essa è registrata nella relazione annuale della commissione per l’eutanasia da almeno il 2020, quando vi hanno avuto accesso 13 coppie; numero salito a 16 nel 2021 e a 29 nel 2022. Si tratta ancora di una piccola percentuale sul totale di morti per eutanasia in Olanda, pari a 8720 nel 2022, cifra enorme che equivale a più del 5% di tutti i decessi del Paese. Fransien van ter Beek, presidente di una fondazione pro-eutanasia (NVVE), afferma che sono molte le persone che chiedono l’eutanasia di coppia, ma essa «non succede molto spesso, perché non è un percorso facile». I requisiti per accedere alla “dolce morte”, falsamente detta, vanno infatti posseduti dalla singola persona; e la legge richiede, di base, che il paziente sperimenti una sofferenza insopportabile senza alcuna prospettiva di miglioramento. Criteri già di per sé molto arbitrari e peraltro applicati in un contesto, come quello olandese, dove l’eutanasia, entrata in vigore nel 2002, ha allargato progressivamente le sue maglie, includendo minori di età, malati mentali e perfino semplici depressi (si ricordi la povera Noa). Di questo passo, nella logica del piano inclinato e di una società che rifiuta la croce, è chiaro che anche l’eutanasia di coppia è destinata a radicarsi nella mentalità dominante e spazzare via gli ultimi “paletti”.

Non c’è solo il peccato grave contro il quinto comandamento, perché a uscire direttamente colpito da questa mentalità è anche il sacramento del matrimonio, in vario modo offeso e sminuito. La promessa di essere, «con la grazia di Cristo», sempre fedeli al proprio coniuge «nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita» viene accantonata e sostituita dall’ingannevole sentimentalismo di cui dicevamo, sganciato dal bene proprio e dell’altro, dal sacrificio reciproco in vista di una comune santificazione, che è la vocazione propria di questo sacramento.

È un sentimento piuttosto comune, tra coniugi che si amano, il desiderio di morire insieme, ma questo desiderio è ordinato solo se vissuto in accordo alla volontà di Dio. Senza bisogno di andare troppo indietro nel tempo, si può ricordare l’esempio dei genitori di santa Gianna, Alberto e Maria Beretta, che «quando si sono sposati avevano recitato una preghiera in cui chiedevano a Dio di morire insieme. Non potevano immaginare la loro vita separati l’uno dall’altra» (testimonianza del figlio, don Giuseppe Beretta, in L’amore più grande. Santa Gianna Beretta Molla, di G. Pelucchi). I due coniugi morirono entrambi nel 1942, di morte naturale, uno quattro mesi dopo l’altra. Una vita coniugale vissuta con Dio al centro, dall’inizio alla fine, nella consapevolezza che la nostra vita appartiene a Lui.

Tutto l’opposto, insomma, del paradigma ateo che si sta imponendo ai giorni nostri, che alla dipendenza dal nostro Creatore e alla preghiera – anche per il supremo momento della morte, dove l’anima di ognuno gioca l’ultima battaglia per la propria sorte eterna – sostituisce l’autodeterminazione. Ossia l’idea diabolica per cui la legge dell’io debba prevalere su quella di Dio.



CULTURA DI MORTE

Noa, la ragazza suicida a cui bisognava ridare la speranza

Al di là delle modalità concrete che hanno permesso a Noa Pothoven di morire, va detto che alla 17enne olandese doveva essere innanzitutto impedito di realizzare il proposito suicida, anche con l'intervento coattivo per mantenerla in vita. Il problema è la cultura di morte, fondata sull'autodeterminazione, che è sorella delle stesse violenze sessuali poiché poggia su un'idea di libertà senza limiti. Mentre per Noa serviva il balsamo indicato dal Papa: che ci si prendesse cura di lei, ridandole speranza.

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