"Promuovere aborti per salvare il pianeta"
Sessanta Ong abortiste internazionali lanciano un appello ai governi in vista della Conferenza sul clima del novembre prossimo a Glasgow: l'obiettivo è inserire i programmi per contraccezione e aborto tra le misure da finanziare contro i cambiamenti climatici. Una vecchia storia...
Per il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres quest’anno sarà l’anno dell’"ora o mai più" nella lotta al cambiamento climatico. Al Summit delle Nazioni Unite sul clima COP26 (26a Conferenza delle Parti sul Cambiamento Climatico) che si terrà a Glasgow nel mese di novembre, le multinazionali dell’aborto chiedono di includere i ‘diritti riproduttivi e la contraccezione’ tra gli impegni climatici, così mostrando compiutamente il volto malthusiano del neo-ambientalismo.
La conferenza, rinviata lo scorso anno a causa del Covid-19, sarà co-ospitata da Regno Unito (a Glasgow 1-12 novembre la COP 26 vera e propria) e Italia (a Milano i vertici Pre-COP dal 28 settembre al 2 ottobre) e ci si aspetta che i Paesi partecipanti, ben più di 190, annuncino nuovi obiettivi climatici.
I vari proclami allarmistici sono stati più volte smentiti, come abbiamo ampiamente svelato su La Bussola, e immaginare che in tutto il mondo si raggiunga la neutralità nelle emissioni di carbonio entro il 2050 (o 2030, come tanti vorrebbero), per evitare un aumento della temperatura superiore a 1,5°C rispetto alla fine del XIX secolo, è irrealistico e profondamente ingiusto nei confronti di miliardi di persone e decine di paesi che sono in via di sviluppo.
La preoccupante novità è la lettera che 60 organizzazioni e multinazionali dell’aborto mondiale hanno inviato al Governo del Regno Unito nei giorni scorsi, di cui dà notizia il ‘The Guardian’, con la quale chiedono di includere nelle decine di miliardi da destinarsi al clima anche la contraccezione ed i diritti riproduttivi (aborto). In una lettera ad Alok Sharma, presidente della conferenza ONU sul clima Cop26, un'alleanza di più di 60 ONG ha chiesto che le regole di ammissibilità per i finanziamenti siano “cambiate per permettere ai progetti che si occupano di rimuovere le barriere alla salute riproduttiva e all'istruzione delle ragazze di accedere ai fondi per il clima”.
Tra i firmatari della lettera troviamo la miliardaria catena abortista MSI (già Marie Stopes International) che ha descritto come le loro “clienti sono più colpite dalla crisi climatica e ciò che vogliono veramente è l'accesso all'assistenza sanitaria riproduttiva, in modo che possano fare scelte su quando o se avere figli". Clienti? Le povere donne che si è detto di voler aiutare ad una scelta consapevole, ora invece sono delle semplici ‘clienti’ a cui vendere o fornire servizi, tra cui l’aborto del proprio figlio? E questo sarebbe indispensabile per ridurre la crisi ambientale e climatica del pianeta? La professoressa Susannah Mayhew della London School of Hygiene & Tropical Medicine, riporta ancora il ‘The Guardian’, ha detto che la connessione, anche se "non intuitiva" per le persone in Occidente, era ovvia per quelle nelle comunità povere del mondo, dove "la cosa di cui hai bisogno per sostenere [la vita sostenibile] è la capacità di controllare la tua fertilità come donna individuale".
Una vita sostenibile può dipendere dalle pillole abortive che ingerisci o dal numero di aborti? Siamo al ribaltamento della ragione che da un lato vorrebbe salvare il pianeta, dall’altro ucciderne la vita umana. La pressione verso la leadership e i capi di Stato che parteciperanno alla COP 26, non verrà solo dalle multinazionali private, visto che nell'ultimo documento dell'UNFPA del 16 agosto, su come i cambiamenti climatici affliggono diversamente maschi e femmine nel mondo, si tratteggiano i modi in cui il cambiamento climatico affligge maggiormente donne e ragazze: maggiore violenza di genere nei confronti delle donne; aumento dei matrimoni di bambine; incremento dei tassi di mortalità neonatale; aumento delle malattie materne e neonatali ed infine, interrompe la salute sessuale e riproduttiva e limita l'accesso alla contraccezione.
Proprio su questo ultimo punto, il documento di UNFPA si sofferma a lungo per sottolineare come contraccezione, diritti sessuali e riproduttivi siano indispensabili per dare efficacia alle azioni che contrastino i cambiamenti climatici (“Il mondo deve riconoscere che la salute e i diritti sessuali e riproduttivi sono una questione climatica e che le donne devono far parte della politica climatica. Quando le donne sono integrate in questo lavoro, il pianeta migliora grazie alla minore impronta di carbonio e alle maggiori aree di terra protetta. E quando il pianeta sta meglio, stiamo meglio tutti”).
Nulla di nuovo rispetto a quanto già promosso e affermato da organizzazioni come ‘Women Deliver’ (The link between climate change and reproductive health and rights) o dalla stessa UNFPA nella sua conferenza in Sud Africa la scorsa primavera, nella quale si affermava che "l'Africa dovrebbe posizionarsi con una sola voce alla COP26 e fare pressione per misure di adattamento al clima che non alienino i servizi sanitari, compresa la salute sessuale e riproduttiva".
In fondo, diceva in uno studio il Guttmacher Institute, per “soddisfare il bisogno globale insoddisfatto di contraccezione costerebbe circa 770 milioni di dollari (565 milioni di sterline) all'anno, solo 548 milioni in più dei costi attuali”. Un nulla rispetto alle centinaia di miliardi che si vorranno spendere per salvare eucalipto e bradipo…un genocidio umano, se consideriamo che quella spesa, aumenterebbe per 10 volte il numero di 50 milioni di aborti (chirurgici e chimici) che ogni anno vengono praticati.
Le pressioni di queste settimane non sono solo rivolte al Governo Johnson ma a tutti i governi che siederanno alla Conferenza sul clima di Glasgow, a loro si chiede di sancire l’assurdo scientifico e culturale dell’ultimo decennio: ‘niente figli se vuoi salvare il pianeta’. Ancor più, per salvare un canarino sarebbe giusto accoppare un bambino. Il Governo italiano da che parte sta?