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I DATI DEL 2020

La relazione sulla Legge 40: fallimenti e danni della Pma

Ancora criticità dalla fecondazione artificiale. La metà dei cicli a fresco sospesi o interrotti, 148 complicanze gravi, decine di migliaia di coppie disilluse, oltre centomila embrioni sacrificati solo con le tecniche omologhe. Sono i dati della Relazione annuale sulla Legge 40. E l’Aigoc chiede di inserire le adozioni nei Lea, al posto della Pma.

Vita e bioetica 24_11_2022

Nel 2020 la fecondazione artificiale ha subito un (benefico) rallentamento in Italia, a causa del Covid, ma le criticità e i pericoli ad essa legati sono rimasti e rimangono notevoli. Se le criticità sotto il profilo morale, sia per l’eterologa che per l’omologa, interessano quasi solo i cattolici (e nemmeno tutti, purtroppo), i pericoli e gli insuccessi delle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita, secondo il termine più politicamente corretto) sono facilmente constatabili da chiunque analizzi la pratica in modo obiettivo.

Basti vedere l’ultima Relazione annuale sull’attuazione della Legge 40/2004, pubblicata lo scorso 18 ottobre, ma passata come di consueto in sordina. Ancora una volta è stata l’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc) a cercare di tenere alta l’attenzione sul tema, sottolineando alcune delle maggiori problematiche emergenti dalla Relazione stessa.

Prendiamo ad esempio i dati per le tecniche di fecondazione a fresco (Fivet, Icsi). Su 38.728 cicli di trattamento iniziati, quasi la metà è stata o sospesa prima del prelievo degli ovociti (3.942) o interrotta dopo il prelievo (15.354). Riguardo ai cicli sospesi, la causa principale risiede nella mancata risposta alla stimolazione (2.312 casi), che - osserva l’Aigoc attraverso un comunicato del dottor Angelo Francesco Filardo - era «facilmente prevedibile prima di iniziare la stimolazione ovarica dai risultati degli esami ormonali (AMH) ed ecografici». In non pochi casi (259) i cicli sono stati sospesi per una risposta eccessiva alla stimolazione ovarica, che si lega - secondo l’Aigoc - a una stimolazione essa stessa eccessiva. Se si guarda inoltre ai cicli interrotti dopo il prelievo di ovociti, si nota che la causa che ha comportato più interruzioni (3.975, complessivamente) è il rischio di sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS). Tra le altre cause di interruzione, ben 4.975 situazioni, pari al 14,4% dei cicli iniziati, si spiegano con cinque diversi ordini di motivi (nessun ovocita prelevato, totalità di ovociti immaturi o degenerati, mancata fertilizzazione, mancato clivaggio, embrioni ottenuti “non evolutivi”) che erano prevedibili «tenendo in debito conto - scrive l’Aigoc - l’età della donna e gli accertamenti ecografici e di laboratorio».

Ancora a proposito di tecniche di Pma riguardanti il trasferimento di embrioni a fresco, nel 2020 le donne hanno registrato 148 complicanze gravi (99 per OHSS, 46 per emorragia significativa, 3 per infezione; vedi tabella 50, pag. 108), che si sono tradotte nella necessità di cure e ricoveri. Da sottolineare il fatto che dal 2010 in avanti la percentuale di cicli a fresco cancellati (sospesi e interrotti) sul totale di quelli iniziati è in costante crescita: nel 2010 era pari al 23,2%; nel 2020 si è giunti, come dicevamo, a quasi la metà, il 49,8%.

