Rieducazione liturgica: questa Messa non s’ha (più) da fare
A un anno dal motu proprio “Traditionis Custodes”, in tre diocesi USA cominciano le operazioni di smantellamento della Messa in rito antico, mostrando che la Santa Sede mira a eliminarla ovunque. A Savannah (Georgia) le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno, a Washington si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico. Insistenti i rumors su Chicago, dove il cardinale Blaise Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Nella Chiesa “della misericordia” dà fastidio soltanto la liturgia tradizionale? Così la cura pastorale si traduce in una sorta di rieducazione liturgica.
Negli USA suonano le campane a morto per la “Messa in latino” e i rintocchi provengono da Roma. Un caso istruttivo a Savannah, in Georgia, un decreto a Washington e probabili rumors da Chicago, a un anno dal motuproprio Traditionis Custodes chiariscono, a chi ancora non lo avesse capito, l’intento dichiarato della Santa Sede e (non da ora) di parte della gerarchia: non semplicemente regolamentare il rito antico, ma condurlo all’estinzione.
A Savannah le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno. Applicando le indicazioni del motu proprio e dei successivi Responsa dell’allora Congregazione per il Culto Divino, mons. Stephen D. Parkes ha chiesto a Roma l’autorizzazione per continuare nelle chiese parrocchiali: autorizzazione concessa, ma con data di scadenza. Lo ha reso noto lo stesso vescovo in una lettera datata 15 luglio 2022. Va detto che il vescovo riconosceva la positività di questa esperienza, ma evidentemente non è bastato. Finora le celebrazioni si svolgevano una volta a settimana in cattedrale e una volta al mese in altre parrocchie, come stabilito recentemente dal vescovo in una lettera del 4 novembre. Il 18 dicembre con la pubblicazione dei Responsa, si specificava che per poter continuare la celebrazione nelle chiese parrocchiali (di per sé escluse da Traditionis Custodes), il vescovo doveva chiedere l’autorizzazione della Santa Sede, cosa che mons. Parkes ha fatto a metà aprile. La risposta di Roma, giunta a fine maggio e resa nota ora, indica che: 1) la Messa celebrata in cattedrale una volta a settimana va spostata nella parrocchia del Sacro Cuore, a partire dal prossimo 7 agosto; 2) nelle altre 3 parrocchie coinvolte (ad Augusta, Macon e Ray City) può continuare una volta al mese; 3) in entrambi i casi tutto ciò è possibile fino al 20 maggio 2023 (giorno indicato dallo stesso dicastero romano).
E dopo la fatidica data? Le parole di mons. Parkes lasciano poco spazio all’immaginazione: «I sacerdoti che celebreranno queste Messe accompagneranno i fedeli nei mesi a venire nella transizione alla Messa secondo i decreti del Concilio Vaticano II».
La data del 20 maggio 2023 potrebbe essere inoltre un indizio, colto dal blog Messainlatino, della possibile «emanazione di qualche provvedimento vaticano (già noto a qualcuno nel Dicastero?) che limiti ulteriormente (o peggio…) la celebrazione della Santa Messa tradizionale». In effetti non si tratta di una “cifra tonda” (un anno, sei mesi...) ma di una data ben precisa. Comunque vada, l’impressione è che, a dispetto del ruolo di «moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica», affermato nell’art. 2 di Traditionis Custodes, di fatto il vescovo sia libero, sì, ma solo di chiudere il rubinetto. Quelli desiderosi di andare incontro ai fedeli legati al rito tradizionale dovranno rivolgersi alla Santa Sede, la cui volontà è piuttosto chiara e reiterata. Sin dalla Lettera accompagnatoria del 16 luglio 2021 si evidenzia che l’obiettivo del motuproprio è «provvedere al bene» di questi fedeli che «hanno bisogno di tempo per ritornare al rito romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II». Quindi nei Responsa del 18 dicembre il Prefetto del Culto Divino, mons. Roche (che sarà creato cardinale il 27 agosto) ripete più volte che ogni concessione è «in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del rito romano», ovvero quella riformata. Infine, il n. 31 della recente Lettera Apostolica Desiderio desideravi ribadisce il desiderio del Santo Padre.
