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POLEMICHE RIVELATRICI

Se la Chiesa non sa più guardare in alto

Le reazioni all'intervista del cardinale Ruini al Corriere della Sera, critiche molto severe tutte riguardo al giudizio su Salvini, sono rivelatrici di una Chiesa ormai appiattitasi sulla politica, in cui non esiste più la dimensione verticale. È l'esempio più evidente di quella "crisi di fede" che il cardinale Sarah indica come il male attuale della Chiesa.

Editoriali 07_11_2019
Il cardinale Ruini

Con il passare dei giorni la recente intervista del cardinale Camillo Ruini al Corriere della Sera diventa sempre più interessante per il volto della Chiesa italiana che rivela. Non tanto per i contenuti dell’intervista in sé, quanto per le reazioni molto spesso scomposte che ha generato in uomini di Chiesa; anzi in quegli uomini di Chiesa che più si considerano sostenitori dell’attuale corso.

Tema unico della polemica è l’opzione politica: l’apertura di credito del cardinale Ruini nei confronti di Salvini insieme al de profundis recitato per il cattolicesimo democratico (leggi catto-comunismo) e la difesa delle scelte politiche di quando era presidente dei vescovi italiani (1991-2007). I toni vanno da un formale rispetto per Ruini che condisce un radicale disaccordo, fino all’insulto vero e proprio. Nel primo caso si distinguono i suoi confratelli vescovi come monsignor Domenico Mogavero e l’ex segretario della CEI, monsignor Nunzio Galantino; quest’ultimo addirittura pretende di dare lezioni di distacco dai partiti, quando negli anni passati alla Cei ha fatto praticamente da cappellano del PD (ci sono espressioni popolari molto efficaci per descrivere volti di questo genere).

Ci sono poi gli intellettuali di punta che hanno twittato a ripetizione: il sociologo di riferimento della CEI Mauro Magatti, che fa un’analisi in 200 caratteri dall’italiano incerto, alla Checco Zalone («La speranza di salvare la fede con accordi col potere politico “forte” sono sempre stati disastrosi. Per la democrazia e per la Chiesa»); un insolitamente pacato Vito Mancuso («Logico che Ruini appoggi Salvini… rappresenta quella parte, da sempre maggioritaria, del cattolicesimo italiano fortemente conservatrice…»; un rabbioso Alberto Melloni che, da storico, paragona Ruini all’ambasciatore della Germania nazista von Papen (poi, per la foga polemica, prende un clamoroso abbaglio storico anticipando al 1941 i milioni di ebrei morti nelle camere a gas); l’altrettanto velenoso signor Enzo Bianchi, secondo cui «cattiveria, invidia, rancore ammorbano sempre di più la vita sociale e perfino la vita delle comunità cristiane; ma di questa barbarie qualcuno dovrà rispondere, in primo luogo quelli che avendo autorità la fomentano e la autorizzano, anziché arginarla e spegnerla». Perfino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto a difesa dei cattolici democratici (ne parliamo a parte).

Non entriamo nel merito delle critiche, basta constatare che l’unico argomento che veramente interessa gli esponenti più in vista della Chiesa è la politica, l’unico argomento che accende i cuori e fa scattare la passione è lo schieramento partitico. Quello che interessa i pastori e l’intellighentjia è il pro o contro Salvini, il pro o il contro l’immigrazione e via dicendo.

Eppure nell’intervista del Corriere, seppure inizi proprio dalla politica, si parla anche di altro, soprattutto di Sinodo dell’Amazzonia e proposta di preti sposati. Interessante che il cardinale Ruini si schieri decisamente contro questa ipotesi e chieda al Papa di non assecondarla: una notizia importante che però nessuno ha voluto neanche prendere in considerazione. Eppure, come stiamo spiegando da molto tempo, la vicenda del celibato (meglio: della continenza) e del sacerdozio è cruciale per l’identità stessa della Chiesa. Ma di questo sembra non importare nulla a pastori ed eminenti cattolici, preferiscono far coincidere il destino della Chiesa con un referendum su Salvini.

Dobbiamo essere onesti: a questa riduzione “politica” della Chiesa ha dato il suo contributo, da presidente della CEI, anche il cardinale Ruini, ma oggi la dimensione verticale della Chiesa sembra essere stata completamente cancellata. È ciò che ben descrive il cardinale Robert Sarah nel suo ultimo libro, «Si fa sera e il giorno già volge al declino» (che verrà presentato sabato prossimo a Milano) quando parla di «crisi della fede» che attanaglia l’Occidente e la Chiesa in particolare, una crisi che consiste nell’allontanare Dio dalla vita: «Invece di affrontare – dice il cardinale Sarah -  la questione cruciale della fede e la missione fondamentale della Chiesa che è la proclamazione del Vangelo e il nome di Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, passiamo molto tempo a parlare di fenomeni sociali: omosessualità, accoglienza dei migranti, dialogo, ambiente, questioni socio-economiche e politiche, sono diventate centrali non solo nel dibattito politico, ma anche in quello ecclesiale».

Non significa ovviamente che non si deve affrontare anche questi temi, ma vanno affrontati «candidamente e alla luce della Rivelazione», dice ancora il cardinale Sarah. Ma il problema è che «Dio è messo in disparte, non è più la priorità, men che meno per i cristiani». Dovrebbe essere questa la preoccupazione maggiore per i nostri vescovi.

E invece si arriva così al triste spettacolo di questi tempi, in cui vediamo pastori insegnare che l’appartenenza alla Chiesa è decisa da una opzione politica e non dall’adesione alla dottrina cattolica, che anzi viene sovvertita per renderla più terrena. Il Sinodo dell’Amazzonia, appena concluso, ne è un drammatico esempio. Ma non è certo di questo che noi, gli uomini di tutti i tempi, abbiamo bisogno. Proprio come disse l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1990 partecipando al Meeting di Rimini: «Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana».