L'ideologia Lgbt avanza indisturbata tra i banchi di scuola
La propaganda arcobaleno nelle aule scolastiche non trova ostacoli in una società che approva tutto senza porsi domande. E chi non ci sta è considerato colpevole di "lesa inclusione". Dal video-incontro di ieri con Marco Lepore e Andrea Zambrano.
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L’ideologia arcobaleno avanza tra i banchi scolastici tra la connivenza o la passività della società intera, mentre chi si oppone viene subito etichettato come omofobo e reo di "lesa inclusione". Ce n’è abbastanza per parlare di Dittatura Lgbt a scuola, tema dell’incontro di ieri della serie "I venerdì della Bussola", con Marco Lepore, insegnante, intervistato da Andrea Zambrano che per primo ha sollevato il caso accaduto in una scuola di Verona, dove un tredicenne ha rifiutato di salire la “scala arcobaleno” e, insieme a una nota per ragioni disciplinari, si è visto anche accusare dal preside di «atteggiamento omofobico».
Un caso in cui l’indottrinamento gender, di solito mascherato da progetti o slogan più generici, è uscito allo scoperto sin dalla verniciatura della scalinata: «un lavoro che non viene fatto in quattro e quattr’otto e a costo zero, tanto più che ci vogliono autorizzazioni di spesa», e quindi anche l’approvazione di insegnanti e genitori, osserva Lepore. Ma come è possibile – chiede Zambrano – che un preside possa affibbiare a un ragazzino uno stigma che potrebbe costargli la condanna di compagni e insegnanti? «Evidentemente crede nell’ideologia Lgbt, altrimenti non avrebbero realizzato quell’opera. Ed è convinto che rifiutarla sia un atteggiamento da sanzionare» in nome dell’onnipresente «inclusione», parola talismano in cui entrano ideologie e da cui escono condanne: «Questo ragazzino non è inclusivo – e oggi non essere inclusivi è gravissimo».
A offrire il destro al gender tra i banchi è inoltre il ruolo assunto dalla scuola pubblica che si fa educatrice e propagandista in materia di sessualità. «Le associazioni che vogliono portare questa tematica dentro la scuola hanno buon gioco», dal momento che «l’intera società, anche quando riconosce cose sbagliate, non ha più la forza, il coraggio e il desiderio di opporsi in maniera chiara». Come è accaduto? Lepore fa sua la diagnosi di Charles Peguy: «un mondo prospero, senza Gesù, tutta una società prospera, senza Gesù; un mondo, una società prosperi, in-cristiani dopo Gesù». Un mondo che non reagisce a niente perché non crede in niente, dominato da un generalizzato silenzio assenso, della serie: «se non c’è più nulla per cui vale la pena vivere e morire, ma chi me lo fa fare?».
Ben vengano gli interventi legislativi, ma senza illudersi che possano intaccare questo clima. Per esempio, il decreto presentato dal ministro Valditara sul consenso informato, affinché il materiale sottoposto ai ragazzi nei vari progetti scolastici venga visionato dai genitori. «Dubito che andrebbero a visionare il materiale», afferma Lepore, osservando che in generale e ormai da decenni i genitori tendono a delegare e dare «carta bianca» alla scuola in campo educativo, intervenendo solo quando un voto è ritenuto troppo basso e fidandosi per il resto dell’«aria che tira». Del resto è un problema che riguarda le stesse famiglie: «c’è una enorme crisi della famiglia che rifluisce dentro la scuola e causa queste derive».
E gli insegnanti? Subiscono come «il vaso di coccio tra i vasi di ferro», tra le ideologie e le famiglie? – chiede Zambrano. Lepore rievoca il cambiamento registrato nei suoi decenni di insegnamento, a partire dagli anni Ottanta. Allora, nel bene e nel male, «era un campo di battaglia, collegi docenti infiniti, opposizioni politiche e maggior attenzione agli aspetti educativi». Dopo una quindicina d’anni di assenza dagli istituti scolastici, per un incarico a livello nazionale, al ritorno ha trovato «una situazione completamente differente», «un orologino svizzero» in cui i collegi «cominciano puntuali e finiscono puntualissimi», ma soprattutto dove «viene approvato tutto, è difficile che qualcuno alzi la mano per entrare nel merito educativo dei progetti». Figuriamoci se qualcuno si oppone, vuoi per quieto vivere vuoi perché così «sommersi da progetti» che bisogna pur andare avanti senza perdere tempo.
«In realtà la scuola è specchio della società», osserva: «Non vediamo più opposizioni pubbliche, oggi va bene tutto» in quella società occidentale che si preoccupa solo di salvaguardare la propria nicchia. E infatti – «non mi sorprende» - il tredicenne di Verona non è di origini italiane, mentre «i nostri studenti come gli adulti che li “educano” sono estremamente passivi». Al massimo in qualche istituto (per esempio quelli professionali) «c’è confusione ma non c’è ribellione», divertimento senza volontà di protagonismo. Quel «tutto» accettato a priori purché segua «l’aria che tira» è il clima ideale per «le iniziative Lgbt che hanno buon gioco perché nessuno si oppone».
Dalla passività non è immune neanche il mondo cattolico. Lepore evoca ancora un cambiamento avvenuto in pochi decenni, dagli anni Ottanta-Novanta, quando «le associazioni cattoliche studentesche si battevano, chiedendo spazi per pregare o facendosi sentire nelle assemblee», all’attuale «ripiegamento su una fede “da sacrestia». Soprattutto tra gli studenti italiani, «mentre quelli provenienti dall’Est o da altri Paesi hanno un atteggiamento più combattivo».
La situazione è così cupa? «Nella scuola statale non vedo grandi margini di cambiamento ed è molto difficile tornare indietro, tanto più che queste dinamiche hanno travolto anche le scuole paritarie, in gran parte cattoliche, che hanno dovuto accettare una serie di vincoli» – Lepore non alimenta illusioni, ma coglie un segno di rinascita nell’«istruzione parentale, l’ultimo spazio rimasto perché le famiglie possano educare i propri figli come desiderano».
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