Ci sono poi le difficoltà successive, tant’è che solo il 13,4% dei 38.728 cicli iniziati a fresco è sfociato in gravidanze: in definitiva, ci sono stati 3.660 bambini nati vivi (con 13 morti neonatali), su un totale di 32.562 coppie trattate con Fivet o Icsi (in alcuni casi ci sono stati parti gemellari). Se si guarda al totale dei nati vivi con tutte le tecniche - omologhe ed eterologhe - di I, II e III livello si arriva a 11.305 bambini, il 2,8% dei nati in Italia nel 2020 (404.892, secondo l’Istat): 65.705 le coppie trattate, nel complesso. Risultati che testimoniano, in modo evidente, come il ricorso alla Pma rechi con sé un gran numero di tentativi falliti e illusioni, che crescono proporzionalmente al crescere dell’età. Riguardo ad esempio ai cicli a fresco nelle donne di almeno quarant’anni (tab. 19 nella Relazione), si osserva che nel 2020 ci sono stati appena il 4,2% di parti monitorati per cicli iniziati nella fascia di età 40-42 e ancora meno - ossia l’1,3% - per le pazienti da 43 anni in su.

Ma al di là degli scarsi risultati delle tecniche che comportano la produzione, congelamento o scongelamento di embrioni, rimane il problema di fondo della fecondazione artificiale, che slega l’atto procreativo da quello unitivo e attenta alla dignità dell’essere umano, usato come mezzo, per realizzare un desiderio. Un desiderio (il figlio) certamente comprensibile, ma da perseguire in accordo alla morale naturale, nella logica del dono da accogliere. Condivisibile in questo senso la proposta dell’Aigoc di escludere le tecniche di Pma dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) e di includervi piuttosto le adozioni.

Anche nel 2020, la Pma ha comportato il sacrificio di un gran numero di embrioni. Limitando il nostro sguardo alla fecondazione extracorporea omologa (per la quale la Relazione fornisce dati meno incompleti che per l’eterologa), nel 2020 sono stati trasferiti in utero solo 32.339 degli embrioni prodotti a fresco o con tecnica FO (scongelamento e successiva fecondazione di ovociti) su un totale di 74.871 embrioni dichiarati trasferibili e di 131.323 prodotti con le suddette due tecniche. Se si considerano nel calcolo anche gli embrioni scongelati nell’ambito della tecnica FER, quelli congelati/ricongelati a seguito dell’applicazione delle suddette tre tecniche (a fresco, FER, FO), al netto dei nati vivi risultanti dalle stesse (8.195), otteniamo un numero esorbitante di embrioni sacrificati: oltre centomila in un solo anno, precisamente 105.225. E questo solo per le tecniche di II e III livello che usano gameti della coppia (cfr. p. 46 e p.77). Ma basta tale spaccato per rendere l’idea dell’immensa catena di produzione che si cela dietro la fecondazione artificiale.

Si è accennato agli embrioni congelati: il loro numero nel 2020, per le tecniche extracorporee omologhe (a fresco, FER e FO insieme), è pari a 42.943. È opportuno ricordare, anche di fronte al periodico emergere di casi di cronaca o proposte (magari in buona fede) inappropriate, quel che insegna la Chiesa sia sulla crioconservazione degli embrioni in sé (contraria alla dignità umana) sia sul punto specifico degli embrioni già congelati.

Tra i pronunciamenti ecclesiali spicca l’istruzione Dignitas Personae (2008) della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), che al numero 19 recita: «Per quanto riguarda il gran numero di embrioni congelati già esistenti si pone la domanda: che fare di loro? Alcuni si pongono tale interrogativo senza coglierne la sostanza etica», scrive la CDF, che, dopo aver vagliato e giudicato inammissibili le principali “soluzioni” alla questione (uso degli embrioni a fini di ricerca, “terapia dell’infertilità”, “adozione prenatale”), afferma: «Occorre costatare, in definitiva, che le migliaia di embrioni in stato di abbandono determinano una situazione di ingiustizia di fatto irreparabile». E conclude sul punto citando san Giovanni Paolo II, che già nel maggio 1996 aveva lanciato un «appello alla coscienza dei responsabili del mondo scientifico ed in modo particolare ai medici perché venga fermata la produzione di embrioni umani, tenendo conto che non si intravede una via d’uscita moralmente lecita per il destino umano delle migliaia e migliaia di embrioni “congelati”, i quali sono e restano pur sempre titolari dei diritti essenziali e quindi da tutelare giuridicamente come persone umane».