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L'INTERVISTA/ GIOVANNI BRUSSATO

Europa 2035, viaggeremo meno, in auto elettriche e saremo dipendenti dalla Cina

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Il Parlamento europeo ha votato per il divieto di produrre veicoli con motori a combustione interna dal 2035. Potranno essere prodotti solo veicoli elettrici. Ma c'è la possibilità materiale di compiere una rivoluzione dei trasporti così ambiziosa in così poco tempo? Secondo Giovanni Brussato, ingegnere minerario, questa politica renderà l'Europa molto più dipendente dalla Cina che ha la tecnologia e le materie prime necessarie. Ed anche la sostenibilità ambientale di questo progetto resta molto dubbia. 

Economia 16_02_2023 English Español
auto elettriche

L’Unione Europea ha compiuto un altro passo importante verso la transizione ecologica. Un programma massimalista, dalla teoria, sta passando ai fatti: il Parlamento europeo ha votato, con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti la messa al bando di veicoli con motore a combustione interna (benzina o diesel) di nuova immatricolazione a partire dal 2035. Questo non vuol dire che dobbiamo buttare via le nostre auto nel 2035, se non sono elettriche. Vuol dire, semplicemente, che dal 2035 non verranno più prodotte auto che non siano elettriche.

Si è molto discusso sugli aspetti economici di questa rivoluzione dei trasporti, calata dall’alto. Soprattutto si teme per gli effetti sull’occupazione, a causa di una trasformazione repentina dell’industria automobilistica. Però è bene capire anche gli aspetti materiali, nel senso letterale del termine. Ci sono le materie prime sufficienti per trasformare del tutto il mercato dei veicoli? E dove potremmo eventualmente reperirle? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere minerario.

Ingegner Brussato, entro il 2035, se non ci sono ripensamenti, dovranno essere prodotte solo auto elettriche. Quale potrebbe essere l’impatto sull’industria automobilistica?
Va chiarito un aspetto tecnico: il cuore dell’auto elettrica è costituito dalla batteria, ma non dobbiamo dimenticare neppure il motore elettrico e i magneti permanenti che sono delegati al suo funzionamento. Entrambi questi elementi sono prodotti soprattutto dalla Cina. Noi vogliamo sostituire un sistema industriale che si è costituito nel corso dell’ultimo secolo e mezzo con un nuovo sistema completamente diverso, in pochi anni. E lo dobbiamo fare inseguendo chi, questo sviluppo tecnologico, lo sta perseguendo da decenni. È inevitabile che si tratterà di un cambiamento non solo industriale, ma anche culturale, che ci vede completamente impreparati. Anche dal punto di vista della struttura: le auto elettriche, per essere fabbricate, richiedono una quantità di manodopera inferiore.

Noi disponiamo delle materie prime necessarie?
No, assolutamente no. Non solo noi, ma nemmeno l’Europa. Siamo tutti in una posizione di dipendenza dalla Cina, anche qui, per l’approvvigionamento delle materie prime. E per quanto vengano fatti bei discorsi programmatici, non si sta facendo nulla per renderci indipendenti, né in Europa, né negli Stati Uniti. Il nostro problema è che, per scelta, non vogliamo cercare ed estrarre le materie prime. Anche negli Stati Uniti la politica dell’amministrazione Biden è poco chiara in merito: da un lato è favorevole all’indipendenza, dall’altro mette paletti per far sì che ciò non avvenga. In Unione Europea, la von der Leyen qualche anno fa aveva lasciato annunciare al commissario Maroš Šefčovič l’intenzione di aprire nuove miniere, ma nell’ultimo discorso sull’Unione ha dichiarato che importeremo le materie prime da partner commerciali che condividono i nostri principi. Già questa è un’ipotesi molto sfumata.

