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CRISI DELLA QUINTA REPUBBLICA

La Francia perde di nuovo il governo. Ma Macron è aggrappato al potere

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Francia: il governo Barnier ha avuto solo tre mesi di vita, prima di essere bocciato da un'inedita alleanza di fatto fra estrema sinistra e lepenisti. Un caos politico che ha un solo colpevole: il presidente Macron.
- Le banlieue sono il nostro futuro di Lorenza Formicola

Esteri 05_12_2024
Michel Barnier (La Presse)

In Francia 331 deputati il 4 dicembre hanno votato alle ore 20,26 a favore della mozione di censura (sfiducia), ben oltre la maggioranza necessaria (289) per licenziare il governo. Michel Barnier diventa il primo capo di governo ad essere censurato dopo Georges Pompidou nel 1962 e il premier meno più longevo della Quinta Repubblica. Non è bastato l’appello ripetuto al senso di responsabilità nazionale, la colpa è tutta da ricercare sul ‘genio superbo’ di Emmanuel Macron e delle sue contorsioni continue dalla sconfitta subita nelle elezioni europee di giugno a ieri.

Quando ha assunto il suo incarico il 5 settembre, intorno a Barnier c'erano grandi speranze che, l’esperto 73enne gollista e conservatore, potesse trovare la via maestra per evitare le lacerazioni creatisi dalla folle decisione di Emmanuel Macron nel convocare le elezioni politiche, dopo la sua sconfitta elettorale a quelle europee, insieme all’ulteriore decisione dei “macronisti” di schierarsi con le sinistre (anche estreme) nel secondo turno dei collegi.  

Invece, dopo aver servito quattro volte come ministro del governo e due volte come commissario europeo, l’esperto negoziatore ed infaticabile mediatore Michel Barnier non è riuscito a creare il consenso necessario sulla sua proposta di legge di bilancio che avrebbe ridotto il deficit e creato le premesse per il rilancio del paese, dopo 7 anni di governi irresponsabili di Macron.

Le mozioni sono state presentata dai partiti di opposizione, dopo che Barnier ha fatto approvare, lunedì 2 dicembre, il suo controverso bilancio per la sicurezza sociale ricorrendo all’articolo 49.3 (senza un voto parlamentare). Il piano di Barnier era lacrime e sangue da 60 miliardi di euro, di cui 40 miliardi di tagli alla spesa e 20 miliardi di entrate aggiuntive.

Dopo quasi tre mesi di tacito sostegno al governo, il Rassemblement National, la tanto odiata destra di Marine Le Pen, ha dovuto fermarsi all’evidenza di come fosse impossibile proseguire nell’appoggio esterno ad un esecutivo che, in fondo, era costretto a prendere ordini da Macron.

Ieri dalle ore 16, l'Assemblea ha esaminato le mozioni di censura presentate dalle sinsitre unite nel “Nuovo Fronte Popolare” e dall'alleanza tra “Rassemblement National e Ciottisti” (ex Repubblicani). La sinistra rimprovera al governo di perseguire una politica "bocciata alle urne", mentre la destra conservatrice lo accusa di promuovere un progetto di bilancio "pericoloso, ingiusto e punitivo". Il dibattito è terminato alle 19,36 dopo un ultimo appello accorato di Barnier che ha ricordato il deficit e la crisi francese, una dura realtà  che «rimane, e non scomparirà con la magia di una mozione di censura. È una realtà che qualsiasi governo dovrà ricordare».

Le due mozioni di censura sono sottoscritte da 325 deputati, molti più dei 288 necessari per far cadere il governo, cosa che non accadeva in Francia dal 1962. Solo una volta, durante la Quinta Repubblica in piena crisi algerina, quando l'Assemblea Nazionale rovesciò il governo di Georges Pompidou il 4 ottobre 1962. Allora il generale Charles De Gaulle sciolse immediatamente il Parlamento ed indisse le elezioni, ora invece la censura del governo Barnier, senza possibilità immediata di scioglimento per il presidente, inaugura un episodio senza precedenti nella Quinta Repubblica, elogiata per più di sessant'anni per la sua stabilità di governo.

Nel pieno della crisi politica francese, il principale artefice del caos politico e della sofferenza economica del paese, Emmanuel Macron è stato in visita a Riyadh, trovando il tempo di dire ai giornalisti di «non credere nel successo del voto di censura» e accusando, con incredibile malafede e spocchia, il «cinismo insopportabile» del RN e di Marine Le Pen, se avesse unito i suoi voti a quelli del NFP di Melenchon, pur di far cadere il governo.  Molto più serio, seppur inascoltato, l’appello di Michel Barnier su TF1 e France 2 in cui chiedeva a ciascun deputato di assumersi «una parte di responsabilità», sperando che «l'interesse superiore del paese prevalesse». Nella presentazione della mozione di censura, Marine Le Pen ha ribadito che «le istituzioni ci costringono a mescolare le nostre voci con quelle dell'estrema sinistra e che la scelta politica peggiore sarebbe quella di non censurare il governo ed il suo bilancio».

Macron potrebbe chiedere a Barnier di continuare a ricoprire un ruolo di Primo ministro di transizione, mentre cerca di nominare un nuovo premier, anche se questo potrebbe voler dire attendere il gennaio 2025.

Macron, a margine del suo viaggio in Arabia Saudita, ha escluso le sue dimissioni: «Sarò presidente fino all'ultimo secondo». Legato alla cadrega, nella convinzione di esser l’unico a poter salvare il paese, mentre lo sta affossando brutalmente. In fondo, il suo genio e la sua sregolatezza l’hanno portato dopo la sconfitta alle elezioni europee a convocare le elezioni politiche, come abbiamo descritto su queste pagine, nell’estate del 2024 ad allearsi con la sinistra, compreso Jean-Luc Mélenchon, per battere Marine Le Pen. Successivamente a formare un governo con premier un gollista di destra come Barnier che per sopravvivere aveva bisogno di “Rassemblement national” della Le Pen. Quell’Emmanuel Macron che tutti i mass media e gli opinion maker d’Europa rincorrevano, sino a pochi mesi orsono, come il genio della politica e della rinascita del continente, dà prova d’esser pronto a tutto pur di rimanere al potere. Finirà, politicamente parlando, come Luigi XVI?