Avvenire incensa la Cassazione e benedice l'omogenitorialità
Ascolta la versione audio dell'articolo
La sentenza che cancella "padre" e "madre" guadagna il plauso dei quotidiano dei vescovi, con la firma di Luciano Moia, sempre in prima fila nel predicare il verbo LGBT tra i cattolici. Il metodo è sempre quello: esprimersi in modo ambiguo su tematiche in cui il Magistero è chiaro.
- Lettera a Zuppi: senza "padre" e "madre" anche la fede perde di significato, di Simone Pillon

La Conferenza episcopale italiana ha uno sponsor ufficiale per l’omosessualità. È la testata Avvenire. Responsabile del marketing in questo settore è Luciano Moia, da anni impegnato a diffondere il verbo LGBT tra i cattolici tramite le pagine del quotidiano dei vescovi. Quest’ultimo sabato scorso ha commentato con due articoli la decisione della Cassazione, anche da noi analizzata, di usare il termine “genitori” e non più “padre e madre” nelle carte d’identità dei minori per non escludere le coppie omosessuali. Un primo articolo, a firma di Alberto Gambino, critica la decisione dei giudici, seppur offrendo argomentazioni abbastanza fragili. Un secondo invece, a firma di Moia, giudica in modo positivo la sentenza della Cassazione. A margine: un giornale che si definisce cattolico su tematiche in cui il Magistero è chiaro non può assumere posizioni ambigue, ospitando pareri divergenti, ma deve avere una posizione netta ed unica, ossia esclamare un “No” deciso all’omogenitorialità e a qualsiasi sua legittimazione.
Torniamo a Moia. Il giornalista di Avvenire parte da un assunto: la «realtà ci dice, senza possibilità di mistificazione, che oggi […] ci sono persone che amano persone del sesso opposto, persone che amano persone dello stesso sesso, persone che non si riconoscono nel proprio sesso biologico. […] È la diversificazione dei modelli familiari di cui occorre prendere atto». L’approccio è quindi quello proprio della fenomenologia etica alla Benedetto Croce: se c’è un fatto, un fenomeno o una condizione, per il motivo stesso che esiste deve essere riconosciuto come moralmente buono e come giuridicamente legittimo. Ma, dice la ragione e quindi la fede cattolica, non tutto ciò che esiste è buono e ordinabile a Dio. Non tutto ciò che esiste dovrebbe esistere. Ci pare evidente. Eppure questa posizione viene etichettata da Avvenire come «un comportamento psicotico, che insiste nel ribadire con insistenza patologica concetti e comportamenti del tutto staccati dalla realtà».
Ma Moia si spinge oltre. La realtà omogenitoriale non si accosta in modo parallelo a quella genitoriale naturale, ma, seppur numericamente minoritaria, la scalza e così padre e madre vengono ridotti a simboli, perché superati dalla realtà contingente. E quindi non bisogna «nascondersi dietro simbolismi, quello materno e quello paterno, troppo importanti per essere strumentalizzati in un gioco politico». Padre e madre non sono più figure reali, ma simboli. Importanti, ma pur sempre simboli.
Proseguiamo: «Tutte queste persone esistono e hanno diritto di cittadinanza. Tutte e tutti hanno diritto all’accoglienza. Non è un discorso arcobaleno. Abbiamo dimenticato che al n.250 di Amoris laetitia, papa Francesco scrive che ogni persona, “indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto”? […] Questo è magistero, quindi è un concetto che impegna il credente». Doveroso accogliere la persona omosessuale e transessuale così come è doveroso non accogliere la sua omosessualità e transessualità. Doveroso accogliere il peccatore, ma non il peccato. E proprio a motivo della dignità della persona che occorre aiutare queste persone ad uscire dalla loro condizione disordinata e non confermarle nella stessa. Omosessualità e transessualità sono dunque condizioni non consone alla dignità personale, così come ricorda il Catechismo rispettivamente ai nn. 2358 e 2333. Anche e soprattutto «questo è magistero, quindi è un concetto che impegna il credente».
Appurato che invece per Moia l’omosessualità, dato che è realtà esistente, è condizione buona, ne discende logicamente il suo plauso alla «decisione della Cassazione di cancellare le parole “madre” e “padre” dalla carta di identità dei minori per ripristinare il termine “genitore” [che] Non è un’offesa all’antropologia. Anzi».
E poi occorre pensare ai «minori che vivono all’interno di coppie omogenitoriali e difenderne i diritti vuol dire rispettare la condizione in cui si trovano a vivere, peraltro con piena legittimità». Risposta sommessa di noi psicotici: il diritto del minore è crescere con un padre e una madre e, se possibile, con padre e madre naturali. Dunque l’omogenitorialità offende i diritti del minore e una sfilza di studi conferma che la crescita di un bambino all’interno di un contesto privo della figura materna o paterna è lesiva della sua salute psico-fisica e provoca danni sociali ingenti. Dato che a Moia piace tanto la realtà dei fatti lo invitiamo a leggersi questi studi.
