Il Tribunale stoppa le “due mamme”, ma non troppo…
Il Tribunale di Pisa ha respinto il ricorso di una coppia lesbica che chiedeva che il bambino avuto attraverso eterologa fosse riconosciuto figlio di entrambe: «Occorre rispettare la aspettativa naturale del bambino ad avere una mamma ed un papà». Ma poi scivola su una buccia di banana, dando l’idea di appoggiare de facto la doppia omogenitorialità.
Torniamo su un caso di omogenitorialità di cui ci eravamo già occupati quasi un paio di anni fa. Ricordiamo i fatti. La lei statunitense di una coppia lesbica ricorre alla fecondazione artificiale eterologa in Danimarca. Il bimbo nasce in Italia e l’altra donna - quella che non ha portato avanti la gravidanza e partorito il bebè - vorrebbe che l’ufficiale di stato civile del comune di Pisa trascrivesse nell’atto di nascita che il minore è figlio di entrambi, così come prevede la legislazione a stelle e strisce. L’ufficiale di stato civile rifiuta perché il nostro ordinamento vieta che un bambino possa avere due madri o due padri.
La coppia fa ricorso presso il Tribunale di Pisa lamentando che non riconoscere la cosiddetta madre intenzionale come genitore del minore gli avrebbe precluso l’esercizio di alcuni diritti, tra cui la cittadinanza italiana. L’Avvocatura dello Stato si era costituita in giudizio e aveva evidenziato «l’impossibilità nel nostro ordinamento di realizzare una genitorialità disgiunta dal dato biologico (eccezion fatta per il caso dell’adozione)». Inoltre aveva rammentato «il divieto normativo che anche la legge n. 40/2004 reca in sé, laddove esclude che si possa accedere alla procreazione medicalmente assistita tra persone dello stesso sesso». Tale divieto si fonda proprio sul fatto che, come già accennato, il nostro ordinamento non riconosce la doppia omogenitorialità.
Il Tribunale pisano a quel punto aveva fatto ricorso alla Corte costituzionale con l’intenzione di far dichiarare incostituzionali alcune norme del nostro ordinamento che impediscono il riconoscimento della doppia omogenitorialità. La Consulta aveva rigettato il ricorso per una questione meramente formale (clicca qui per un approfondimento). I giudici di Pisa, con le armi così spuntate, sono stati costretti, da ultimo, a non accogliere il ricorso della coppia a motivo del già menzionato divieto presente nella legge 40.
In merito all’obiezione che la coppia, rispetto alle normative di altri paesi tra cui quello statunitense che le riconosce entrambe come genitrici, sarebbe così discriminata, il Tribunale ha replicato nel modo seguente: «La circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia (Corte Cost. n. 221 del 2019; Corte Cost., sentenza 20 ottobre 2020 - 4 novembre 2020, n. 230)». Aggiungendo che «il diritto alla genitorialità non può essere rimesso all’autodeterminazione assoluta degli interessati».
Poi il Tribunale ha sottolineato «che (condivisibile o no) si può decidere di volere di che sesso essere, anche quando non si cambia quello biologico [cosa attualmente impossibile, nda], ma se si vuole diventare genitore, occorre rispettare la aspettativa naturale del bambino ad avere una mamma ed un papà che siano tali all’anagrafe e nella vita vera».
Dopo queste ultime argomentazioni condivisibili, poi il Tribunale scivola su un paio di bucce di banana. Il giudice dichiara che «seppur non potremmo mai trascrivere un matrimonio poligamico contratto all’estero, le mogli che vivessero in Italia avrebbero tutte diritto alle stesse forme di tutela e a vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali nascenti dalla situazione creatasi all’estero». Perché scrive questo? Perché vuole creare un’analogia con il caso dei bambini nati tramite fecondazione artificiale eterologa all’estero: questi bambini, si legge nella decisione del tribunale, «avranno diritto a vedersi riconoscere l’assistenza, la cura, l’educazione che ogni genitore deve ai propri figli, indipendentemente dall’atto di nascita. Quest’ultimo non può formarsi in Italia ma il genitore di intenzione, sulla base di consenso formato all’estero, non potrà per questo sottrarsi alle sue obbligazioni genitoriali».
In merito al primo termine dell’analogia - la poligamia - citiamo un passaggio di un commento vergato Margherita Prandi e Aldo Rocco Vitale per il Centro Studi Livatino: «Se non è riconosciuto lo status di coniuge, nella specie di moglie, neppure possono essere riconosciuti i diritti (e gli obblighi) a esso inerenti (di natura alimentare, successoria, economici o morali)». Dunque è falso affermare che la relazione di poligamia riconosciuta all’estero esplica intatti i suoi effetti anche qui da noi in Italia. Cosa diversa è invece per il minore che, al di là del modo in cui è venuto alla luce, avrà sempre diritto all’assistenza, alla cura e all’educazione da parte del genitore.
Riguardo invece al “genitore di intenzione”, affermare che questi «non potrà […] sottrarsi alle sue obbligazioni genitoriali» significa entrare in contraddizione con quanto indicato prima dove si dichiarava che il genitore di intenzione non può essere qualificato come genitore legale. Quindi da una parte pare che il Tribunale affermi che, sul piano giuridico, un bambino debba avere una padre e una madre e non due “madri”, ma poi, su altro versante, sembra che lo stesso Tribunale appoggi una doppia omogenitorialità non più de iure, ma de facto. Detto in altri termini, pare che il giudice pisano abbia detto: tu donna che non sei madre biologica del bambino non potrai figurare come genitore nell’atto di nascita, ma nella vita reale comportati pure come genitore.