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Mano tesa dei Gesuiti alle vittime di Rupnik, il Vaticano tace

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La Compagnia di Gesù offre «un percorso di verità e riconoscimento» alle venti donne che hanno subito abusi dall'ex gesuita, che il cardinale De Donatis si ostina a proteggere, mentre Oltretevere il processo canonico tarda ad arrivare.

Editoriali 29_03_2025
UFFICIO IMAGOECONOMICA

La Compagnia di Gesù ha teso la mano verso le vittime di Marko Rupnik, offrendo loro un risarcimento. Religion News Service ha dato notizia che, in una lettera del 25 marzo scorso, inviata alle venti persone coinvolte negli abusi psicologici, sessuali e spirituali dell’ex-gesuita, il delegato per le case e opere interprovinciali della Compagnia di Gesù a Roma, padre Johan Verschueren, ha riconosciuto che «ai vari tipi di violenza subiti, in questo momento si aggiunge il dolore causato dalla mancanza di ascolto e di giustizia per molti anni».

Alcuni stralci della lettera sono stati resi pubblici dall’avvocato Laura Sgrò, che sta assistendo cinque tra le venti donne abusate dal sacerdote sloveno, ad oggi sostanzialmente impunito. I Gesuiti avrebbero chiesto alle diverse persone coinvolte di fare presente ciascuna le proprie necessità, come inizio di «un processo di guarigione e di riconciliazione interiore» che appare «possibile, a condizione che ci sia anche da parte nostra un percorso di verità e di riconoscimento», scrive Verschueren.
La lettera è stata inviata dopo che Le Iene avevano dedicato allo scandalo un servizio trasmesso domenica 9 marzo, riportando le storie dolorose di Gloria Branciani, Mjriam Kovac e sr. Samuelle, e nello stesso giorno in cui la nota trasmissione televisiva replicava, questa volta aggiungendo anche la testimonianza di Clara.

«Percorso di verità e di riconoscimento»: esattamente quello che il cardinale Angelo De Donatis si ostina a non intraprendere. L’interessante servizio mandato in onda martedì scorso si concludeva con una imbarazzante prestazione del penitenziere maggiore, il quale, con il volto rubicondo marcato da una gaiezza decisamente fuori luogo, dispensava pillole di saggezza circa «la verità che si fa strada piano piano». Il cardinale non dev’essersi reso conto che la verità coperta, occultata, insabbiata in mille modi, si è già fatta strada, ma in una direzione a lui non gradita. Di fronte a questa verità egli continua a voltarsi dall’altra parte, facendo finta di non sapere che le notizie che da oltre un anno sono divenute di dominio pubblico, sono state ritenute come altamente attendibili dall’Ordine di cui Rupnik era parte, quell’Ordine che pure per anni aveva ignorato le denunce di alcune vittime. E la recentissima lettera di padre Verschueren ne è la conferma: si propone forse un risarcimento a persone la cui testimonianza non risulterebbe credibile?

Eppure De Donatis, che sta sfruttando la propria posizione di commissario pontificio delle Suore Benedettine Regolari di Priscilla per permettere a Rupnik ed altri ex gesuiti del Centro Aletti di ricostituire una comunità (vedi il nostro reportage), ha avuto più di una possibilità per iniziare davvero un percorso di verità. A dicembre 2022, mons. Daniele Libanori (vedi qui), all’epoca vescovo ausiliare della diocesi di Roma, e al quale fu affidato il compito di ascoltare le religiose della Comunità Loyola che lamentavano svariati tipi di abusi, sia da parte di Rupnik che da parte della fondatrice, sr Ivanka Hosta, mostrò pubblicamente il suo disappunto di fronte all’atteggiamento protettivo di De Donatis; prese carta e penna e scrisse una lettera ai propri sacerdoti, nella quale riversava tutta la propria amarezza per i silenzi e le coperture – incluse quelle di De Donatis – che avevano costretto le vittime ad esporre le malefatte di Rupnik pubblicamente.

I Gesuiti, da parte loro, avevano a più riprese riconosciuto l’attendibilità delle testimonianze, ed avevano verificato che le persone coinvolte erano addirittura venti. Poi abbiamo la famosa scomunica, scattata per l’assoluzione da parte di Rupnik del complice in un peccato contro il sesto comandamento; scomunica che, come sappiamo, fu tolta a tempo di record per il presunto pentimento di Rupnik, ma che conferma che un peccato contro il sesto comandamento da parte dell’ex-gesuita con una persona che evidentemente si affidava alla sua guida spirituale ci fu; peccato che lo stesso Rupnik cercò di seppellire sotto l’assoluzione sacramentale.

De Donatis, invece, continua per la sua strada, fingendo che queste donne siano tutte delle malate mentali o degli sciacalli che si avventano contro il povero prete sloveno, che egli protegge, insieme ai suoi compari, in una proprietà altrui, che egli dovrebbe invece custodire a vantaggio dell’Istituto di cui è commissario.

La scelta dei Gesuiti appare un passo avanti, ma non è pensabile che essa sia sufficiente per rendere giustizia alle vittime né soprattutto per far emergere tutta la rete di protezioni di cui Rupnik ha beneficiato in questi anni. Il processo deve incominciare al più presto e mettere in luce tutto il marcio che c’è dietro la vicenda legata a Rupnik, perché molti di quelli che lo hanno protetto per decenni sono ancora vivi e occupano posti importanti nella Chiesa. A partire dal cardinale De Donatis.

Lascia perplessi il fatto che, da quando il papa ha derogato alla prescrizione (ottobre 2023), sia passato un anno e mezzo, ed ancora non vi sia sentore dell’inizio di un regolare processo. È proprio di questi giorni la Nota della diocesi di Milano relativa a don Samuele Marelli, ex-direttore della FOM (Federazione Oratori Milanesi), accusato di molestie e atteggiamenti inappropriati nei confronti di minori. A dicembre 2023 arrivarono le prime accuse; appena due mesi dopo fu avviata l’indagine previa e già a giugno 2024 venne avviato il processo canonico di primo grado dal Tribunale ecclesiastico regionale lombardo. Totale: sette mesi dalle accuse all’inizio del processo. Già, ma probabilmente dietro a don Marelli non si nasconde tutto quel mondo di prelati che sono invece fortemente legati alla persona di Rupnik.



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