La decisione della Cassazione è quindi da incensare perché legittimando l’omogenitorialità legittima di conserva anche l’omoaffettività. Questa esiste, ne dobbiamo prendere atto tanto che dovrebbe essere insegnata a scuola: «Ecco perché una decisione come quella della Cassazione […] può diventare un efficace esempio di educazione all’affettività, perché parla di dignità e di rispetto, di attenzione e di impegno a non discriminare nessuno». Da qui il titolo dell’articolo di Avvenire: «Sui documenti solo “genitori”? Un assist per l’educazione all’affettività». Quest’ultima, secondo il Nostro, dovrebbe essere obbligatoria a scuola anche per mettere a tema l’omosessualità e transessualità: «l’Italia, tra tutti i Paesi occidentali, è rimasta l’unica a mettere tra parentesi questo fondamentale momento educativo. Eppure tutte le persone di buon senso riconoscono che l’educazione all’affettività può rappresentare un antidoto potente – forse l’unico davvero efficace – alla violenza di genere e ai femminicidi. […] Le pretese di chi, oggi, rifiuta l’educazione all’affettività temendo di dover parlare in modo chiaro ai nostri ragazzi di scelte legate al genere e all’orientamento, è comportamento assai vicino alla perseverazione, perché rifiuta la realtà».
Un paio di telegrammi all’indirizzo di Moia. Primo: l’educazione è compito prioritario dei genitori, anzi del padre e della madre. Può essere delegato alla scuola, certamente, ma in certi campi, come quello all’educazione sessuale e soprattutto affettiva è bene non farlo, proprio perché gli argomenti hanno carattere sensibile, toccano l’intimità dei ragazzi, il loro vissuto e quindi chi meglio dei genitori potrebbe affrontare l’argomento perché chi meglio di loro – almeno sulla carta – li conosce? E poi: mi deve dire una prof come volere bene alla mia ragazza?
In secondo luogo è di palmare evidenza che, in quella prassi così cara a Moia, l’educazione sessuale nulla ha a che vedere con l’affettività, bensì persegue solo questi scopi: incentivare i rapporti sessuali, diffondendo l’aborto e la contraccezione per evitare malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate, nonchè promuovere il credo LGBT. Ce lo dice anche la storia. L’educazione sessuale nelle scuole fu inventata dal regime comunista in Ungheria nel 1919 con l’intento specifico di scardinare i valori cristiani – rispetto del matrimonio e della vita, la castità, etc. – tanto per ricordare le ascendenze della tanta celebrata educazione sessuale (per un approfondimento cfr. G. Guzzo, Le origini oscure dell’educazione sessuale, in Il Timone, marzo 2025). L’educazione sessuale è pure fallimentare rispetto ai fini che intende perseguire. Nel 2019 apparve sulla rivista scientifica Issues in Law & Medicine un articolo scientifico dal titolo Riesaminare le prove a favore dell'educazione sessuale integrale a scuola: una revisione della ricerca globale. Lo studio metteva sotto la lente d’ingrandimento 106 studi. Risultati: «solo sei hanno dato prova di reale efficacia» riguardo ai temi delle malattie veneree e alle gravidanze indesiderate. E questi sono fatti.
Ha ragione Moia. Diamo retta alla realtà.
Via padre e madre, assist della Cassazione alle adozioni gay
La Corte respinge il ricorso del Viminale e riscrive "genitori" sulla carta di identità dei minori per legittimare l'omogenitorialità. Una sentenza figlia della legge Cirinnà, che ha equiparato coniugi e coppie omosessuali: a portarla alle estreme conseguenze ci pensano i giudici.
L'adozione per i single apre la strada all'omogenitorialità
Per la Corte Costituzionale è illegittimo vietare alle persone singole di adottare minori stranieri residenti all’estero. Inevitabile il prossimo passo: le coppie omosessuali. E il diritto dei bambini è già travolto dal desiderio degli adulti.
Affondo su eutanasia e omogenitorialità: la Consulta vìola la Costituzione
Invitando il Parlamento a legiferare su eutanasia e omogenitorialità, il presidente della Consulta Barbera si intesta un potere che la Costituzione non gli dà. Se lo fa è per motivi ideologici, usando come criterio la “coscienza collettiva” che però non può essere il paradigma per chi deve garantire sulla costituzionalità delle leggi.
Se il governo patrocina la campagna pro-omogenitorialità
Il Ministero del Lavoro patrocina a Ravenna manifesti che promuovono l’omogenitorialità. Ma questa è vietata dal nostro ordinamento. Paradossale che un governo sostenga condotte antigiuridiche.