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DIRITTI VIOLATI

Inchieste milanesi, si scatena il circo mediatico-giudiziario

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Mentre il Tribunale del Riesame rimette in libertà tutti e sei gli indagati, su stampa e tv vengono pubblicate intercettazioni e conversazioni private diffuse dall'accusa. Una gogna mediatica inaccettabile, un rapporto perverso tra procure e organi di informazione.

Politica 25_08_2025

L’inchiesta sull’urbanistica milanese ha subìto un primo, importante colpo d’arresto con la decisione del Tribunale del Riesame di Milano che, nelle ultime settimane, ha di fatto smontato l’impianto cautelare costruito dalla Procura. Tutti i sei arresti disposti il 31 luglio scorso, tra carcere e domiciliari, sono stati revocati: una dopo l’altra, le ordinanze sono cadute, fino alla liberazione di Manfredi Catella, fondatore e amministratore delegato di Coima (nella foto Imagoeconomica), ultimo degli indagati a tornare in libertà, che ha già annunciato la pubblicazione di un libro per fare luce sui particolari dell’inchiesta.

I giudici del Riesame, pur riconoscendo in alcuni casi la sussistenza di gravi indizi, hanno ritenuto non più attuali o addirittura insussistenti le esigenze cautelari che giustificavano le misure restrittive, dimostrando così come la carcerazione preventiva non fosse, come dovrebbe sempre essere, l’estrema ratio. L’inchiesta prosegue, certamente, ma questa ondata di liberazioni segna un momento cruciale in una vicenda che ha assunto, fin dai primi momenti, i contorni di un gigantesco caso mediatico-giudiziario. La misura per Catella è stata annullata come quelle precedenti di Tancredi, ex assessore all’urbanistica del Comune, Marinoni, Pella, Bezziccheri e Scandurra. In particolare, per Tancredi il reato è stato riqualificato da corruzione aggravata a corruzione nell’esercizio della funzione, meno grave, segno che lo stesso schema accusatorio è stato parzialmente rivisto.

Ma ciò che emerge in maniera dirompente, ben oltre il merito penale delle singole posizioni, è la modalità con cui quest’inchiesta è stata condotta sul piano della comunicazione e del rapporto tra giustizia e opinione pubblica. “Stop alla gogna”, hanno detto i penalisti milanesi in un appello che ha squarciato il velo sull’inquietante intreccio tra procure, stampa e presunta verità giudiziaria. «L’inchiesta milanese sull’urbanistica rappresenta il requiem della presunzione di innocenza», ha dichiarato l’avvocato Federico Riboldi, segretario della Camera Penale di Milano. Il tema, spiega, è che «se di fronte a provvedimenti come quelli del tribunale del Riesame non si riesce più neanche a fermarsi un momento per considerare che forse l’impostazione della Procura può essere sbagliata, ma anzi si mettono in piazza altre chat che proprio quel giorno vengono depositate dai pm, significa che c’è una disaffezione totale verso quel principio costituzionale».

Le intercettazioni, le telefonate, le conversazioni private – strumenti di indagine ancora al vaglio degli inquirenti – sono state riversate con allarmante disinvoltura nella sfera pubblica, amplificate da titoli gridati, approfondimenti televisivi, interviste, cronache d’assalto. Una narrazione costruita con l’eco implacabile dei media, che ha presentato l’impostazione accusatoria come verità già acquisita, ignorando che in questa fase l’unica “verità” disponibile è quella di una parte: l’accusa.

«Non è accettabile che una persona venga a sapere di essere indagata dai giornali - ribadisce Riboldi - Lo denunciamo da tempo. Se si rappresenta la posizione dell’accusa come verità, quando l’impostazione viene poi smentita dal Riesame o nel processo, ormai sono stati prodotti danni spesso irreparabili sulle persone, sulle aziende e sugli altri soggetti indirettamente coinvolti». Il riferimento è alle conseguenze personali, professionali e reputazionali subite dagli indagati, spesso prima ancora di sapere formalmente di essere coinvolti. Un cortocircuito democratico che pone interrogativi inquietanti sul rapporto tra giustizia e informazione.

«Quando c’è un provvedimento di un giudice terzo, come quello del Riesame, che mette in discussione l’impostazione accusatoria – aggiunge Riboldi – si dovrebbe dare atto di questo, e non continuare a rimanere piegati supinamente sulle posizioni dei pm». Invece è accaduto il contrario: proprio nei giorni in cui il tribunale smontava le misure cautelari, nuove intercettazioni e dettagli delle chat private venivano rilanciati su stampa e tv, alimentando ulteriormente il meccanismo della gogna.

Un meccanismo che Francesco Petrelli, avvocato e presidente dell’Unione delle Camere Penali fino al 2022, ha definito senza mezzi termini «una perfetta saldatura fra dispositivo mediatico, consenso popolare e indagini delle procure». Per Petrelli sentire un magistrato affermare con un sorriso di «avere una passione per la verità» rappresenta un uso distorto, populista e fuorviante del concetto stesso di verità nel processo. «Banale perché evoca un rapporto semplice e diretto fra verità e processo che, come ben sappiamo, non esiste affatto, essendo il processo a determinare la ‘sua’ verità e non il contrario. Populistico perché ammicca ad un facile consenso popolare all’indagine.

L’indagine sull’urbanistica, insomma, ha catalizzato tutti i peggiori e più noti difetti del circuito mediatico-giudiziario italiano: la spettacolarizzazione dell’inchiesta, l’anticipazione mediatica della colpevolezza, la creazione di un racconto univoco, in cui il pubblico ministero è il portatore della “verità” e il processo è poco più di una formalità.

Petrelli denuncia l’esistenza di «un irresponsabile intreccio di culture politiche populistiche, mediatiche e giudiziarie», un meccanismo incardinato su una falsa equazione: che sia l’indagine a definire la verità, e che le smentite giudiziarie siano solo dettagli trascurabili. Una deriva che affida al pubblico ministero «la formulazione anticipata della verità» e anche, di fatto, «il controllo delle scelte politiche e della funzionalità della democrazia».



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