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VENEZUELA, IRAN, CINA

Gli Usa scendono a compromessi per isolare la Russia

L’amministrazione Biden ha annunciato il boicottaggio petrolifero della Russia, assieme al Regno Unito. Ma si sta preparando a scendere a compromessi con regimi ostili produttori di petrolio, quali il Venezuela e l'Iran. E probabilmente anche con la Cina si prepara una fase di distensione. Ne vale la pena?

- UNA PROFEZIA POLACCA SULLA RUSSIA di W. Redzioch

Esteri 09_03_2022
Nicolas Maduro

L’amministrazione Biden ha annunciato il boicottaggio petrolifero della Russia, assieme al Regno Unito: non acquisterà più alcun barile prodotto nel Paese che sta invadendo l’Ucraina. Il presidente americano ha premesso che la “libertà ha un costo”. Non si aspetta sicuramente una crisi petrolifera: il greggio russo copre appena l’8% del fabbisogno statunitense. Ma il prezzo può essere politico e diplomatico. Paesi produttori sottoposti a dure sanzioni statunitensi, quali Iran e Venezuela, possono avvantaggiarsi direttamente dalla crisi e chiedere con maggior forza negoziale di rimuovere le restrizioni.

Fra i pochissimi Stati che hanno votato contro la risoluzione di condanna alla Russia, nel corso dell’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il lettore si meraviglierà di non scorgere anche il Venezuela. La motivazione ufficiale è la sua assenza, dovuta alla sospensione del diritto di voto, a sua volta causata dal mancato pagamento degli oneri di partecipazione all’Onu. Ma è possibile che sia anche la diplomazia americana ad aver indotto un alleato di ferro della Russia, il regime di Nicolas Maduro, ad optare per questa forma di astensione. In cambio potrebbe esserci un alleggerimento di sanzioni, soprattutto sul petrolio.

Nicolas Maduro, da tre anni, non viene riconosciuto come legittimo presidente del Venezuela da parte degli Stati Uniti, che hanno interrotto ogni relazione diplomatica con il Paese latino nel 2019. L’amministrazione Trump aveva riconosciuto, quale unico legittimo capo di Stato il presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidó, leader dell’opposizione democratica. Ieri il presidente illegittimo Maduro ha però annunciato di aver incontrato informalmente un gruppo di funzionari statunitensi. A loro ha promesso di riprendere il dialogo con l’opposizione. Un’altra richiesta americana è la liberazione di sei ex dirigenti di Citgo (raffineria) cinque dei quali sono cittadini statunitensi. “È bello vedere di nuovo le bandiere venezuelana e americana fianco a fianco, dove è giusto che stiano”, ha dichiarato un Maduro soddisfatto e in rara vena di distensione con gli “yankee”.

È lecito pensare che la trattativa riguardi soprattutto il petrolio, perché il Venezuela sta conducendo, sotto traccia, una lunga trattativa con aziende finanziarie americane. Secondo fonti del Wall Street Journal, a gennaio già aveva trattato, per tramite di un ex ministro dell’Ecuador, Patricio Rivera, con gli imprenditori interessati per spingerli a fare pressione sull’amministrazione Biden, con il fine ultimo di rimuovere le sanzioni. L’apertura, ancora iniziale ed informale, a cui stiamo assistendo ora è probabilmente anche il risultato di questo lavoro di lobbying. Non tutti sono contenti. Il senatore democratico (stesso partito di Biden, dunque) Bob Menendez, ha dichiarato, senza mezzi termini: “Il regime di Nicolas Maduro è un cancro nel nostro emisfero e non dovremmo insufflare nuova vita in quel regno di tortura e omicidi”.

L’altro regime che potrebbe avvantaggiarsi della rottura fra Usa e Russia è quello non meno duro dell’Iran che, proprio in questa settimana, sta conducendo il round finale dei negoziati sul suo programma nucleare a Vienna. Anche qui, l’amministrazione Trump si era ritirata dal Trattato che limitava e rallentava la produzione di materiale fissile in Iran, considerandolo privo di garanzie e un modo sicuro per consentire al regime islamico di farsi la bomba atomica con il tacito consenso del mondo. L’amministrazione Biden, al contrario, ha voluto riprendere il negoziato per giungere ad un secondo trattato. La conseguenza dell’attuale rottura con la Russia è stata però subito registrata a Vienna, dove il regime di Teheran ha alzato la posta in gioco. Essendo, appunto, un grande produttore di petrolio, in un periodo di prezzi del greggio al rialzo, ha irrigidito la sua posizione. Ha subito creato un ostacolo molto grande alla riuscita della trattativa, impedendo a ispettori dell’Aiea (l’agenzia atomica dell’Onu) di accedere ad un sito sospetto di produzione nucleare. Mentre i negoziatori chiedono maggiori garanzie che gli Usa non lascino di nuovo il Trattato, una volta che questo dovesse essere firmato ancora.

Ad essere preoccupati per una conclusione troppo favorevole per l’Iran sono sia Israele che l’Arabia Saudita. Il premier israeliano Bennett, volato a Mosca in veste di mediatore, ha probabilmente anche esposto al Cremlino le sue preoccupazioni. Sembra un paradosso, infatti, ma, in piena guerra in Ucraina, la Russia partecipa al negoziato di Vienna in veste di mediatore. La delegazione russa ha affermato che la guerra in corso e la rottura con gli Usa non influenzeranno i negoziati. Non più di quanto non li abbiano influenzati finora.

Ma non è tutto: la volontà di isolare la Russia potrebbe spingere gli Usa a concedere delle aperture anche alla Cina? Per ora il Segretario di Stato Blinken si è rivolto alla controparte di Pechino, Wang Yi, chiedendo di prendere posizione. “Il mondo aspetta”, di vedere da che parte sta la Cina. Ma le sue dichiarazioni suonano come una richiesta di aiuto al colosso asiatico, per spingere Putin a interrompere l’attacco. Nikki Haley, ex ambasciatrice degli Usa alle Nazioni Unite ha deplorato l’atteggiamento del nuovo titolare degli Esteri: “Sono mortificata per il fatto che Blinken abbia chiesto aiuto alla Cina per la Russia”. Fra l'altro, proprio in un momento in cui la Cina era isolata, internazionalmente, sia per la sua repressione (ai danni di Hong Kong e dei uiguri), sia per essere stata oggettivamente responsabile della pandemia di Covid-19, non fosse altro perché non ne ha impedito la diffusione. I Democratici avevano contestato l’approccio unilateralista dell’amministrazione Trump, di cui la Haley era stata la voce all’Onu. Ma il multilateralismo di Biden potrebbe costare tanti compromessi con altri nemici degli Usa, che ne trarranno certamente vantaggio. A scapito degli Usa.