La Francia è tutta una banlieue. Ed è il nostro futuro
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Oltralpe la miscela esplosiva tra immigrazione incontrollata e ideologia woke presenta il conto al grido di “ci avete colonizzato, adesso tocca a noi”. Tra baby gang, droga e violenza generalizzata la cronaca è un bollettino di guerra. E descrive ciò che domani accadrà da noi.
«Di fronte a questa gioventù alla deriva, sono per una soluzione educativo-militarizzata», parola del ministro dell’Interno Bruno Retailleau. E potresti credere di essere nel 2007, quando Ségolène Royal, candidata alla presidenza contro Sarkozy, espresse la volontà di creare «centri educativi rafforzati con supervisione militare» per i giovani delinquenti.
Da allora niente è cambiato, tutto è peggiorato. Retailleau, ministro del neonato, e già moribondo, governo Barnier, è costretto ad affrontare l’ennesima stagione di violenza in Francia in una spirale di gang di giovani immigrati e narcobanditismo che affronta una nuova recrudescenza.
Il 3 novembre, a Poitiers, davanti a un negozio di kebab, una sparatoria ha provocato un morto e quattro feriti, tutti minorenni. Altre due sparatorie sono scoppiate a distanza di 24 ore l’una dall’altra vicino a Valence, nel Drome, costando la vita a un 22enne e un 18enne. Una settimana prima, un bambino di cinque anni che viaggiava nell’auto del padre – noto trafficante di droga – è rimasto in pericolo di vita dopo essere stato gravemente ferito da un colpo di pistola alla testa durante un inseguimento avvenuto poco dopo una sparatoria legata al traffico di droga a Rennes.
Un quindicenne è stato ucciso con cinquanta coltellate e bruciato vivo, nel centro di Marsiglia, da una banda di “neri” tre giorni prima che un conducente di NCC venisse ucciso a sangue freddo, al collo, da un 14enne, “sicario” in erba.
Pagine di cronaca come bollettini di guerra. Ancora nei primi giorni di novembre, scene da Arancia Meccanica si sono viste sul treno regionale che collega la banlieue – a Ozoir-la-Ferrière, sudest di Parigi, non lontano da Disneyland – alla capitale francese, all’ora di punta, quella in cui i pendolari si muovono verso gli uffici a Parigi e i ragazzi vanno a scuola. Quattro adolescenti con nello zaino, invece dei libri, coltelli da cucina e mazze da baseball, hanno fatto un agguato ad un gruppo rivale. Il bilancio da "New York degli anni ’60" ha contato un minorenne con la mano tagliata in due e un altro con il cranio aperto, decine di feriti e un arrestato.
Qualcosa di simile a quello che accadde lo scorso anno a Crèpol, a pochi passi dalla Valence delle sparatorie d’inizio di novembre, dove una banda di dieci ragazzi incappucciati fece irruzione ad una festa di liceali con spranghe e coltelli, al grido di «morte ai bianchi». La notizia della caccia ai ragazzini bianchi scosse, però, le associazioni antifasciste che giudicarono poco carino il cristallizzarsi di media e politica sul carattere razzista della mattanza.
E così Crèpol, un paesino di poche centinaia di anime, ostaggio dell’immigrazione incontrollata e illegale, come lamenta anche il sindaco, è diventata, oggi più che mai, il simbolo di una Francia che affoga in una strana ridda di regolamento di conti tra baby gang di immigrati, narcotraffico e criminalità locale.
Perché la cronaca inizia a definire i contorni di una situazione che non è certamente nata in casa Macron, ma semplicemente più visibile. Si tratta del nuovo teatro dei disordini. Se fino a qualche anno fa, infatti, erano sotto i riflettori solo le banlieue – la cintura dei sobborghi parigini – o alcune grandi città, adesso criminalità e disordini sono anche nelle medie e piccolissime città. È quello che il partito di Le Pen ha denunciato sopratutto durante l’ultima campagna elettorale raccogliendo, per questo, un enorme consenso: i nuovi alloggi dei piccoli centri sono stati invasi da una nuova popolazione di immigrati che ha abbandonato i grandi centri.
Adesso le seconde e terze generazioni di immigrati si scontrano non più in centro. E la città di Marsiglia, che Emmanuel Macron aveva promesso di ripulire e che, da gennaio, è stata teatro di diciassette narcomicidi, è diventata il modello di decine di altre piccole città con i suoi problemi clonati alla perfezione.
Con un’aria di vendetta messicana, tutta la Francia è ora ricoperta di sangue. Di messicanizzazione ha parlato proprio il ministro Retailleau, aggiungendo, «vedo nascere mini Stati, narcoenclavi sul territorio francese. La rete della corruzione si estende, minacciando la nostra stessa sovranità», e facendo, poi, riferimento all’immigrazione e al problema delle mancate espulsioni.
Eppure di “territori perduti della Repubblica” Georges Bensoussan parlava già nel 2002, denunciando i buchi neri in cui s’era insinuato già l’islamismo. Se quella denuncia non fece breccia allora, oggi sembra insulsa.
Sul campo i magistrati sollecitano le autorità ad attuare una sorta di piano Marshall per ripulire le città da droga e immigrazione. Intanto, il livello di allerta ha superato il suo massimo. E una nuova legge per arginare immigrazione e criminalità dovrebbe arrivare a fine gennaio, crisi di governo permettendo.
La Francia, tra i Paesi dell’Unione in vetta alle classifiche per il consumo di droghe, conta un traffico di droga che genera un giro d’affari compreso tra i tre e i sei miliardi di euro. Non è certamente un narco-Stato, ma le dinamiche incistate con l’immigrazione illegale e incontrollata, lasciano in Paese in una crisi di sicurezza che non si risolverà a breve. Le violenze sessuali sono cresciute del sette per cento, i furti con arma del sei, quelli in casa del quattro per cento e le truffe del tre. Rispetto a quello che accade oggi, le rivolte delle bande di immigrati islamici scatenate tra attentati, omicidi e assalti alla polizia in tutto il Paese nel 2020, sembrano poca cosa.
Il governo oggi disegna un progetto molto prudente: racconta di almeno 20 anni per vincere la battaglia. Ma quel che conta è che la piaga radicata in tutto il Paese annuncia il futuro prossimo dell’Italia.
Basti pensare che quanto accaduto a Milano in seguito alla morte di Ramy è stata la copia pedissequa di quello che ha visto la Francia, esattamente un anno fa, per la morte di Nahel: stesso profilo del ragazzino morto, stesse dinamiche nell’inseguimento e nelle rivolte selvagge. Ma nessuno l’ha notato.
«Se a ciò aggiungi quel tipo di odio tribale trasmesso dai tanti genitori e dai rapper violenti e dalle lobby wokiste contro la Francia, la polizia e la civiltà occidentale con una mentalità di rivincita “razzista-rovesciata” (razzismo anti-bianco e anti-giudeo-cristiani) al grido di “ci avete colonizzato, adesso tocca a noi”, vien fuori una bomba ad orologeria», spiega alla Nuova Bussola Quotidiana Alexandre Del Valle, politologo francese e specialista di geopolitica e Medio Oriente.
In Francia è già scoppiata la bomba, noi restiamo a guardare?
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