Lefebvriani: tolta la scomunica, lo scisma resta
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Le nomine episcopali di monsignor Lefebvre sono illegittime sotto tutti i punti di vista. E la scomunica tolta da Benedetto XVI era finalizzata a un cammino di riconciliazione, ma non cancella lo scisma. Come è stato per gli Ortodossi.
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Il riferimento all’esortazione Ad Apostolorum principis di Pio XII, che abbiamo citato nel precedente articolo, non è certamente l’unica rivendicazione da parte del Magistero dell’esclusiva prerogativa dei successori di Pietro di poter nominare, consacrare (normalmente tramite altri) e inviare i vescovi. Notare i tre aspetti distinti, che rientrano tutti nel primato del Papa.
Di fronte alla pretesa dell’Associazione patriottica cinese di «eleggere di propria iniziativa i vescovi, asserendo che tale elezione sarebbe indispensabile per provvedere con la dovuta sollecitudine al bene delle anime» e di fronte al conferimento della consacrazione episcopale ad alcuni ecclesiastici «contro un esplicito e severo monito diretto agli interessati da questa sede apostolica», Pio XII non si limitò a richiamare le leggi ecclesiastiche e a censurare la sottomissione di questi cattolici al regime comunista cinese, ma rivendicò per la Sede apostolica un preciso diritto divino, che include la stessa nomina dei vescovi. È in forza di questo diritto divino, tutelato dalle leggi canoniche, che il Papa escluse la possibilità che una qualche circostanza ‒ inclusa la «dovuta sollecitudine al bene delle anime» ‒ rendesse lecita la nomina di vescovi e la loro consacrazione contro la volontà del Papa.
Pio IX, come si è visto, trovatosi a dover fronteggiare le lamentele della chiesa armena per aver rifiutato la terna di nomi da loro proposti per una consacrazione episcopale, non fu da meno. Ed anche Pio VI, in un Breve, densissimo di testimonianze della Sacra Tradizione al riguardo, ribadì «l’obbligo che hanno i Vescovi di chiedere e di riportare dal Romano Pontefice la conferma» delle nomine episcopali, a quei vescovi che avevano sottoscritto l’Esposizione sui Principi della Costituzione del Clero di Francia durante il regime giacobino.
Sarebbe più che sufficiente quanto detto per comprendere che in nessuna circostanza è lecito procedere ad una nomina episcopale contro il parere della Sede Apostolica, appunto perché questa prerogativa appartiene per diritto divino ai soli successori legittimi di Pietro. Per questo Pio XII, nella medesima esortazione, applicava alle ordinazioni episcopali illecite la frase del vangelo di Giovanni (10, 1): «Chi non entra nell'ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante». Il vescovo che nomina e consacra nuovi vescovi contro la volontà del Papa sta rubando una prerogativa che non gli appartiene. E nessuno, nemmeno il Papa, per nessuna ragione ha la facoltà di contraddire la legge divina.
Dunque l’argomentazione per cui Mons. Marcel Lefebvre non sarebbe scismatico perché non ha voluto trasmettere la giurisdizione, ma solo il potere d’ordine, non regge, perché anche la nomina episcopale e la consacrazione sono riservate alla Sede Apostolica, la quale poi ha altresì la prerogativa di confermare o non confermare l’avvenuta consacrazione; spetta infatti al solo Capo del Collegio accettare un vescovo nel Collegio o respingerlo. Purtroppo, Mons. Lefebvre ha usurpato il primato del Papa su tutta la linea.
L’argomentazione suddetta non è accettabile anche per un’altra ragione: il potere d’ordine e il potere di giurisdizione sono certamente distinguibili l’uno dall’altro, ma non sono separabili. Come aveva mostrato P. L.-M. De Blignières (in Réflexions sur l’épiscopat «autonome», Supplemente doctrinal n. 2 à «Sedes Sapientiæ», giugno 1987, scaricabile qui), «l’episcopato comporta una relazione alla reggenza della Chiesa che gli è essenziale». Seguendo l’insegnamento di San Tommaso, l’episcopato si distingue dal presbiterato in quanto «non ordina direttamente a Dio, ma al corpo mistico di Cristo» (Summa Theologiæ, Suppl. q. 38, a. 2, ad. 2). La pienezza del sacerdozio conferita al vescovo comporta che egli sia ordinato essenzialmente al governo della Chiesa. Rimandiamo all’articolo per tutte le opportune citazioni che fondano queste affermazioni; qui ne richiamiamo solo una: «Un grandissimo numero di documenti liturgici, nella preghiera di consacrazione episcopale, indicano il “carisma” del vescovo come una “grazia spirituale del capo”» (J. Lecuyer, cit. in Réflexions sur l’épiscopat «autonome»,nota 22).
È per questa ragione che il Pontificale prevede che il mandatum apostolico venga richiesto prima di procedere con i riti di consacrazione. L’ordinazione episcopale comunica un’attitudine al governo della Chiesa e dunque un’attitudine alla giurisdizione, anche se poi in concreto non tutti i vescovi esercitano una giurisdizione. Un vescovo senza alcuna destinazione al governo della Chiesa, privato volontariamente di questa destinazione, è in sostanza una contraddizione; ed un vescovo che trasmette un “episcopato autonomo” (ossia che vuole trasmettere solo il potere d’ordine), come il candidato che lo riceve, sta dividendo qualcosa che Dio ha voluto unire e dunque, nuovamente, agisce contro la legge divina.
