Aborto, la strategia di Kamala per incendiare gli animi
Kamala Harris ha detto che capovolgere la sentenza Roe vs Wade apre alla limitazione di contraccezione e “matrimoni” gay. In realtà nella bozza della Corte Suprema si parla solo di aborto. La vicepresidente lo sa ma le sue parole sono frutto di una strategia e di un pensiero liberista estremo. Un pensiero contrario a una vera dottrina politica orientata al bene comune.
Da quando è stata pubblicata in modo truffaldino la bozza della decisione della Corte Suprema (clicca qui e qui) - decisione non ancora definitiva - volta a cancellare la sentenza Roe vs Wade del 1973 che rese legale l’aborto in tutti gli Stati Uniti, il fronte pro-choice ha messo in campo un arsenale di strategie delle più varie. Qui vogliamo sottolinearne una, ben esplicitata dalla vicepresidente Kamala Harris.
La Harris è sempre stata un’abortista convinta tanto che, per citare un caso tra i molti che l’hanno riguardata, quando ricopriva il ruolo di procuratore generale per lo Stato della California mise sotto processo il fondatore del Center for Medical Progress, David Daleiden, perché nel 2015 aveva diffuso alcuni video in cui si rivelava che alcuni responsabili dell’organizzazione abortista Planned Parenthood commerciavano in tessuti e organi fetali.
Il 19 maggio scorso la Harris ha partecipato ad un meeting virtuale con alcuni esponenti di organizzazioni abortiste del Kansas, Texas, Missouri e Montana. La Casa Bianca ha reso pubblico solo il discorso iniziale della Harris, tutto centrato sulla recente bozza della decisione della Corte Suprema. Oltre ai soliti luoghi comuni propri del pensiero abortista (un esempio tra i molti: sul corpo delle donne decidono le donne), la vicepresidente ha insistito su un concetto che ruota intorno al diritto alla privacy: “Il diritto alla privacy che costituisce la base di Roe è lo stesso diritto alla privacy che protegge il diritto all’uso della contraccezione e il diritto di sposare la persona che ami, inclusa una persona dello stesso sesso. Capovolgere Roe apre le porte alla limitazione di tali diritti. Sarebbe un attacco diretto al diritto fondamentale all’autodeterminazione, a vivere e ad amare senza interferenze da parte del governo. In sostanza, si tratta del nostro futuro come nazione, del fatto che viviamo in un Paese in cui il Paese può interferire nelle decisioni personali”.
Alcune considerazioni. La prima di ordine strategico: la Harris sta dicendo agli americani di fare attenzione perché, se passa la linea della Corte Suprema, non solo il supposto diritto di abortire andrà in soffitta, ma verranno cancellati anche molti altri “diritti” come il “diritto” alla contraccezione e ai “matrimoni” gay. I giudici della Corte Suprema si aspettavano questa mossa e nella bozza hanno scritto nero su bianco che la loro decisione invece riguarda solo l’accesso all’aborto. La Harris lo sa bene, ma vuole creare panico, cercare qualsiasi pretesto per incendiare ancor più gli animi e tenta di pescare suoi alleati anche tra le fila dei gay o tra le donne che usano la pillola.
La Harris esplicitamente afferma che uccidere il proprio figlio è espressione del diritto all’autodeterminazione, diritto che deve essere tutelato dalle intromissioni statali. Ecco perché la Harris lega il “diritto” all’aborto al diritto alla privacy, che garantisce appunto che il singolo viva la vita che vuole, non influenzato da eventuali condizionamenti statali.
La visione politica e giuridica della Harris è propria di un pensiero liberista estremo: lo Stato deve tutelare e avvalorare il più possibile lo spazio di libertà del singolo prevedendo come unico limite la libertà degli altri singoli. Ma tale ultima libertà non è predicabile per alcuni soggetti e in relazione ad alcune attività o scelte. Così ad esempio non esiste la libertà del nascituro di venire alla luce, non esiste la libertà di chiunque di criticare l’omosessualità e la transessualità, di affermare che maschio e femmina, pur avendo identica dignità, sono diversi, etc. Insomma la libertà e il diritto alla privacy valgono solo per alcune categorie di persone e per certe condotte. Per le altre categorie lo Stato può dunque intromettersi pesantemente nelle esistenze altrui vietando e sanzionando fino alla reclusione. Ecco perché lo Stato non deve intromettersi nelle scelte abortive delle donne, ma a queste donne invece deve essere consentito intromettersi nella vita del nascituro impedendogli di nascere.
L’autentica, perché sana, dottrina politica invece predica ben altro: il principio cardine che deve guidare il governante è il bene comune. L’uccisione di una persona innocente, al di là della sua età, mina fortemente il bene comune e quindi deve essere sempre vietata. È un’intromissione nella vita privata di un cittadino? Certamente, perché è compito dello Stato impedire condotte gravemente lesive del bene comune e impedirle anche con la minaccia della pena. Lo Stato giustamente si intromette nella nostra vita ogni volta che, in vista del bene comune, ci comanda di fare qualcosa (pagare le tasse) o di astenerci dal far qualcosa altro (omicidio, furto, etc.). Il principio fondante di una nazione non è quindi il diritto alla vita privata e familiare, bensì il bene comune: il primo, in alcune circostanze, può e deve essere sacrificato in nome del secondo principio, perché più importante.
La bozza della decisione della Corte Suprema ha quindi messo in evidenza ancor di più il divario enorme che esiste tra diverse dottrine politiche tra loro inconciliabili e assai presenti nel tessuto sociale. Su un primo fronte abbiamo la preziosità intrinseca di ogni persona che quindi deve essere sempre difesa da parte dell’ordinamento giuridico perché espressione del bene comune. E su un secondo fronte troviamo un concetto libertario di autodeterminazione che lo Stato deve tutelare, ma solo a favore di certe categorie di persone, quelle socialmente più forti.