L'islam non dà scampo. La legge coranica come forma di jihad
Ascolta la versione audio dell'articolo
La Malesia inasprisce le pene della sharia, la legge coranica in vigore negli Stati a maggioranza musulmana. E i musulmani chiedono una repressione ancora più dura su tutto il territorio nazionale. Il jihad estende il dominio dell'islam, la sharia ne applica i dettami nei territori islamizzati.

In Malesia l’islam è la religione di stato benché i musulmani costituiscano soltanto il 63% circa della popolazione. Ad essi si applica, e con sempre maggiore intransigenza, la sharia, la legge islamica. È infatti diffusa volontà di gran parte dei malesi musulmani che venga fatta rispettare in maniera quanto più possibile rigorosa e restrittiva. Vorrebbero anche che la sharia diventasse legge ufficiale dello Stato. Secondo un sondaggio condotto nel 2022 dal centro studi Pew Research Center, l’86% dei musulmani sono di questo avviso.
Questo comporterebbe l’obbligo anche per chi non è credente di attenersi alle prescrizioni dell’islam. Non tutti i musulmani, ma certo molti, e non solo in Malesia, lo ritengono giusto. Anzi, sull’esempio del profeta Maometto, l’infallibile, e per volontà di Allah espressa nel Corano, parola di dio increata di cui non si può dubitare, una parte dei musulmani ritiene che dovere di ogni fedele sia contribuire a sottomettere il resto dell’umanità all’islam, se necessario con la forza, con il jihad, la guerra santa. Chiamano dar al-Harb, casa della guerra, i territori in cui la sharia non è ancora stata adottata.
Dar al-Islam, casa dell’islam, sono quelli già sottomessi nei quali quindi è doveroso vigilare che tutti pratichino con assoluta devozione la fede. Chi sbaglia, per errore o per omissione, per negligenza o per aperta ribellione, va ripreso, costretto e, se persiste, punito. Dove le autorità religiose e statali non vi provvedono o non lo fanno con la dovuta solerzia ed efficacia, ogni fedele ha il diritto e il dovere di intervenire. Il jihad, la guerra santa, è anche questo. Ne hanno fatto e continuano a farne le spese milioni di musulmani rei agli occhi dei confratelli militanti di essere deboli nella fede, di non praticarla con assoluta, totale sottomissione.
Gli algerini sono tra i musulmani che hanno pagato il prezzo più alto: 150mila morti negli anni 90 dello scorso secolo quando il Fis (Fronte islamico di salvezza) e il Gia (Gruppo islamico armato) hanno tentato di assumere il potere. Intere famiglie venivano sgozzate solo perché non pregavano “come si deve”. A bordo di motorini, i jihadisti inseguivano e uccidevano ragazzine che uscivano da scuola, vestite in “modo inappropriato”. Da oltre 20 anni una sorte simile tocca ai musulmani nigeriani nei 12 Stati settentrionali a maggioranza islamica che nel 1999, violando la costituzione, hanno adottato la sharia. Comprensibilmente si pone l’accento, e non abbastanza, sui cristiani perseguitati in Nigeria, dal gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda, Boko Haram, formatosi nel 2002, e dall’Iswap, affiliato all’Isis, nato per secessione nel 2016. Per entrambi jihad significa tanto liberare il nord del paese dalla presenza della minoranza cristiana quanto imporre ai musulmani l’osservanza rigorosa della sharia. Uccidono i cristiani, bruciano le chiese, ma fanno altrettanto con i musulmani e le moschee. Anzi, quando si fanno esplodere in una stazione di autobus o in un mercato affollati fanno quasi sempre, inevitabilmente più vittime musulmane.
«Il jihad è una valanga che si è abbattuta sul Sahel e sul nostro paese con l’intento di islamizzare tutta l’Africa. È una minaccia per tutti» commentava nel 2024 monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, presidente della Conferenza episcopale congiunta di Burkina Faso e Niger, spiegando che i jihadisti non colpiscono solo i cristiani e le loro chiese, ma anche i musulmani che non professano lo stesso islam e le loro moschee. A distanza di poche ore nel febbraio del 2024, avevano attaccato una chiesa e una moschea uccidendo in entrambi casi decine di fedeli.
Che in Malesia, come in altri Stati islamici, ci pensi il governo a far rispettare la sharia appaga i jihadisti. Ma ai fedeli costa in libertà, in dignità, se non in vite umane. Sono previste pene fino a tre anni di carcere, multe fino a 5mila Ringgit (poco più di mille euro) e fino a sei colpi di bastone per chi, ad esempio, non rispetta il Salat (l’obbligo di pregare cinque volte al giorno in orari stabiliti), non pratica il digiuno nel mese di Ramadan, tiene comportamenti ritenuti indecenti e commette khalwat, si intrattiene cioè in un luogo privato con un membro dell’altro sesso che non è un suo parente prossimo, un familiare.
Uno dei 13 Stati della federazione malese, il Terengganu, nel quale più del 90% degli abitanti sono musulmani, ha deciso di inasprire ulteriormente le pene. Il 18 agosto sono entrati in vigore gli emendamenti approvati nel 2016 alla legge adottata nel 2001 relativa ai reati penali riguardanti la sharia. Finora un uomo che, ad esempio, per tre volte consecutive non si presentava in moschea per le preghiere del venerdì era punito con al massimo sei mesi di carcere o mille Ringgit di multa. D’ora in poi mancare anche solo una volta senza una valida giustificazione comporta una pena fino a due anni di prigione e 3mila Ringgit di multa. «La preghiera del venerdì non è solo un obbligo religioso, ma anche un simbolo di obbedienza» afferma il consigliere esecutivo dello Stato Muhammad Khalil Abdul Hadi, responsabile degli affari islamici. In tutte le moschee verranno esposti degli striscioni per ricordare i loro doveri ai fedeli.
I controlli sul comportamento dei fedeli per accertarne il rispetto della sharia avverranno, come già in passato, tramite segnalazioni pubbliche, pattugliamenti disposti dalle autorità e operazioni dei funzionari del Dipartimento per gli affari islamici. Nel dare la notizia l’agenzia di stampa AsiaNews riporta una utile precisazione. Le nuove sanzioni riguardano le violazioni della sharia chiamate takzir per le quali è possibile stabilire punizioni discrezionali perché si tratta di reati per i quali né il Corano né gli Hadith (i racconti di quello che Maometto ha fatto e detto nel corso della sua vita) indicano pene specifiche ed è quindi facoltà dei tribunali della sharia e delle autorità governative determinare che pene infliggere. Altra cosa sono i reati hudud, come il furto o l’adulterio, per i quali invece le pene sono dettagliatamente indicate nel Corano o negli Hadith: il taglio delle mani e la lapidazione.