Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’INCONTRO DELLA BUSSOLA

La scuola parentale, antidoto alla scuola che indottrina

La libertà di educazione e il confronto tra una scuola che forma al bene comune e quella moderna, ideologica e statale, originata dalla Prussia e poi importata anche in Italia. La scuola parentale come antidoto. L’abuso della tecnologia e i danni per i giovani. Dall’incontro della Bussola con Marco Sermarini e lo psicologo Roberto Marchesini.

Cultura 22_12_2022

La differenza tra la scuola nata da un cristianesimo maturo e quella moderna, l’impatto negativo delle ideologie - dal gender all’ambientalismo, per citare le più recenti - veicolate attraverso i programmi scolastici statali, un uso assennato della tecnologia, senza farsi travolgere dalla stessa, con tutto ciò che comporta soprattutto per le nuove generazioni.

È su questi grandi temi che si è tenuto il videoincontro dal titolo “Scuola, istruzioni per l’uso”, il quarto di una serie di sei appuntamenti fissati al martedì sera e proposti per il decennale della Nuova Bussola Quotidiana. La diretta streaming è stata moderata dal direttore Riccardo Cascioli, che ha avuto come ospiti Marco Sermarini, rettore della Scuola Libera Chesterton a San Benedetto del Tronto, e lo psicologo Roberto Marchesini, firma nota ai nostri lettori.

La libertà di educazione è stata il naturale filo conduttore del dialogo con gli ospiti, a iniziare da Sermarini, che ha raccontato la genesi della scuola da lui retta, ricordando che l’educazione “parentale” (termine entro cui ricadono più esperienze formative) è una possibilità garantita dalla Costituzione e da una serie di norme primarie e secondarie. A differenza della scuola paritaria, che Sermarini definisce «un modello dignitosissimo» ma non esente da «pastoie» collegate al pur modesto sostegno statale, «la scuola parentale sceglie semplicemente di svincolarsi completamente dall’idea dell’aiuto dello Stato e di andare sulle sue gambe». Come altre esperienze simili, anche la Scuola Libera Chesterton, sorta nel 2008 nell’alveo della Compagnia dei Tipi Loschi del Beato Pier Giorgio Frassati (un movimento ecclesiale), «è nata come opera di genitori e di famiglie, per mettere in piedi un’educazione a livello scolastico che sia conforme ai propri ideali». Si vive così la scuola come «un’opera missionaria», nella consapevolezza che «il cristianesimo passa anche da una vera posizione educativa e culturale».

La scuola parentale si pone dunque come un antidoto all’indottrinamento di Stato attraverso il sistema scolastico, un fenomeno che ha radici lontane. Di grande interesse in tal senso l’intervento di Marchesini, perché getta luce su qualcosa di cui si è persa memoria e che di fatto assuefà all’idea che la scuola debba essere come quella attuale. «Quando ci si lamenta dell’ideologizzazione della scuola», esordisce lo psicologo, «bisognerebbe ricordarsi che la scuola moderna nasce proprio per questo», scalzando via via la scuola intesa come «opera di carità», tipica dei secoli in cui il cristianesimo ha potuto maggiormente plasmare la società. «La scuola a cui siamo abituati noi, la scuola di Stato, obbligatoria e gratuita, nasce in Prussia, prima per opera di Federico II [di Hohenzollern, 1712-1786], sovrano militarista, e poi il modello viene in qualche modo proporzionato dopo le batoste che la Prussia prende contro Napoleone. L’idea era proprio quella di forgiare fin da bambini una nazione di soldati», con un’obbedienza cieca al sovrano, dunque all’autorità di turno, secondo le convenienze del momento. «Il modello prussiano - aggiunge Marchesini - è stato esportato prima in USA e nell’Inghilterra, poi è arrivato anche in Italia, con l’Unità. Basti pensare al libro Cuore, quella era una scuola assolutamente ideologica, massonica, anticlericale, non c’era libertà». Da lì, l’indottrinamento da parte di chi detiene il potere è proseguito fino ai giorni nostri, quando la scuola è preda di teoria del gender, Agenda 2030, eccetera.

Di contro, come ha notato Sermarini, «il cristianesimo ha saputo valorizzare nei secoli» una cultura e un’educazione per il bene dell’uomo, anche mutuando il meglio del mondo greco-romano, «come ad esempio le famose arti liberali, che sono una grande introduzione alla realtà che la Chiesa ha fatto propria e che fa parte di quella che possiamo chiamare civiltà occidentale, civiltà europea», secondo «un’idea sana di Europa». Con l’era moderna si assiste invece al tentativo di cancellare questa identità, un’operazione a cui «la scuola di Stato si presta perfettamente», grazie anche a un equivoco di fondo: «È una scuola apparentemente neutra ma che in realtà funge, volontariamente o involontariamente, da megafono delle idee dominanti».

I due ospiti hanno sottolineato i danni che vengono da un inappropriato o eccessivo uso della tecnologia, concordando tra l’altro sull’opportunità per gli studenti di non portare il cellulare in classe. Riguardo all’insegnamento, se è vero che in determinate situazioni «ci sono delle tecnologie utili», come argomenta il rettore della Scuola Libera Chesterton, «in generale noi utilizziamo un metodo molto classico e antico: il professore parla, fa esempi, spiega qualcosa e i ragazzi ascoltano, prendono appunti, intervengono, domandano, sono stimolati a fare domande, a cercare di capire. È quello che si dice “seguire un maestro”, qualcuno che ti introduca alla realtà vera e propria, non a quella virtuale». Sermarini, per la sua esperienza a scuola, e Marchesini, per i pazienti ricevuti nel suo studio, evidenziano gli scarsissimi livelli di apprendimento e le altre conseguenze negative che hanno accompagnato la didattica a distanza (Dad). Anzi, per Marchesini, «la Dad è stata un esperimento per abolire la scuola in presenza e fisica». Attraverso la sua attività, lo psicologo clinico ha potuto constatare di persona l’incremento dei pensieri e tentativi suicidari nei giovanissimi, vedendovi un legame proprio con la Dad, il lockdown e il terrorismo mediatico in tempo di Covid-19. Senza dimenticare, come rileva Cascioli, che le politiche per spingere gli studenti di medie e superiori alla vaccinazione hanno aggravato ulteriormente il quadro, emarginando i non vaccinati.

Tornando al vulnus dell’uso abnorme dei mezzi tecnologici, lo psicologo ha riferito come gli addetti ai lavori concordino sul fatto che gli schermi di cellulari, computer, tablet, ecc., «sono dal punto di vista cognitivo la peggior disgrazia che poteva capitare a queste generazioni […]. Tutti questi strumenti tecnologici e digitali hanno ridotto l’attenzione dei ragazzi a intervalli brevissimi». Il loro uso prolungato aumenta disturbi del sonno, irritabilità e nervosismo, e diminuisce la capacità di relazionarsi. Tutto ciò ha una serie di altri effetti, di cui Marchesini riporta un paio di esempi emblematici, vittime immateriali incluse: vedi il compianto assolo di chitarra...