Eutanasia, un'altra vittima in Veneto. Grazie alla Consulta
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Ormai sono quattro le persone in Italia che hanno potuto accedere all’eutanasia tramite il suicidio assistito grazie alla famigerata sentenza n. 242/19 della Corte Costituzionale. La quarta è una signora in Veneto che risponde ai requisiti fissati dal precedente giudiziario. A chi appellarsi?
E quattro. Ormai sono quattro le persone in Italia che hanno potuto accedere all’eutanasia tramite il suicidio assistito grazie alla famigerata sentenza n. 242/19 della Corte Costituzionale (qui un approfondimento). La quarta è la signora Gloria, nome di fantasia, paziente oncologica di 78 anni che verrà aiutata a morire da un’azienda sanitaria della regione Veneto. Il Servizio sanitario regionale si farà carico di tutti i costi (è la seconda vittima dell’eutanasia in questa regione, la prima è stata il signor Stefano Gheller). Il risultato, come sempre, è frutto dell’instancabile e letale lavoro dell’onnipresente Associazione Luca Coscioni.
Dopo sei mesi sia l’azienda sanitaria che un comitato etico hanno verificato la sussistenza delle condizioni, indicate dalla Consulta, per accedere all’aiuto al suicidio: consapevolezza e autonomia della decisione di morire; presenza di una patologia irreversibile; sofferenza psichica intollerabile; qualificazione dei “farmaci antitumorali mirati” come trattamenti di sostegno vitale. Nel settembre del 2019 siamo stati facili profeti nel prevedere che i requisiti previsti dalla Consulta avrebbero allargato il bacino di utenza ad una pletora di pazienti pressochè infinita. In testa, qualsiasi paziente oncologico.
Il Veneto appare un po’ come l’Olanda nostrana in fatto di eutanasia. Infatti, come ricordava il dottor Paolo Gulisano da queste stesse colonne lo scorso maggio, la Regione Veneto, guidata dal leghista Zaia, ha approvato una mozione del M5S in cui la impegna a trovare percorsi idonei a favore di chi chiede l’eutanasia. Non solo, ma l’Associazione Luca Coscioni ha raccolto 7mila firme per presentare una proposta di legge regionale in Consiglio sul suicidio assistito, denominata “Liberi subito”. Per i radicali infatti non è sufficiente avere una sentenza della Consulta che permetta di aiutare qualcuno a morire, occorre invece una legge nazionale che legittimi l’aiuto al suicidio e, nelle more che questa arrivi, meglio anticiparla nei contenuti con norme simili varate a livello regionale. Ed infatti si stanno raccogliendo firme anche in Piemonte, Abruzzo, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. In Basilicata e Lazio invece ci stanno pensando alcuni comuni a proporre leggi regionali sul suicidio assistito. Infine in Sardegna, Puglia e Marche l’iniziativa è stata di alcuni consiglieri regionali.
Si tratta di un chiaro pressing psicologico sugli onorevoli di Roma – creare una prassi normativa diffusa tale per cui il Parlamento poi non possa che ratificare a livello nazionale ciò che succede già da tempo a livello regionale – una mossa a tenaglia al cui centro c’è il Parlamento che però difficilmente darà seguito all’indicazione della Corte Costituzionale. Infatti quest’ultima, al di fuori delle sue competenze, chiese al legislatore di intervenire sulla materia, richiesta per fortuna inevasa dai governi passati e da quello presente.
Che fare? Abbiamo avuto prove inoppugnabili che sui temi eticamente sensibili il centro destra tuttalpiù non continuerà l’opera di distruzione intrapresa dal centro sinistra, semmai conserverà lo sfacelo presente (clicca qui e qui) e quindi – nel caso in esame – darà attuazione alla sentenza della Corte costituzionale magari anche normando la materia a livello regionale. Se guardiamo poi alla gerarchia cattolica, Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia per la Vita – ossia l’organo che strutturalmente dovrebbe contrapporsi con ogni propria fibra all’eutanasia – ha esplicitamente appoggiato la sentenza della Corte costituzionale auspicando una sua traduzione legislativa (la sua rettifica è stata peggiore della sua prima uscita).
Dunque non possiamo rivolgerci né ai politici né agli uomini di Chiesa. Però possiamo e dobbiamo rivolgerci a Dio, e, insieme a questo, informarci e informare, formarci e formare, pregare, offrire sacrifici e testimoniare con la nostra vita che il buon senso non è completamente estinto. Sebbene molti lo scambino per follia.
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