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Caso Strickland: i vescovi non allineati finiscono male

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La diocesi texana di Tyler riceve una visita apostolica. Cosa non va? Finanze ok, seminario pieno, ma è guidata da un presule loquace e schietto: critico sul sinodo, non le manda a dire nemmeno al Papa (che apprezza la parresia, almeno a parole).
- Contro Woelki i media, i vescovi e ora anche la poliziadi Nico Spuntoni

Ecclesia 28_06_2023

Si è conclusa la visita apostolica alla diocesi texana di Tyler, disposta dal Dicastero dei Vescovi e condotta da due presuli emeriti, mons. Gerald Kicanas e mons. Dennis Sullivan, interpellando clero e laici. In attesa del verdetto ci si chiede quale sia il "movente". Cosa c’è che non va in una diocesi che – stando ai dati riferiti da Catholic News Agency – ha una buona situazione finanziaria e un numero di aspiranti preti superiore alla media?

Forse a non andar bene oltretevere è proprio il vescovo: mons. Joseph Strickland, 64 anni, che dal 2012 siede sulla cattedra di Tyler. Se da un lato la diocesi non ha rilasciato comunicati in merito e «al momento lo scopo immediato della visita è ignoto», scrive Church Militant, non è un mistero che Strickland abbia «certamente irritato membri di alto rango della gerarchia difendendo il deposito della fede e condannando le opinioni più eterodosse di vari altri prelati». È sufficiente dare uno sguardo all’account twitter del loquace e schietto vescovo per capire che non lo si può proprio definire propriamente “allineato” al clima ecclesiale dominante.

È dedicato a Nancy Pelosi il più recente tweet (al momento in cui scriviamo): mons. Strickland prega che il cuore della exspeaker nota per le posizioni abortiste sia distolta «dalle vie della morte e abbracci la via del Signore della vita». Netta l'opposizione al “pride” e alle lobby Lgbti (con tanto di frecciate all’indirizzo del presidente Biden e del gesuita-arcobaleno James Martin più volte elogiato dal Santo Padre). Aggiungiamo la lettera critica rispetto all’approccio vaticano sul vaccino. Oltre naturalmente alla chiara riaffermazione della spiritualità “classica”, per esempio sul Rosario o sull’Eucaristia.  

Schietto anche di fronte a Pietro e senza per questo disconoscerne l’autorità: Strickland chiarisce che «papa Francesco è il Papa» (di fronte a chi non lo considera tale) ma aggiunge «per me è il momento di dire che rifiuto il suo piano che mette a repentaglio il deposito della fede» – per esempio, per quel che riguarda il sinodo. Ciliegina sulla torta è la recente riscoperta della liturgia tradizionale che mons. Strickland ha celebrato per la prima volta nel 2020 (la sua testimonianza è riportata nel blog Messainlatino) che fa del suo un curriculum ecclesiale decisamente "indietrista", pertanto poco apprezzato a Santa Marta e “per venerato incarico” anche dal neo-prefetto del Dicastero dei Vescovi, mons. Robert Francis Prevost, che provenendo proprio dagli Usa si presume che avrà una particolare sollecitudine nel “depelagianizzare” l’episcopato a stelle e strice.

Per ora la diocesi di Tyler non ha emesso comunicati, il vescovo non vuol farne un affare di Stato e sarebbe persino «fiducioso» riguardo all’esito della visita, secondo una fonte di The Pillar; secondo un’altra invece, durante la visita è stato anche toccato il tema di un possibile sostituto. Se così fosse, anche mons. Strickland si aggiungerebbe alla lista dei “Disoccupati di Santa Romana Chiesa”, che da poco annovera mons. Georg Gänswein, accomunati da una visione più o meno critica del trend dominante dal 2013, tutto teso a “innescare processi” purché vadano nella direzione voluta (il problema è che innescando processi va da sé che si inneschino inevitabili attriti).

Stando sempre alle fonti di The Pillar, non è certo il tweet sul Papa ad aver fatto scattare la visita: del resto sarebbe alquanto surreale venire “attenzionati” dal Dicastero per un tweet, ma lo sarebbe ancor di più subire una visita apostolica per aver ripetuto ciò che la Chiesa ha sempre detto in materia, per esempio, di matrimonio e famiglia (tanto più all'epoca del "laboratorio" tedesco, che al di là di qualche bonario rimprovero resta libero di continuare a sperimentare e sovvertire tutto il possibile). Non si ricorderà mai a sufficienza che persino le voci critiche del pontificato ratzingeriano erano libere di parlare al tempo del cosiddetto “pastore tedesco”, senza mai venir bollati come “nemici del Papa” (espressione oggi ricorrente sulla bocca degli antipapali di ieri).

Quale che sia il destino di mons. Strickland, certo è che da tempo l’episcopato dovrebbe essere incluso tra i “mestieri usuranti: a Dio spiacenti e a’ nimici suoi, e talora pure dentro le sacre mura, aumentano i vescovi che sotto il peso del burnout episcopale si dimettono anzitempo rispetto ai canonici 75 (il caso più eclatante l’anno scorso è stato quello del vescovo di Lugano); qualcuno addirittura si pente di aver accettato la nomina (come il francese Ivan Brient) e si affretta a firmare la rinuncia prima dell’ordinazione, evitando che gli venga imposta sul capo una mitra che prima ancora di indossarla pesa quanto una corona di spine.

Due nomine curiose in questi giorni hanno evidenziato quanto sia instabile la cattedra episcopale: in Francia due ordinari sono stati retrocessi ad ausiliari lunedi 26 giugno. Si tratta di mons. Thierry Brac de la Perrière, che rinuncia al governo pastorale di Nevers e diviene ausiliare di Lione. E mons. Jean-Pierre Batut, non più vescovo di Blois ma dall’altro ieri ausiliare di Tolosa. Il primo è reduce da un periodo sabbatico per carenza di forze (altra illustre vittima del bournout). Del secondo, mons. Batut, non si sa molto, se non che il Santo Padre lo ha sollevato dal governo per sua richiesta («à ma demande», scrive nella lettera di congedo). Particolare curioso: al momento della nomina episcopale mons. Batut proveniva dalla parrocchia parigina di Saint-Eugène-Sainte-Cecile, dove si celebra in rito tradizionale (liturgia che il presule non ha dimenticato neanche da vescovo).

Sempre in Francia resta in attesa di verdetto romano la diocesi di Frejus-Toulon guidata da mons. Dominique Rey, cui dall’anno scorso la Santa Sede ha imposto di sospendere le ordinazioni. Neanche i vescovi possono più contare sul sospirato "posto fisso", specie se disallineati.



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