Per Cupich di non negoziabile c'è soltanto l'agenda dem
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Non stupisce l'intervento alla convention pro Kamala né il silenzio sull'"ospedale da campo" abortista a poca distanza: il cardinale di Chicago è più a suo agio con le istanze progressiste che con quelle pro-life.
Se la preghiera d'apertura pronunciata in un contesto simile e senza alcun riferimento alla difesa della vita umana sin dal concepimento (come insegnato dalla Chiesa e ribadito nel magistero di Francesco) ha indignato molti, non si può dire che abbia sorpreso chi conosce il curriculum dell'arcivescovo metropolita di Chicago. Cupich, d'altra parte, nonostante l'agenda dem sia ormai completamente avversa ai cosiddetti principi non negoziabili, deve essersi sentito a suo agio nella Convention dell'Asinello: già in piena campagna elettorale per le presidenziali del 2008, si fece notare per essere uno dei pochi vescovi americani a simpatizzare per la corsa di Barack Obama, con dichiarazioni giuste ma "furbe", come l'appello agli elettori a «non permettere al razzismo di regnare nei nostri cuori e di determinare la nostra scelta in questo momento solenne per la nostra nazione [poiché farlo] significa cooperare con uno dei grandi mali che ha afflitto la nostra società». Lo stesso modus operandi visto l'altra sera allo United Center di Chicago dove Cupich ha definito gli Usa «una nazione composta da ogni popolo e cultura, uniti non da legami di sangue, ma dalle profonde aspirazioni alla vita, alla libertà, alla giustizia e alla speranza illimitata». Tutto giusto, ma così come 16 anni fa dare centralità alla questione razziale in piena campagna elettorale manifestava la preferenza per il primo candidato afroamericano, anche questa volta le sue parole rendono evidente la sua lontananza dal repubblicano Donald Trump che promette la chiusura delle frontiere.
Quando si parla di aborto, Cupich si è sempre dimostrato ben meno passionario: nel 2006, quando era vescovo di Rapid City, si distinse per la moderazione nella campagna referendaria che poi bocciò una legge anti-aborto nel Dakota del Sud, invitando i cattolici ad essere «più civili» nel dibattito. Due anni prima, quando scoppiò la polemica sull'opportunità di dare o meno la comunione all'allora candidato democratico alla Casa Bianca e pro-choice John Kerry, Cupich si schierò contro i vescovi (in prima fila Raymond Leo Burke) che chiedevano sanzioni per i sostenitori di politiche abortiste. L'allora vescovo di Rapid City liquidò la presa di posizione del cardinale Francis Arinze, all'epoca prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti – e quindi competente in materia – nel corso di una conferenza stampa, come una «dichiarazione non ufficiale». Poi però venne sbugiardato dal cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che in una nota diede il marchio dell'ufficialità alla linea dei vescovi come Burke, spiegando che di fronte a politici promotori di campagne a favore dell'aborto, «il ministro della santa comunione deve rifiutare di distribuirla».
Negli anni successivi Cupich ha mantenuto la linea morbida, prendendo le distanze nel 2021 dall'allora presidente dei vescovi americani monsignor José Gomez, che con un comunicato aveva salutato polemicamente l'insediamento di Joe Biden affermando che il «secondo presidente Usa di fede cattolica farà avanzare mali morali». Parole giudicate «sconsiderate» dall'arcivescovo di Chicago che si era lamentato per un'iniziativa presa «senza consultazioni» ed indice di «un fallimento interno» che «non contribuisce all’unità della Chiesa». In realtà, all'interno della Conferenza episcopale statunitense è Cupich ad essere da sempre in minoranza, come dimostra l'elezione di due anni fa del conservatore monsignor Timothy Broglio. La scarsa influenza nell'episcopato americano viene riequilibrata, però, dal favore di cui Cupich e i pochi prelati a lui più affini godono a Santa Marta. Non a caso, negli ultimi undici anni Francesco ha premiato sia lui che Kevin Farrell, Joseph Tobin, Wilton Gregory e Robert McElroy con il cardinalato negato, invece, a Gomez e Broglio nonostante la presidenza della Conferenza episcopale.
I pupilli del Papa negli States hanno in comune la passata vicinanza a Theodore Edgar McCarrick, l'ex potente cardinale ridotto nel 2019 allo stato laicale dopo essere stato incriminato per abusi sessuali anche su minori. Cupich è stato presidente del Comitato dei vescovi statunitensi per la protezione dei bambini e dei giovani dal 2008 al 2011, quindi proprio negli anni in cui il cardinale Giovanni Battista Re, allora a capo della Congregazione per i Vescovi, ordinava allo stesso McCarrick di astenersi dall'attività pubblica e di trasferirsi dal Seminario “Redemptoris Mater” proprio in virtù delle accuse di comportamento immorale arrivate fino a Roma contro l'ex arcivescovo di Washington. Nel 2016, quando le imposizioni dal Vaticano erano ormai state superate, McCarrick ricevette un premio direttamente dalle mani dell'allora cardinale eletto Cupich che elogiò il prelato predatore lodando «il suo modo unico di lasciare il segno nella Chiesa» e raccontando: «ovunque vada in giro per il mondo, la gente mi chiede sempre: "Come sta il cardinale McCarrick?"». Nonostante la consuetudine con l'ex arcivescovo di Washington, quando lo scandalo è scoppiato Cupich non ha avuto imbarazzi a comparire tra gli organizzatori del summit anti-abusi tenutosi in Vaticano ad inizio 2019.
La tolleranza zero per la quale non ha brillato nella lotta agli abusi all'interno della Chiesa e nella difesa del diritto alla vita, però, si è vista nel rapporto con le comunità di sensibilità liturgica tradizionale. Già nel 2002 da vescovo di Rapid City proibì il rito antico in occasione del Venerdì Santo nella cappella dell'Immacolata Concezione, costringendo i fedeli a celebrare sul marciapiede e poi rivendicando la sua decisione come «un invito all'unità». Non contento, di fronte all'intenzione della comunità di scrivere al Papa per informarlo di quanto avvenuto, Cupich usò toni poco rassicuranti dicendo che una mossa simile non avrebbe aiutato la loro causa. Non ha stupito, dunque, vederlo da arcivescovo di Chicago accogliere con entusiasmo Traditionis Custodes, definito «un dono» e a cui ha subito dato attuazione con direttive molto rigide.
D'altra parte, la carriera di Cupich è decollata proprio nel pontificato di Francesco dopo che negli anni di Benedetto XVI e nella fase finale di Giovanni Paolo II l'ambizioso prelato aveva visto sfumare due traguardi agognati: l'elezione a presidente della Conferenza episcopale nel 2004 e la nomina a vescovo di Pittsburgh. Nel 2010, dopo dodici anni a Rapid City, Ratzinger gli aveva affidato la "patata bollente" della guida della diocesi di Spokane, in quel momento in bancarotta a causa delle conseguenze dello scandalo abusi. L'elezione di Bergoglio ha cambiato il corso delle cose, permettendogli di succedere nel 2014 al cardinale Francis Eugene George, 77enne e malato di tumore, nel ruolo di arcivescovo di Chicago. La sua fu la prima nomina importante di Francesco negli Stati Uniti e diede un segnale di cambiamento rimasto, però, confinato a Roma: l'asse dell'episcopato a stelle e strisce, infatti, non si è spostato, mentre l'unica conquista è stata l'ingresso nel sacro collegio della minoranza liberal.
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