Libia, Erdogan gode. Russi e turchi studiano la pace
La ritirata dell’Lna di Haftar da tutto il fronte di Tripoli premia la spregiudicata tattica militare di Erdogan, che grazie anche all’accordo con al-Sarraj scalza l’Italia dal residuo ruolo di influenza nell’ex colonia. Si va profilando il congelamento della guerra attraverso un'intesa, sulla falsariga di quella in Siria, tra turchi e russi. Che così si garantiranno posizioni di privilegio in una Libia che rimane di fatto divisa in due.
La battaglia per Tripoli è finita e la pace in Libia sembra oggi più vicina. Le sconfitte subite in aprile nell’Ovest della Tripolitania ad opera delle forze libiche del Governo di accordo nazionale (Gna) aiutate dai turchi (1.500 militari e contractors con droni, navi da guerra, blindati e artiglieria) e soprattutto da 11.000 mercenari siriani arruolati da Ankara, hanno indotto l’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar a ritirarsi da tutto il fronte di Tripoli.
I primi a ripiegare su Bani Walid e poi su al-Jufra (grande base aerea dove sono arrivati una decina di Mig e Sukhoi russi ma privi di insegne) sono stati i 1.500 contractors russi del Gruppo Wagner: non è chiaro se abbiano lasciato la Libia o siano stati trasferiti ad al-Jufra o nell’est della Libia. Prima di ritirarsi le milizie di Haftar hanno minato l’aeroporto internazionale, chiuso da anni al traffico aereo ma che ora Tripoli vorrebbe venisse sminato dagli italiani, e hanno evacuato anche la loro roccaforte di Tarhuna, a sud della capitale, dove ora si temono rappresaglie del Gna nei confronti della popolazione e dei clan che hanno sostenuto Haftar.
La ritirata dell’Lna suggella il successo militare turco e premia il governo di Recep Tayyip Erdogan che ha saputo giocare in modo spregiudicato la carta militare ponendo così il governo di Tripoli sotto la stretta tutela di Ankara e scalzando il residuo ruolo di influenza che l’Italia poteva forse ancora vantare. La recente visita del premier Fayez al-Sarraj in Turchia (vedi foto) ha visto Tripoli spalancare la porta a ogni tipo di aziende turche per attuare la ricostruzione della Tripolitania e la ricerca, in terra e in mare, di nuovi giacimenti di gas e petrolio: segnale inequivocabile che, quasi 110 anni dopo lo sbarco italiano a Tripoli del 1911, i turchi hanno ricacciato gli italiani dalla loro ex colonia.
La sconfitta militare comporta per Haftar anche forti difficoltà politiche che potrebbero compromettere il ruolo dell’anziano militare, scavalcato ormai dal presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, che è stato ricevuto in questi giorni a Mosca e al Cairo e considerato da tutti l’uomo con cui riaprire il dialogo con Tripoli per fermare il conflitto. Un’autorevolezza politica, quella di Saleh, paragonabile a quella che si è ritagliato nel Gna il vicepresidente Ahmed Maitig, riuscito a portare gli Stati Uniti al fianco di Tripoli nella condanna dell’aggressione di Haftar ma stimato anche a Mosca dove ha incontrato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, per mettere a punto un piano per il cessate il fuoco.
A Mosca è stato ieri anche al-Sarraj, che ha discusso pure la firma di accordi che aprano la Tripolitania alle aziende russe e la conferma dei contratti per forniture militari firmati da Muammar Gheddafi e da allora rimasti in sospeso. L’intenso lavoro diplomatico vede in questi giorni protagonisti turchi, russi ed egiziani mentre più defilati restano qatarini ed emiratini, rispettivamente sponsor di Tripoli e di Haftar.
Il 6 giugno, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato il raggiungimento di un accordo tra Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), e Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti libica, in merito a una soluzione per la crisi libica basata su un cessate il fuoco su tutto il territorio libico a partire da oggi e l’impegno all’estromissione delle forze straniere dal Paese nordafricano nel rispetto delle relative risoluzioni dell’Onu e in direzione della ripresa di un dialogo politico intra-libico. Accordo respinto dal Gna, il cui portavoce, Muhammad Gnounou, ha precisato che “non abbiamo cominciato noi questa guerra, ma decideremo dove e quando avrà fine”.
L’impressione è che Tripoli, ma soprattutto Misurata - la “Sparta libica” che ha sostenuto il peso maggiore del conflitto - intendano riprendere Sirte caduta in gennaio in mano alle forze di Haftar. Negli anni scorsi proprio le milizie di Misurata avevano combattuto molti mesi per strappare la città alle milizie dello Stato Islamico e non sembrano oggi interessate a concludere un accordo di tregua prima di aver ripreso il controllo della città che diede i natali a Gheddafi.
Il 28 maggio, per sostenere quest’ultima offensiva, sono sbarcati a Misurata - da un mercantile scortato nella navigazione da una fregata missilistica della Marina Turca - carri armati turchi M-60. Le operazioni di avvicinamento a Sirte sono già iniziate. Ma a conferma che ormai il conflitto libico viene gestito dalle potenze esterne, le truppe di Haftar non sembrano voler opporre resistenza e stanno ritirandosi anche da quella città come se tacitamente rispettassero un copione già scritto.
La Libia pacificata dall’accordo russo-turco che sta configurandosi vedrà quindi Mosca e Ankara garantirsi posizioni di privilegio in campo militare ed economico. Probabilmente la Libia resterà nei fatti divisa in due: dal confine tunisino a Sirte in mano al Gna, da Agedabia al confine egiziano sotto il controllo dell’Lna, mentre ancora incerto è il destino del Fezzan, la regione meridionale in mano all’Lna ma dove diverse tribù sono in fermento.
Haftar, sconfitto ma ancora “ingombrante”, potrebbe venire in qualche modo rimosso dai suoi stessi sponsor: già da giorni russi ed egiziani chiedono infatti al generale di nominare un vice che possa dialogare con Tripoli sui punti militari dell’accordo. Sul piano politico l’organo di presidenza di Tripoli previsto dagli accordi di Skhirat del 2015 verrà probabilmente allargato a esponenti della Cirenaica non vicini ad Haftar per dare un’impressione di amministrazione congiunta che gestisca anche in maniera equa i proventi petroliferi che presto riprenderanno ad affluire nelle casse libiche ora che Haftar ha rimosso il blocco all’export con cui ha invano cercato di strangolare economicamente il Gna.
Del resto, a garantire il congelamento del conflitto provvederanno le forze turche e russe, probabilmente “non ufficiali” ma costituite da contractors e mercenari già protagonisti di queste ultime fasi del conflitto. L’intesa russo-turca, che fa il paio con quella raggiunta da Erdogan e Putin in Siria, permetterà non solo di fermare il conflitto ma di estromettere dagli affari libici i Paesi europei limitando l’influenza degli Stati Uniti che in questa fase cercano di riavvicinarsi ad Ankara e a Tripoli.