In ogni caso, ipotizzando per assurdo la possibilità di separare il potere d’ordine da quello di giurisdizione, bisogna comunque ammettere che anche per la sola consacrazione interviene sempre la prerogativa del Papa di nominare il candidato.
Il punto è che, pur volendo non trasmettere alcuna giurisdizione, le consacrazioni del 1988 sono state effettuate precisamente con lo scopo di sottrarsi alla giurisdizione del Papa, che quelle consacrazioni lecitamente vietava; la FSSPX ha altresì scelto di permanere in questa indipendenza per “mantenere la Tradizione”. Per quanto nobile possa essere il fine, si tratta pur sempre di un atto scismatico; perché lo scisma non è mai stato definito come la volontà di comunicare qualcosa che spetta al Papa (come la giurisdizione), ma come «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (CIC, can. 751, ugualmente CIC/1917, can. 1325 e Summa Theologiæ II-II, q. 39, a. 1).
Questo passaggio è cruciale. Prima di tutto, uno scisma non è il rifiuto teorico del primato di Pietro (questa sarebbe un’eresia), ma il rifiuto pratico di sottomettersi alla sua autorità, quando viene esercitata in modo legittimo; uno scisma consiste nel fatto di essere separati dal governo della Chiesa cattolica, che è una condizione inderogabile per appartenere alla Chiesa. Ora, la FSSPX ha rifiutato questa autorità non solo effettuando ed approvando le consacrazioni episcopali del 1988, ma continuando a sottrarsi al governo del Pontefice e dei vescovi in comunione con lui, non tenendo in alcun conto le sanzioni canoniche (tutti i sacerdoti della Fraternità rimangono sospesi a divinis e dunque non possono esercitare legittimamente il loro ministero), rifiutando ogni protocollo di regolarizzazione.
Una gravissima usurpazione dell’autorità del Papa e dell’Ordinario è la Commissione Canonica San Carlo Borromeo, con la quale la FSSPX si attribuisce la facoltà di togliere censure, pronunciarsi sulla validità dei matrimoni, dispensare dai voti, usurpando diritti che spettano solo all’Ordinario o alla Santa Sede. Lo stesso Lefebvre, che teoricamente non voleva trasmettere la giurisdizione, in una lettera scritta all’allora Superiore Generale, Franz Schmidberger, il 15 gennaio 1991, esplicitamente dichiarava, in riferimento alla Commissione suddetta, essere necessario «istituire autorità supplenti», per tutto il tempo in cui «le attuali autorità romane sono impregnate di ecumenismo e modernismo e le loro decisioni e il nuovo Codice di Diritto canonico sono influenzati da questi falsi principi». Lefebvre in sostanza aveva inteso dare alla FSSPX la giurisdizione necessaria per gli atti di cui sopra, contraddicendo se stesso e usurpando le prerogative della Sede apostolica e dei legittimi Ordinari.
I membri della FSSPX rifiutano altresì di comunicare in sacris con quanti sono in comunione con il Papa e il vescovo locale, anche quando si tratta del rito antico della Messa; la Fraternità erige chiese, seminari, monasteri e consacra altari senza tener conto della legittima autorità del vescovo locale su queste cose. In poche parole, la FSSPX si è organizzata precisamente per poter essere indipendente dalla giurisdizione del Papa e dei vescovi legittimi; ma il vero nome di una totale indipendenza dall’autorità del Papa e del vescovo locale è “scisma”.
Né lo scisma viene meno per il fatto che Benedetto XVI, il 21 gennaio 2009, aveva tolto la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre ‒ Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson (non più membro della FSSPX) e Alfonso de Galarreta ‒ spiegando il senso di questo atto, ossia togliere il «disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica», per favorire «i necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede» sulle questioni ancora aperte (a suo tempo).
La remissione di una scomunica non pone da se stessa fine ad uno scisma; uno scisma termina quando vengono meno le posizioni scismatiche, come quelle sopra brevemente elencate, che invece nella FSSPX persistono e dimostrano così una contumacia. Un esempio su tutti: il 7 dicembre 1965, Paolo VI tolse le scomuniche che pendevano sugli Ortodossi dallo scisma del 1054. Questo atto non ha posto fine allo scisma, evidentemente, perché gli Ortodossi continuano a non riconoscere né in linea teorica né in pratica le prerogative del Papa. Non è una contraddizione: questi pontefici hanno voluto togliere gli impedimenti canonici ad una piena comunione, perché le realtà interessate potessero fare atti concreti per entrare nella comunione con la Chiesa cattolica. Ma questi passi non sono stati fatti. Il rifiuto da parte dell’allora Superiore Generale della FSSPX, Mons. Bernard Fellay, di accettare il protocollo di accordo, così come il fatto che nulla è cambiato nelle loro posizioni, fa rimanere la Fraternità in una situazione scismatica.
Nel prossimo articolo cercheremo di capire perché i sacerdoti della FSSPX svolgano un ministero illecito e quali sono le conseguenze di questo atteggiamento.
2. Continua
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