La guerra in Ucraina manda l'Europa in tilt
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Tra dichiarazioni improvvisate e silenzi imbarazzati, i leader europei sembrano allo sbando di fronte all'evolversi del conflitto. E nemmeno l'Italia fa una bella figura.
Dichiarazioni improvvisate, bugie, parole in libertà ma anche silenzi imbarazzati e imbarazzanti. L'Ue e i governi europei sembrano andare in tilt di fronte al pessimo andamento del conflitto in Ucraina che sta progressivamente mettendo in evidenza e coprendo di ridicolo molte affermazioni formulate dai leader del Vecchio Continente.
Il 26 febbraio il presidente francese Emmanuel Macron, evidentemente senza essersi prima confrontato con i partner UE e NATO, ha detto di «non escludere» l’invio di soldati occidentali in Ucraina: «non c’è stato alcun accordo per l’invio ufficiale di soldati sul campo, ma non possiamo escludere nulla» aggiungendo che bisogna «rendersi conto che siamo sempre stati in ritardo di sei-otto mesi» nel sostegno militare all’Ucraina.
Un’affermazione bocciata immediatamente come irresponsabile dall’opposizione del Rassemblement Nationale di Marine Le Pen al parlamento francese ma che ha portato di fatto tutte le nazioni aderenti all’Alleanza Atlantica a negare vi siano piani di questo tipo o si discuta l’invio di truppe in Ucraina.
Il governo italiano in una nota ha ribadito il fermo sostegno all’Ucraina ma questo «non contempla la presenza sul territorio ucraino di truppe di Stati europei o NATO». Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che «non saranno mandati [in Ucraina] truppe o soldati» da parte di paesi europei o dai membri della NATO. Hanno preso posizioni simili i governi di Spagna, Svezia, Polonia e Repubblica Ceca. Anche il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha detto all’agenzia di stampa Associated Press che «non ci sono piani» per l’invio di truppe della NATO in Ucraina.
Da Mosca hanno fatto infine sapere che una simile iniziativa verrà considerato un atto di guerra contro la Russia, ma le dichiarazioni di Macron sembrano indicare una svolta più “bellicista” di Parigi rispetto al passato, confermato anche dall’invio di bombe guidate per aerei e missili. Una boutade che sul piano militare non ha alcuna credibilità. Il ministro della Difesa francese ha reso noto che riuscirà a fornire ogni mese all’Ucraina circa 3mila proiettili d’artiglieria, pari al fabbisogno di circa mezza giornata di fuoco delle truppe ucraine.
Intendiamoci, in Ucraina combattono già forze speciali e “volontari” di nazioni della NATO, così come droni, aerei-radar e da guerra elettronica di diverse forze aeree alleate in volo appena fuori dallo spazio aereo ucraino aiutano gli ucraini a colpire obiettivi in Crimea e Russia, ma evitando coinvolgimenti ufficiali nel conflitto.
Del resto nessuna nazione europea dispone di armi e munizioni sufficienti a far fronte con reparti di rilevante entità a un conflitto come quello in corso per più di qualche settimana tenuto conto che le forniture all’Ucraina negli ultimi due anni hanno svuotato i magazzini: per riportarli agli standard pre-guerra solo la Germania dovrà spendere più di 40 miliardi di euro e con i ritmi produttivi dell’industria della Difesa europea occorreranno anni.
Resta poi da chiedersi se in Occidente ci siano nazioni pronte a sopportare, in termini politici e sociali, tra i propri militari i tassi di perdite che si registrano tra le truppe di Mosca e Kiev, cioè migliaia di morti e feriti.
Alla luce di queste considerazioni le dichiarazioni di Ursula von der Leyen circa la necessità che l’Europa si rafforzi con acquisti congiunti di armi e munizioni come si fece coi i vaccini per il Covid-19 appaiono come un puro esercizio retorico. Innanzitutto il parallelo con i vaccini non sembra molto felice considerato che la von der Leyen non ha mai spiegato le sue intese con Big Pharma e gli acquisti con contratti segreti di un numero abnorme di vaccini rispetto alle esigenze della popolazione europea. Quando le sono stati chiesti chiarimenti in proposito, il presidente della Commissione Europea ne è uscita poco elegantemente affermando di aver perso le e-mail scambiate per raggiungere l’accordo con le aziende produttrici dei vaccini.
Ciò detto, gli acquisti congiunti di armamenti tra le nazioni europee sono un sogno perseguito a chiacchiere da anni ma in concreto la stessa Germania ha chiuso molti programmi congiunti con la Francia per acquistare aerei e missili americani o israeliani. La Polonia, impegnata in un massiccio programma di riarmo, acquista armi americane, britanniche e sudcoreane, non europee.
