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CULTURA DI MORTE

Noa, la ragazza suicida a cui bisognava ridare la speranza

Al di là delle modalità concrete che hanno permesso a Noa Pothoven di morire, va detto che alla 17enne olandese doveva essere innanzitutto impedito di realizzare il proposito suicida, anche con l'intervento coattivo per mantenerla in vita. Il problema è la cultura di morte, fondata sull'autodeterminazione, che è sorella delle stesse violenze sessuali poiché poggia su un'idea di libertà senza limiti. Mentre per Noa serviva il balsamo indicato dal Papa: che ci si prendesse cura di lei, ridandole speranza.

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Vita e bioetica 06_06_2019

A volte arriva l’inverno prima che sia sbocciata la primavera. La diciassettenne olandese Noa Pothoven è morta domenica scorsa nel salotto di casa sua, dopo aver deciso di non mangiare e bere più. Noa era gravemente depressa e aveva sofferto di stress post-traumatico e anoressia dal momento che aveva subito violenze sessuali all’età di 11 e 12 anni e poi a 14 anni: si è tolta la vita perché altri, anni prima, le avevano tolto la vita dell’anima. La ragazza non si era più ripresa da quell’indicibile trauma e aveva pubblicato la sua storia nel 2018 nel libro autobiografico "Vincere o imparare".

Aveva iniziato una battaglia legale per vedersi riconosciuto il diritto all’eutanasia, dato che in Olanda anche i minori dai 12 anni in su possono essere uccisi. Ma i suoi sforzi erano risultati vani. Ciò detto, per una depressa grave a cui viene rifiutata l’eutanasia legale, c’è una decina di persone nelle stesse condizioni in Olanda che invece riescono a ottenerla. Nel 2017 il 4,4% di tutti i decessi avvenuti nel Paese dei tulipani è da addebitarsi a pratiche eutanasiche.

Noa, in un’intervista al quotidiano Ad, aveva dichiarato: «Volevo morire. Non ne potevo più di vivere. Per anni sono passata da un ospedale all'altro a causa di gravi problemi psichici. Depressione, tentativi di suicidio, anoressia, autolesionismo. Trenta ricoveri in centri specializzati dove indossavo solo un abito di una stoffa che non si poteva strappare. Disperata, mi sono rivolta alla Clinica per la fine della vita chiedendo l'eutanasia. Mi hanno risposto di no perché sono troppo giovane: devo superare il trauma a causa di una violenza subita con un completo tragitto di cura, sino a quando il mio cervello sarà completamente sviluppato, non prima dei 21 anni. Sono devastata perché non posso aspettare così a lungo».

Una settimana fa su Instagram il suo ultimo post: “Un triste ultimo post. Ho esitato a lungo, ma ho deciso di pubblicarlo. Il mio piano era pronto da molto tempo quindi non è impulsivo. Vado dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. Dopo anni di battaglie, il combattimento è finito. Ora ho smesso di mangiare e bere e dopo molte discussioni e conversazioni è stato deciso che sarò lasciata andare perché la mia sofferenza è insopportabile. È finita. Non sono stata davvero viva per così tanto tempo, sopravvivo, e nemmeno quello. Respiro ancora, ma non sono più viva. Sono ben curata, ottengo sollievo dal dolore e sono con la mia famiglia tutto il giorno (sono in un letto d'ospedale nel soggiorno). Sto salutando le persone più importanti della mia vita". E infine: "Va tutto bene. Non cercare di convincermi che questo non è buono, questa è la mia decisione ed è definitiva. L'amore è lasciare andare, in questo caso... Amore da Noa”.

C’è ancora mistero sulle modalità concrete che hanno permesso a Noa di morire. Forse parallelamente al processo di decadimento prodotto dalla mancanza di idratazione e nutrizione, che poi l’ha portata a morire, c’è stata l’assistenza palliativa dei medici, presenti al momento del decesso. Dunque, dal punto di vista morale si tratterebbe di aiuto al suicidio, perché le pratiche palliative sarebbero state prestate proprio per rendere meno doloroso il trapasso e quindi agevolarlo. Il suicidio assistito è una delle molteplici modalità per praticare l’eutanasia.

Ma alla fine sono solo tecnicismi. Gli aspetti dolorosamente importanti di questa vicenda sono altri. Primo: al di là di ciò che prescrive la legge olandese, alla ragazza doveva essere impedito di realizzare il proposito suicidario. Vero è che i parenti e i medici hanno tentato di tutto, cercando di persuaderla, ma, dato che la persuasione non aveva funzionato, sarebbe stato giustificato l’intervento coattivo per mantenere in vita la ragazza. Parimenti, ad esempio, si forzano giustamente le ragazze anoressiche a mangiare. Se una persona depressa vuole lanciarsi nel vuoto da un cornicione è lecito e, nella stragrande maggioranza dei casi, doveroso impedire anche con la forza quel gesto insano. Ovviamente questo è valido anche se il tentato suicida non è depresso, perché ogni gesto suicida è irragionevole.

