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IL CASO

Il suicidio di “Mario” e l’ordine naturale rovesciato

È morto “Mario”, ossia Federico Carboni, primo caso di suicidio assistito autorizzato in Italia. Una vicenda paradigmatica per vari aspetti, dal rovesciamento dell’ordine naturale stabilito da Dio alla strumentalizzazione della sofferenza per portare avanti processi rivoluzionari e iniqui. Mentre migliaia di famiglie continuano, nel silenzio, a prendersi cura dei loro cari.

Editoriali 17_06_2022
Federico "Mario"_Foto Ass. Coscioni

Si chiamava Federico e non Mario. Federico Carboni ha autorizzato l’Associazione Luca Coscioni a rendere noto dopo la sua morte, avvenuta tramite suicidio legalmente autorizzato, la sua vera identità. Di Federico, alias Mario, abbiamo trattato più volte su questa testata (clicca qui, qui e qui).

Carboni, a seguito di un incidente stradale, rimase completamente paralizzato per 12 anni. Non volle andare in Svizzera per accedere al suicidio assistito, ma volle rimanere in Italia per creare un caso mediatico-politico-giudiziario-giuridico: il solito trucchetto dei Radicali per forzare il sistema. Al caso di Carboni calzava a pennello la sentenza n. 242 del 2019  della Corte Costituzionale che legittimava l’aiuto al suicidio (qui un approfondimento). Ne scaturì però un iter accidentato di carattere amministrativo tra Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, Comitato Etico e Associazione Luca Coscioni. La strada infine si appianò e ieri Carboni è morto, dandosi la morte tramite un preparato letale e un macchinario del costo di cinquemila euro acquistato grazie alle donazioni di molti sostenitori dell’eutanasia.

Qualche settimana fa Carboni scrisse all’Associazione Luca Coscioni: “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita. Sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così, e come ho sempre detto, destino o colpa mia non lo so, ma io sono allo stremo sia mentale sia fisico, però pensando a prima dell’incidente, dove ho fatto e avuto tutto dalla vita, anche dopo ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità. Posso dire che da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco ci sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare, perché so che premendo quel bottone sarà un addormentarsi chiudendo gli occhi senza più ritorno, ma pensando ogni giorno, appena sveglio fino alla sera quando mi addormento, come vivo e passo le mie giornate e rimandare cosa mi cambierebbe, niente sarebbe solo rimandare dolori, sofferenze che non avrebbe senso, non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future, quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.

La vicenda di Mario/Federico è paradigmatica di cosa voglia dire il processo rivoluzionario, ossia il rovesciamento dell’ordine naturale delle cose volute da Dio. In primo luogo la vita - rectius la persona vivente - non è sempre un bene, al di là delle condizioni che possono minarne la qualità, ma può diventare un male, un fardello di cui liberarsi. Dall’indisponibilità alla disponibilità della vita.

Parimenti, l’ordinamento giuridico non difende più la persona costi quel che costi, ma si sottomette anch’esso al principio di disponibilità della vita. Dunque mantenere in vita una persona disabile, con o senza il suo consenso, può configurare un attacco alla sua dignità, quindi un delitto. Fino a qualche anno fa, delitti erano l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio, ora sono diventati diritti e il crimine vero è rifiutarsi di uccidere. Dal delitto al diritto.

In terzo luogo, sempre più spesso l’iter legislativo inizia dalla cronaca e finisce nelle aule parlamentari. I Radicali sono abili nel creare un caso massmediatico, che poi diventa giudiziario, quindi politico, per poi approdare alla Camera e al Senato (è proprio il caso del suicidio assistito: iniziato portando Dj Fabo in Svizzera per morire e finito con la probabile legalizzazione dell’aiuto al suicidio in Parlamento). Promotori delle leggi sono diventati associazioni di privati cittadini che trovano validi alleati in giudici ideologicamente orientati che fanno pressing sui parlamentari. Dalla divisione dei poteri alla subordinazione del potere legislativo a quello giudiziario.

In quarto luogo, il caso umano che, in mano ai rivoluzionari di professione, funge da apriscatole a danno delle normative che tutelano la vita, la salute, la famiglia e l’educazione sfiora la rarità, ma viene venduto come se fosse esemplare di un fenomeno diffuso. Sono circa quattromila le famiglie che assistono figli, mogli e mariti nelle stesse condizioni di Eluana Englaro e a nessuna di queste famiglie passa per la testa di staccare la spina. Parimenti è da dirsi per disabili gravi come Federico o Dj Fabo o Piergiorgio Welby: la stragrande maggioranza lotta per vivere, non per morire. Ma basta trovare una famiglia o un paziente di diverso avviso, o facilmente influenzabile, gestirlo massmediaticamente in modo efficace ed ecco che questo caso pietoso ha la meglio sul silenzio operoso di quattromila famiglie e di migliaia di persone disabili. Il grido di uno vince sul silenzio di mille, silenzio incolpevole perché i media danno il megafono solo agli attori di alcune storie che portano acqua al mulino della rivoluzione. Dalla pedagogia di una massa di buonsenso alla pedagogia di un’oligarchia con cattive intenzioni.

Sul fronte, poi, antropologico assistiamo ormai da tempo ad un’altra rivoluzione di carattere morale. Il libero arbitrio non deve più orientarsi al bene della persona per diventare autentica libertà, riconoscendo quindi l’esistenza di beni oggettivi preordinati alla persona, bensì sta accadendo l’opposto: è il volere/libertà della persona che crea il bene. Ciò che si vuole, per il fatto stesso che si vuole, è bene: qui sta il fondamento del concetto bacato di autodeterminazione. Dal riconoscimento del bene alla creazione del bene.

Sul piano sociale, inoltre, fino a ieri le persone fragili come Federico venivano incoraggiate a vivere, non a morire, erano tutelate contro spinte depressive suicidarie e non sostenute (se non spronate) nelle loro debolezze. Dall’aiuto a vivere all’aiuto a morire. Il caso pietoso, dal punto di vista sociale e massmediatico, veniva trattato con pudore e sommo rispetto per la sofferenza delle persone coinvolte. Oggi il paziente terminale, la donna che ha abortito, il coniuge divorziato, la persona omosessuale ingiustamente discriminata, la coppia che non riesce ad avere figli diventano bandiere, vengono strumentalizzati, anzi viene strumentalizzata la loro sofferenza e loro, ignari, purtroppo si prestano non di rado a queste strategie inique pensando di essere gli apripista di cambiamenti epocali. Dal rispetto alla strumentalizzazione.

Infine, una volta la Chiesa istituzionale tuonava contro tali derive. Oggi abbiamo il silenzio o addirittura, sempre più spesso, prese di posizione oblique, incerte o appannate, volutamente compromissorie. Dalla condanna al silenzio assenso.

In sintesi, dal bene al male… al peggio.