Per rinnovare le forze aeree la gran parte delle nazioni europee acquista F-35 ed F-16 americani, non aerei europei quali Typhoon e Rafale mentre in Est Europa gli statunitensi stanno fornendo ampie quantità di mezzi, elicotteri e carri armati di seconda mano. Eppure appare chiaro che se vogliamo davvero potenziare le capacità produttive e di ricerca e sviluppo dell’industria della Difesa europea dobbiamo garantire quanto meno un ricco mercato domestico mentre sta accadendo esattamente il contrario.
Proclami e slogan valgono ben poco se non trovano riscontri nella realtà. Lo si è visto anche con la morte di Aleksey Navalny, attribuita senza esitazioni in tutto l’Occidente agli sgherri di Putin benché non vi fossero prove certe sulle cause della scomparsa dell’oppositore detenuto nel nord della Siberia. Fiaccolate, commemorazioni, atti di accusa al presidente russo (definito «un figlio di…» da Joe Biden) ma a rovinare tutto ha provveduto il capo dei servizi segreti ucraini, il generale Kyrilo Budanov, che in 20 secondi ha messo KO tutta la narrazione degli alleati occidentali dell’Ucraina.
Budanov ha affermato il 25 febbraio (nove giorni dopo la morte di Navalny) che Il dissidente russo «è morto per un coagulo di sangue». «Si tratta di una morte naturale, la notizia è più o meno confermata. Potrei deludervi, ma quello che sappiamo è che è morto davvero per un coagulo di sangue».
Difficile etichettare come “putiniano” Budanov, le cui parole però confermano la versione fornita da Mosca che ha attribuito la morte di Navalny a un'embolia e poi ad una trombosi, quindi una tesi compatibile con la presenza di un coagulo di sangue. L’intelligence ucraino e il suo capo smentiscono quindi che il dissidente sia stato avvelenato con l’agente nervino Novichok o ucciso con un pugno al cuore, tesi in base alle quali la vedova di Navalny e tutto l’Occidente avevamo puntato il dito contro Mosca e Putin.
La dichiarazione di Budanov in pochi secondi ha screditato gli Stati Uniti e la UE che hanno varato nuove sanzioni contro esponenti russi strumentalizzando la morte del dissidente con ampie dosi di propaganda e disinformazione, con l’obiettivo di complicare a Putin la campagna elettorale per le elezioni presidenziali.
Lo confermano due elementi: il primo è che le parole di Budanov sono state ignorate dai governi occidentali ma anche (ed è più grave) dalla gran parte dei media che le hanno tenute nascoste o a bassa visibilità. La seconda è che la morte di Navalny non ha portato alcun vantaggio a Putin. Anzi, è vero il contrario poiché l’intero Occidente ha condannato la morte del dissidente attribuendola immediatamente a un omicidio commissionato dal Cremlino mentre anche all’interno della Russia vi sono state manifestazioni e proteste represse dalle forze dell’ordine.
Nei giorni scorsi anche l’Italia non ha fatto bella figura. Nessuna delle nostre istituzioni ha ritenuto di dover ammonire il presidente ucraino che in conferenza stampa ha annunciato che redigerà e consegnerà a governo e media italiani una lista dei filo-russi e filo-putiniani chiedendo che vengano «zittiti».
Sarebbe stato confortante che qualcuno da Roma ricordasse al presidente ucraino che in Italia, a differenza di quanto accade in Ucraina, non si mettono in carcere i sospetti “filo-russi” (un reportage del Guardian, del tutto ignorato o quasi in Italia, ne ha riferito ampiamente) né si chiudono giornali e televisioni, non si mettono fuori legge i partiti di opposizione ma soprattutto in Italia è ancora garantita dalla Costituzione la libera espressione delle idee e opinioni.
Comprensibile che concetti simili siano difficilmente spiegabili a chi considera eroe nazionale Stepan Bandera, che fece deportare ebrei e sterminare polacchi: una figura a cui in Ucraina dedicano piazze e monumenti, ragion per cui quando Zelensky parla di liste di proscrizione qualche brivido corre lungo a schiena. E poi come dovremmo fare a “zittire” i filo-russi italiani? Cucendo loro una bella stella rossa (oppure una foto di Putin) sulla giacca in modo che tutti li possano riconoscere? Di certo Bandera approverebbe.
A Roma qualcuno potrebbe almeno provare a spiegare all’uomo a cui abbiamo dato tante armi, denaro e credito che in Italia non è reato essere filo-ucraini, filo-cinesi, filo-americani o filo-francesi e non lo è neppure essere filo-russi anche perché l’Italia non è in guerra con la Russia. Semmai il problema in Italia è che abbiamo sempre avuto un’abbondanza di filo-stranieri ma una cronica carenza di filo-italiani.
Duole sottolineare che non solo la politica ma neppure i media (con qualche lodevole eccezione) hanno criticato la pessima performance di Zelensky. A volte quando i comici interpretano ruoli drammatici rischiano di scivolare nella farsa.