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LA SENTENZA

La Consulta fa il legislatore: così sarà eutanasia per tutti

La Corte costituzionale ha detto “Sì” all’aiuto al suicidio, ma "solo" nel rispetto di alcune condizioni: paziente consapevole, sottoposto a trattamenti salvavita e in presenza di patologie irreversibili che causano sofferenze fisiche e psicologiche: quello che dovrebbe essere un freno, in realtà è un allargamento all'infinito del bacino di utenti che potrebbero chiedere l’eutanasia da oggi. L'ultima beffa: la Corte motiva il provvedimento per evitare abusi nelle persone vulnerabili. In realtà accadrà tutto l’opposto: ora che aiutare a togliersi la vita non è più reato, la persona particolarmente vulnerabile sarà assai più tentata di percorrere la via facile dell’eutanasia.

Vita e bioetica 26_09_2019

La Corte costituzionale ha detto “Sì” all’aiuto al suicidio, ma solo nel rispetto di alcune condizioni. Vediamo quali sono.

La non punibilità scatta allorquando la scelta di suicidarsi si è formata liberamente e autonomamente, scelta che è stata presa da soggetto “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Altre caratteristiche personali indispensabili per accedere al suicidio assistito sono le seguenti: il paziente deve essere “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale”. In questa espressione possiamo non solo ricomprendere nutrizione, idratazione e ventilazione assistita, ma qualsiasi terapia salvavita. Dunque il malato oncologico che si sta sottoponendo a cicli di chemioterapia e la cui sopravvivenza, perciò, non dipende da alcun macchinario potrà legittimamente chiedere al medico di aiutarlo a morire. Questa interpretazione, oltre a trovare validità nel tenore letterario delle parole usate dalla Consulta, discende anche logicamente dalla lettura della legge 219/2017, la cosiddetta legge sulle Dat che già aveva aperto ad alcune pratiche eutanasiche. Infatti già con questa normativa i pazienti la cui sopravvivenza dipendeva dalla nutrizione, idratazione e ventilazione assistita potevano chiedere di morire esigendo l’interruzione di tali presidi vitali, previa sedazione. Quindi se l’intervento della Consulta avesse riguardato solo questa categoria di pazienti, tale intervento sarebbe stato pressoché superfluo. 

Altra condizione che fa sempre riferimento ad una caratteristica personale dell’aspirante suicida: la patologia deve essere irreversibile. Quindi porte aperte a tutti i malati cronici affetti da patologie di per sé letali che richiedono cure continue, vedi i pazienti in dialisi. Dunque – ed è la notizia più saliente – se uniamo le due caratteristiche appena indicate (pazienti sottoposti a trattamenti salvavita e presenza di patologie irreversibili) ecco che il bacino di utenti che potrebbero chiedere l’eutanasia da oggi si allarga a dismisura. Aggiungiamo un nota bene: non serve essere ricoverati in ospedale per chiedere di suicidarsi. L’assistenza medica volta al suicidio potrà e dovrà essere effettuata anche a domicilio o dove più si aggrada.

Ulteriore condizione di carattere personale: la patologia deve essere “fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili”. Va da sé che questa indicazione fa scadere la pratica dell’aiuto al suicidio nell’arbitrarietà. Infatti il criterio qui indicato è meramente soggettivo ed è privo di riscontri oggettivi. In breve qualsiasi sofferenza sarà legittimante la richiesta di morire. Inoltre anche la sofferenza psicologica è criterio valido per chiedere il suicidio assistito.  Ad esempio facciamo il caso di Tizio che ha due bypass al cuore e che, anche per motivi diversi dalla sua cardiopatia, è fortemente depresso tanto da voler morire. Il soggetto, in accordo con quanto indicato dalla Consulta, è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (bypass) e lo stato patologico depressivo viene descritto dal medico come irreversibile. Tizio ha quindi tutte le carte in regola per ricorrere al suicidio assistito. Infatti, almeno stando al comunicato stampa rilasciato dalla Corte, la patologia irreversibile che provoca sofferenze insopportabili (depressione) potrebbe non essere quella per cui il paziente è sottoposto a trattamenti salvavita (cardiopatia).

Occorre inoltre rispettare non solo condizioni soggettive, cioè legate alle condizioni del paziente, bensì anche condizioni oggettive. In questo caso la Consulta da una parte non innova, ma rimanda semplicemente alla disciplina del consenso informato presente nella legge 219/2017. In particolare il futuro sucida dovrà essere edotto sulle alternative percorribili, dovrà rispettare alcune formalità per esprimere la sua volontà di togliersi la vita e potrà avvalersi di pratiche sedative. Su altro fronte la Consulta aggiunge qualcosa di nuovo al quadro normativo vigente: perché si possa legittimamente ricorrere all’aiuto al suicidio, è necessario che la verifica della presenza di tutte queste condizioni e la verifica che la procedura eutanasica avvenga nel rispetto della legge dovranno essere attuate per il tramite “di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. In breve si scaricano su ospedali, medici e comitati etici l’onere di accertare che tutto sia, dal punto di vista legale, ineccepibile. Onere a dire il vero facile da soddisfare, dato che, come abbiam visto, il filtro per accedere al suicidio assistito è composto da una trama a maglie assai larghe.

La Corte poi motiva questa sua apertura al suicidio assistito “per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili”. In realtà accadrà tutto l’opposto: ora che aiutare a togliersi la vita non è più reato, la persona particolarmente vulnerabile sarà assai più tentata di percorrere la via facile dell’eutanasia. Inoltre potrà accadere, con sempre maggior frequenza, che gli stessi parenti e medici suggeriscano al paziente psicologicamente fragile questa soluzione, perché ormai soluzione benedetta dalla legge. Dunque saranno proprio le “persone specialmente vulnerabili” le prime vittime di questa sentenza. Infine non è prevista l’obiezione di coscienza per i medici. Quindi se un paziente chiede di essere aiutato a morire il medico non potrà rifiutarsi. 

In chiusura una considerazione che non riguarda la nuova disciplina normativa, bensì l’ambito entro cui si è articolata la sentenza così come sintetizzata dal comunicato stampa emesso ieri (ci vorrà tempo per leggere la sentenza nella sua interezza). La Consulta ha giocato a fare il legislatore. Infatti i giudici non si sono limitati a dichiarare incostituzionale parte dell’art. 580 cp che sanziona l’aiuto al suicidio laddove, ad esempio, non tiene conto di alcune situazioni soggettive meritevoli di tutela demandando al legislatore la specificazione di questi casi, ma sono scesi nel particolare articolando una depenalizzazione parziale del reato che indica con minuzia le condizioni perché non scattino le manette. Una sentenza che è quindi una vera e propria legge. Naturalmente i giudici hanno così operato perché il Parlamento è rimasto inerte nonostante le ripetute sollecitazioni della Consulta. In questo senso l’“indispensabile intervento del legislatore” invocato dalla Corte in realtà non è per niente indispensabile perché è già tutto scritto in questa pronuncia. Semmai il parlamento farà un copia incolla oppure, scenario non improbabile, la maggioranza giallo-rossa aggiungerà alla legittimazione del suicidio assistito così come disegnato dai giudici anche la legittimazione di altre pratiche mortifere come la iniezione letale.

A margine: Cappato, sotto processo perché ha aiutato Dj Fabo a morire, va assolto perché, leggiamo nel comunicato stampa, “rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”. Poteva andare in modo diverso?