Secondo aspetto da mettere in luce: i medici non solo non sono intervenuti per evitare la morte di Noa, ma addirittura l’hanno agevolata nel suo proposito. Veniamo al terzo aspetto. Nella percezione collettiva ciò che ha impressionato in questa storia sono alcuni fattori tra loro congiunti: i motivi di carattere psicologico e la non presenza di patologie che riguardavano il corpo, la giovane età della ragazza, il fatto che non avesse i requisiti di legge per morire, le cause della sua depressione, cioè le violenze subite.

Riguardo al primo aspetto occorre sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi la richiesta di eutanasia è motivata da sofferenze psicologiche e non da dolori fisici. Infatti questi ultimi con le cure palliative e le terapie antalgiche possono essere debellati o comunque resi assai tollerabili, come ha testimoniato la stessa Noa: “Ottengo sollievo dal dolore”, ha scritto prima di morire. Dunque, anche il paziente oncologico terminale chiede l’eutanasia perché prostrato psicologicamente dal suo stato e perché non vuole consumarsi la mente nell’attesa dell’ora fatale. Questo vuol dire che, se proviamo sconcerto per le motivazioni che hanno portato Noa a suicidarsi, dovremmo assumere il medesimo atteggiamento anche nei confronti della maggior parte di coloro che vogliono chiudere gli occhi per sempre.

In merito all’età, come accennato, anche i minori possono accedere all’eutanasia, occorre però che siano affetti da sofferenze intollerabili, senza prospettive di miglioramento e senza altre soluzioni per eliminare le sofferenze: requisiti, questi ultimi due, forse ritenuti assenti nel caso di Noa. Dai 16 anni in su non serve nemmeno il consenso dei genitori per poter morire. Perciò il turbamento che ha colto molti nel leggere questa notizia, dovrebbe riguardare non solo il caso di Noa, ma anche altri analoghi legittimati dall’ordinamento olandese e la stessa legge sull’eutanasia lì vigente (a margine: anche la nostrana legge 219 permette l’eutanasia dai zero anni in su). In altri termini, perché inorridire per Noa e non per l’anziano, anch’egli depresso perché malato terminale di cancro, che chiede e ottiene l’eutanasia? Non si tratta sempre di voler morire?

Questa diversa risposta emotiva delle persone ci fa comprendere che nella testa di molti alberga l’idea che ci sia un’eutanasia cattiva, quella praticata su belle ragazze sane fisiologicamente ma malate nell’anima, e quella buona, quella praticata su macilenti anziani o deformi disabili. Pare che il giudizio morale sia influenzato non poco dal giudizio estetico sulla vita dei richiedenti la “dolce morte”.

Relativamente alla mancanza dei requisiti, i paletti nelle leggi ingiuste sono fatti per essere divelti. Infatti, perché negare la morte a una ragazza solo perché potrebbe riprendersi? Se il principio cardine è l’autodeterminazione intesa in senso assoluto, laddove la persona abbia deciso di morire nonostante ci sia la possibilità, come per Noa, di vivere un domani migliore, perché non accogliere questa sua decisione? La prospettiva del giudizio morale dovrebbe in realtà essere diversa: poco importa che il caso di Noa presentasse o non presentasse i requisiti per poter morire, ciò che fa problema è consentire l’eutanasia. Accettato questo principio, anche i casi come quelli di Noa prima o poi avranno le carte in regola per accedere all’eutanasia.

In merito alle violenze sessuali, c’è da rammentare che gli abusi su minori ed eutanasia sono fratelli della stessa madre: il concetto di libertà intesa in senso assoluto, cioè senza limiti. Come la mia libertà sessuale non deve conoscere limiti, né in merito all’orientamento, né in merito alle pratiche sessuali, né in merito ai soggetti con cui ho una relazione – semaforo verde dunque anche a pedofilia ed efebofilia – così anche la mia libertà su cosa fare della mia vita biologica non deve conoscere ostacoli. Inoltre, abusi su minori ed eutanasia hanno un altro tratto in comune: come l’abuso segna indelebilmente la persona per tutta la vita, ma nonostante questo un percorso di recupero è sempre possibile, così la decisione di Noa di uccidersi, contro la volontà dei genitori, segnerà per sempre le vite di costoro.

Chiudiamo indicando il balsamo necessario per i casi analoghi a quello di Noa, chiudiamo con le parole del Papa che così ha commentato questa triste vicenda: “L'eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza".