Veneto, stop (salutare) alla legge sul suicidio assistito
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Fallita per un voto l’approvazione dei primi due articoli, il Consiglio regionale del Veneto ha rinviato in commissione il testo promosso dall’Associazione Coscioni. Centrodestra spaccato, con Zaia in salsa radicale. La cura del malato da recuperare.
Stavolta possiamo parlare di pericolo scampato. Per un voto. Nella seduta di ieri, il Consiglio regionale del Veneto ha votato il rinvio in commissione del progetto di legge di iniziativa popolare promosso dall’Associazione Luca Coscioni e intitolato “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”. Se la proposta dei radicali (firmata da 9.062 cittadini) fosse passata, il Veneto della coalizione di centrodestra – guidata dal presidente Luca Zaia e spaccata per l’occasione – avrebbe avuto il triste record di prima regione italiana ad approvare una legge sul suicidio assistito, sebbene sarebbero rimasti pendenti possibili conflitti di competenza con lo Stato.
Il primato, almeno per ora, è dunque sfumato. Alla votazione sui primi due articoli (su cinque complessivi) del progetto di legge si sono registrati 25 sì, 22 no, 3 astenuti e un assente, in realtà un indeciso uscito dall’aula per far abbassare il quorum. Ma nemmeno questo stratagemma è bastato ai favorevoli al testo per avere la meglio: era necessaria la maggioranza assoluta, 26 voti, fallita appunto per un voto. Da lì si è decisa una riunione dei capigruppo con l’ufficio legislativo, anche per chiarire i dubbi interpretativi sulla votazione, e quindi si è votato (38 favorevoli, 13 assenti) per il rinvio in commissione.
Ma dicevamo della spaccatura nel centrodestra. Il testo dei radicali poteva contare sul favore del presidente della Regione e di parte dell’intergruppo Lega - Liga Veneta - Zaia (30 consiglieri, quasi tre quarti di quelli dell’intera maggioranza), mentre si sono opposti Fratelli di Italia e Forza Italia. Favorevoli al testo le opposizioni, tra cui quasi tutto il Pd, con la lodevole eccezione di Anna Maria Bigon che, secondo quanto riporta Il Gazzettino, ha dovuto resistere ai tentativi dei vertici del suo partito volti a convincerla a non parlare e non votare contro. Invece, la Bigon non solo ha votato contro il testo, ma ha sottolineato due punti importanti, quello della competenza e soprattutto quello di offrire ai malati delle vere alternative all’idea di suicidarsi: «Bisogna potenziare le cure palliative, ho presentato un emendamento al Bilancio, erano 20 milioni, ma è stato bocciato! Perché si è scelta questa scorciatoia? Perché Zaia non si è rivolto al Parlamento o perché non ha fatto una delibera di giunta per disciplinare i tempi? Perché sa benissimo che la competenza è statale e l’unica cosa che possiamo fare è investire sulle cure palliative», ha aggiunto la consigliera regionale.
C’è chi ha deciso dopo una lunga riflessione, come Elisa Venturini, capogruppo di Forza Italia, che ha detto di aver condiviso la decisione con il segretario nazionale Antonio Tajani e motivato così il suo no: «Le audizioni mi sono state utili, rispondo alla mia coscienza». Tra i contrari anche il presidente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti (Liga Veneta), che teme la possibilità di un allargamento delle maglie del suicidio assistito (peraltro già ampie), tale da aprire questa strada «anche a chi soffre di depressioni, come è successo in Belgio».
Zaia, da parte sua, ha da un lato spinto per l’approvazione e dall’altro tentato strategicamente di minimizzare la portata del voto, argomentando che «il Consiglio regionale non autorizza nulla» – sottinteso, nulla di nuovo – «per il semplice fatto che il percorso sul fine vita è già stato definito dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, che ha garantito il suicidio medicalmente assistito in presenza di quattro requisiti», ossia quando una persona è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, in presenza di una patologia irreversibile, con sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dalla persona stessa, che sviluppa in modo autonomo e libero il proposito di suicidarsi (cfr. sentenza 242/2019 Corte Cost.). Vero che il peccato originale in fatto di suicidio assistito è la sentenza della Consulta (qui un approfondimento) e prima ancora, sul fronte più generale della morte procurata, la Legge 219/2017 (sulle Dat), ma un’eventuale approvazione del progetto di legge in Veneto avrebbe certamente peggiorato il quadro, diffondendo ulteriormente la cultura eutanasica e accelerandone le relative procedure. Anche perché, logicamente, se non cambiasse nulla, l’Associazione Luca Coscioni non si prenderebbe tutta questa briga di promuovere il testo in ogni regione (il che ha pure il fine di aumentare il pressing su Roma).
Il progetto di legge mira infatti a sbrigare la pratica del suicidio assistito in appena 27 giorni dalla richiesta di un dato paziente, di cui 20 giorni complessivi (suddivisi in varie sottofasi) per la verifica del possesso dei requisiti e altri 7 per arrivare all’autosomministrazione del farmaco letale. Una burocrazia superefficiente per dare la morte nel modo più rapido possibile, quando l’obiettivo di un Paese civile dovrebbe essere esattamente l’opposto: garantire tempestivamente le cure e preservare la vita dei più fragili, offrendo loro al tempo stesso una compagnia che gli sia di sostegno morale e spirituale. Un accompagnamento che è destinato ad arrecare tanto più sollievo quanto più la nostra società sarà in grado di recuperare una dimensione autenticamente cristiana, dove si cerchi sia di alleviare umanamente la sofferenza (le cure palliative servono a questo) sia di ricordarne il suo senso redentivo ed eterno, se offerta in unione a quella di Gesù crocifisso... e risorto.
Dispiace che Zaia e una buona parte della Lega non se ne rendano conto, abbracciando una causa dei radicali e delle sinistre che spingono per anticipare la morte, con la conseguenza di lasciare i malati più soli e più disperati.
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