Conferenza stampa: il "metodo Tucho" in quattro punti
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Presentando la dichiarazione "Dignitas infinita" il cardinal prefetto mostra come affermare che la dottrina non cambia per poi, di fatto, cambiarla. E con un sentore di rivincita verso chi lo ha preceduto.
Conferenza stampa di lunedì scorso del cardinal Víctor Fernandéz, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, in occasione della pubblicazione della Dichiarazione Dignitas infinita. Analizziamo gli highlights del suo intervento.
22’: Il prefetto racconta che Nicolò V nel 1452 permise al Re di Portogallo di assoggettare in schiavitù, con la bolla Dum Diversis, i saraceni e i pagani. Solo circa 80 anni dopo nel 1537 – continua il porporato – papa Paolo III condannò la schiavitù con la scomunica. Il card. Fernandéz conclude che il Magistero si evolve e dunque è errato chiedere a Francesco di non innovare (nota bene: poco prima aveva difeso a spada tratta Fiducia supplicans, dichiarazione che permette le benedizioni di coppie irregolari e gay). Piccolo particolare: i primi due pronunciamenti non sono pronunciamenti magisteriali, ma di governo. Impegnano il munus gubernandi e non il munus docendi. Nel governo della Chiesa i Papi fecero degli scempi inenarrabili e ci furono evoluzioni e involuzioni. Non così nella dottrina, dove i pronunciamenti ufficiali sono sempre stati tra loro coerenti. Si obbietterà: permettere la schiavitù comporta comunque che a monte si ritiene lecita a livello di principio la schiavitù stessa. Risposta: vero, ma tale principio non è confluito in un documento magisteriale, è rimasto confinato in un documento di carattere, oggi diremmo, politico. Non si è dunque insegnato l’errore.
Di contro i pronunciamenti criticabili di Francesco, oltre a riguardare il governo della Chiesa, sono anche pronunciamenti magisteriali. Quindi questi ultimi, nel discostarsi, anche a detta di Fernandéz, dalla dottrina di sempre non possono essere paragonati ai pronunciamenti citati di Nicolò V e Paolo III, proprio perché appartengono a due specie diverse. In Francesco notiamo una involuzione dottrinale dunque inedita.
53’: domanda di un giornalista: come conciliare le risposte ai dubia fornite dal Dicastero del luglio del 2023 dove i transessuali possono essere battezzati ed essere padrini nei battesimi (qui un approfondimento) con l’affermazione contenuta in Dignitas infinita secondo cui «qualsiasi intervento di cambio di sesso, di norma, rischia di minacciare la dignità unica che la persona ha ricevuto fin dal momento del concepimento»? Risposta (55’, 08’’): il battesimo del transessuale e il ruolo di padrino nel battesimo sono soluzioni pastorali ma che, così fa intendere implicitamente il cardinale, non toccano la dottrina. In realtà ogni scelta pastorale presume una scelta dottrinale. In modo analogo: ogni nostra scelta presume un principio morale che motiva quella scelta. La risposta non soddisfacente del prefetto è un’ulteriore prova della strategia dottrinale-pastorale di questo pontificato: affermare che la dottrina non muta e poi indicare come soluzioni pastorali prassi in contrasto con la dottrina. Ad esempio: benedire le unioni omosessuali e affermare che la dottrina sull’omosessualità non è mutata.
1, 16’, 15’’: viene posta una domanda sul grado di adesione richiesta al fedele alla Dichiarazione Dignitas infinita. La domanda sembra preparata perché, casualmente, Fernandéz ha sul tavolo il Codice di Diritto Canonico e il documento Lumen gentium, entrambi con un solo segnalibro a tomo: in entrambi i casi la pagina dove c’è il segnalibro riguarda l’adesione del fedele al magistero autentico. Il prefetto, leggendo questi due passi, afferma che è necessario obbedire al Papa non solo quando si pronuncia ex cathedra, ma anche quando si esprime tramite il magistero autentico. E aggiunge che quei vescovi e cardinali che criticano il Papa vengono meno al giuramento da loro prestato e presente nella Professio fidei (quando fa comodo norme e regole non ci imprigionano in una rigidità dottrinale non evangelica). Prendiamo Fiducia supplicans: dato che è un documento firmato da Francesco e che quindi dovrebbe appartenere al magistero autentico, il fedele dovrebbe prestargli «non proprio un assenso di fede, ma [un] religioso ossequio dell'intelletto e della volontà» (Codice di Diritto Canonico, can. 752). È così? No. Pensate se un Papa in un suo documento ufficiale scrivesse che Dio non esiste o che è moralmente lecita la pedofilia. Sarebbe un pronunciamento solo formalmente ascrivibile al magistero autentico, ma non sostanzialmente ascrivibile ad esso perché in contraddizione con la dottrina. È ciò che scrive Tommaso d’Aquino riguardo alla legge umana: «se in qualche cosa [questa] è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della legge» (Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2 c). E dunque sarebbe lecito dover prestare un ossequio dell’intelletto e della volontà all’errore? Certo che no. Ciò vuol dire che il criterio dell’assenso al magistero ordinario deve rinvenirsi sia nella verità del contenuto che nell’autorità di chi insegna: ma se manca uno dei due elementi viene meno il dovere di assentire e subentra la possibilità e a volte il dovere di dissentire.
Questa argomentazione è fatta propria dalla Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei, redatta dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede e firmata da Giovanni Paolo II (anch’essa quindi magistero autentico), laddove illustra la natura degli insegnamenti del magistero ordinario: questi insegnamenti «sono proposti per raggiungere un'intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all'errore» (10). E dunque se un documento del pontefice contraddice la Rivelazione, non è conforme con una o più verità di fede o diffonde opinioni pericolose che possono portare all’errore non è niente affatto magistero perché l’insegnamento, per sua natura, non può che essere orientato alla verità. Un magistero erroneo non è magistero. Lex iniusta non est lex.
1, 26’, 50’’: il prefetto conferma che il rifiuto alle benedizioni gay ci deve essere solo quando si può confondere con il matrimonio, ma la benedizione alla relazione omosex è di per sé moralmente lecita. A tal proposito narra di un suo articolo di quando era parroco in Argentina sulle benedizioni gay, articolo che, a causa dell’intervento di Roma (la Congregazione per l’Educazione Cattolica o dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, aggiungiamo noi), gli provocò non pochi guai: la sua nomina a Rettore dell’Università cattolica di Buenos Aires infatti slittò di 17 mesi. Quindi si è scoperto il motivo del ritardo della nomina: un articolo sulle benedizioni delle coppie omosex.
Legittimo quindi almeno sospettare che la pubblicazione di Fiducia supplicans, fatta proprio all’indomani del suo insediamento, risponda più ad un’esigenza di rivalsa verso Roma che a motivi pastorali. Una rivincita proprio sullo stesso tema che lo umiliò anni fa e nei confronti di quello stesso dicastero, ora da lui presieduto, che forse lo ammonì sul piano dottrinale.