La Cina detiene un quasi-monopolio sulle terre rare. Questo cosa comporta per noi?
Le terre rare sono 17 elementi che costituiscono componenti imprescindibili per sviluppare la tecnologia digitale e verde. Poi ci sono i metalli destinati alla transizione, come il cobalto, il litio, rame e nichel. La Cina, in questi decenni, con acquisizioni di miniera o facendo accordi di partenariato per sfruttare l’intera produzione, o comprando azioni, ha stabilito il controllo su produzione, prezzi e quantità che è fuori dalla nostra portata in questo momento. Ed è anche difficile capire quali possano essere le strade per scalzare, eventualmente, questo controllo. In concreto, solo l’amministrazione Biden sta facendo qualcosa, intervenendo nella diatriba fra Cina e Congo per la gestione dell’estrazione di cobalto, su prezzi e dividendi da dare al governo congolese. Per il resto, la Cina sta conducendo una politica che è molto difficilmente contrastabile. Fisicamente non è un problema reperire la materia prima, semmai è difficile il processo di raffinazione. Perché a questo punto entrano in gioco dei componenti come il torio e l’uranio che pongono problemi di accettazione ambientale. Noi abbiamo scelto da un pezzo di acquistare all’estero quello che ci serve: occhio non vede cuore non duole.

Ma le auto elettriche sono davvero più sostenibili?
Oggi come oggi l’impronta carbonica di una batteria è ignota. Non esiste un dato ufficiale. La stessa Catl, il più grande produttore mondiale (cinese) di batterie d’auto, ha calcolato l’impronta carbonica dei suoi stabilimenti, ma non del reperimento delle materie prime. Il rischio concreto è che, fra qualche anno, dovranno essere cambiate le componenti chimiche delle batterie. Sempre la Catl, dall’anno prossimo, produrrà batterie di ioni di sodio. Perché è un problema di costi. Oggi la competizione fra batterie è nei termini della loro autonomia: quale fa più strada, quale dura di più. Ma non ci si rende ancora conto che questa è una corsa contro il pianeta: i metalli con cui sono costruite sono limitati, hanno un costo ambientale e sociale devastanti: l’estrazione del nichel e del cobalto sono aggressioni fisiche agli ecosistemi di grandi dimensioni.

E parlando di sostenibilità economica, invece?
I prezzi, che finora sono scesi, oggi tornano a rincarare, perché se comunichi ai mercati che avrai bisogno di quelle materie prime, i prezzi si alzano indicando una loro futura rarità. La soluzione sarà quella di orientarsi verso materie meno rare e la cui estrazione richiederà un minore impatto sull’ambiente. Noi stiamo comunque parlando di una piccola parte del pianeta: Nord America ed Europa. Gli altri, di fatto, stanno producendo per noi. Ma se un domani questa tecnologia dovesse essere veramente distribuita a livello planetario, il problema si porrà: un conto è estrarre il nichel per 100 milioni di batterie, tutt’altro se ne devi produrre un miliardo e mezzo. Questo discorso vale per gran parte di materie prime. Per questo si pensa alla sostituzione delle materie chiave, come si sta già facendo con il litio a cui sta subentrando il sodio, più facile da replicare. Una mia idea personale sarebbe quella di poter sganciare la batterie dall’auto elettrica, rendendole, come la benzina, approvvigionabili dove si vuole.

E per quanto riguarda il rifornimento, ci saranno mai abbastanza colonnine per ricaricare le auto elettriche in circolazione?
Una normale colonnina di ricarica ha bisogno di una quantità di rame che va da 7 a 20 kg. Poi occorre l’espansione della rete, perché alle colonnine si deve pur portare l’elettricità. E si pensa di alimentarle con un mix energetico basato su fonti rinnovabili (perché altrimenti abbiamo completamente sbagliato strategia, se aumentiamo la produzione elettrica con fonti fossili). Partiamo dal rame: si prevede che il consumo globale entrerà in crisi entro i prossimi dieci anni. Non sarà solo una crisi di approvvigionamento, ma anche di sostenibilità. Un abitante di un Paese industrializzato consuma, mediamente, 10 kg di rame all’anno, in India meno di 1 kg. Quando l’India si elettrificherà, quel consumo sarà destinato a decuplicarsi. Il problema va molto al di là delle nostre colonnine. Fra qualche anno il rame diverrà caro come l’oro. Cambierebbe anche le nostre abitudini: per rubare l’oro occorre un ladro esperto, ma rubare il rame è molto più facile. Non stiamo pensando a come risolvere questi problemi. Di fatto, il costo dell’infrastruttura da realizzare sarà imponente e lo si dovrà far pagare a qualcuno. O lo si spalma sulla collettività o sarà fatto ricadere sui proprietari di auto elettriche. Ed è comunque impensabile che vi saranno tante colonnine quante sono attualmente le pompe di benzina.