Prove di estinzione anche a Washington, con un decreto di 7 pagine del cardinale Wilton D. Gregory pubblicato il 22 luglio, che entrerà in vigore a settembre. Si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico: niente Messe tradizionali a Natale, Pasqua e Pentecoste. E in ogni caso niente nozze né battesimi né altri sacramenti. Il cardinale ammette che che «la maggioranza dei fedeli che partecipano a questa santa Messa nell’arcidiocesi di Washington sono sinceri, pieni di fede e ben intenzionati» (parole sue). E allora perché restringerle? Perché «è chiaro che la sincera intenzione del Santo Padre è di portare a una maggiore unità nella Chiesa attraverso la celebrazione del Messale Romano di Papa Paolo VI». Altrimenti detto: la cura pastorale di questi fedeli deve spingerli ad abbandonare il rito antico, dispiegando «risorse catechetiche per illustrare loro i principi del rinnovamento liturgico del Vaticano II e la bellezza della Messa riformata». In vista dell’ormai conclamata volontà di estinzione della liturgia tradizionale, il card. Gregory concede – bontà sua – che questi fedeli partecipino a Messe riformate in latino e gregoriano (come se si trattasse di una preferenza puramente estetica), ma in ogni caso con l’altare versus populum (cosa di per sé mai imposta neanche dal Messale di San Paolo VI).
Appaiono quasi scontati i rumors su Chicago, dove il cardinale Blaise Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Secondo diffuse indiscrezioni (tra cui il ben informato padre John Zuhlsdorf) dovranno andar via il 1° agosto. Il cardinal Cupich non ha avuto bisogno di “spinte romane”, dato che a Natale 2021, pochi giorni dopo i Responsa, si era già mosso con un decreto per implementare Traditionis Custodes nella sua diocesi (per inciso: nel 2007 vi fu altrettanta sollecitudine nell’applicare il Summorum Pontificum di Benedetto XVI?). Il decreto indicava il consueto obiettivo: «aiutare i fedeli che hanno regolarmente partecipato alle Messe nella forma precedente a comprendere i principi essenziali del rinnovamento liturgico» (anche qui concedendo un po’ di latino e gregoriano nelle Messe riformate per convincerli a mollare il rito antico). In breve: la cura pastorale si traduce in una sorta di “rieducazione” liturgica.
Com’è noto, ci si appella a (presunti) atteggiamenti antiecclesiali legati all’uso di questo rito. Ammesso (e solo parzialmente concesso) che ve ne siano, l’argomento si può ribaltare: quanti fautori della liturgia postconciliare si comportano come se la Chiesa sia stata rifatta ex novo negli anni Sessanta? In effetti, l’inammissibilità dell’antico si spiegherebbe solo nell’ottica di una cesura tra pre- e postconcilio: ma allora chi è davvero a volere questa rottura? E quanti partecipanti alle ordinarie celebrazioni riformate sono davvero consapevoli del mistero eucaristico? Quanti preti prendono a pretesto la riforma liturgica per infarcire il rito di invenzioni personali? Se si vuole buttare via il proverbiale bambino con l’acqua sporca, allora correrebbe seri rischi anche “il bambino” postconciliare...
Inoltre, se la Santa Sede in mezzo secolo afferma una cosa e il suo contrario non rischia di ridurre la propria autorevolezza? Ciò che era sacro fino al 1970 improvvisamente viene accantonato, poi nel 1984 e nel 1988 si chiede di concederlo generosamente, nel 2007 viene considerato una ricchezza e nel 2021 deve invece sparire. Di fronte a questo groviglio si staglia, limpida e cristallina l’affermazione di Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».
Infine, perché tanta ostinata determinazione nel decretare a tutti i costi la fine di una liturgia venerabile? Tanto più che le precedenti concessioni di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI non provocavano alcun danno alla riforma liturgica: la maggioranza che segue la liturgia nuova continuava indisturbata a frequentarla senza che la coesistenza della liturgia tradizionale le togliesse alcunché. Nella Chiesa “della misericordia”, che proclama accoglienza a ogni piè sospinto, a destra e a manca (soprattutto a manca), dà fastidio soltanto la “minoranza” tridentina?