Corte Suprema USA, la bozza anti-aborto ai raggi X
Nella bozza a firma del giudice Alito, che intende annullare sia la Roe vs Wade (1973) che la Casey vs Planned Parenthood (1992), si sottolineano vari punti critici delle due sentenze abortiste: la Costituzione non prevede un diritto all’aborto, la Roe e la Casey sono antidemocratiche (usurpando il potere legislativo) e avallano una falsa libertà.
Torniamo a parlare della bozza a firma del giudice Samuel Alito della Corte Suprema degli Stati Uniti che intende annullare sia la sentenza Roe vs Wade del 1973 che legalizzò l’aborto in tutto il Paese sia la sentenza del 1992 Casey vs Planned Parenthood che, in buona sostanza, confermò l’impianto della prima sentenza. Appuntiamo che questa è una prima bozza, redatta in febbraio, a cui probabilmente ne sono seguite altre.
Il parere su queste due sentenze nasce dalla decisione della Corte d’Appello per il Quinto Circuito, la quale riteneva incostituzionale una legge del 2018 del Mississippi (Gestational Age Act), che prevede il divieto di aborto dopo la 15^ settimana di gestazione, eccetto in due casi particolari. Chi si è opposto alla decisione della Corte d’Appello ha chiesto che venisse sindacata la legittimità delle sentenze Roe e Casey. E così ha fatto la Suprema Corte. La vertenza presso la Corte è ancora aperta e si chiuderà verso fine giugno o inizio luglio, quindi sia la decisione sulla legge del Mississippi sia i giudizi contenuti nella bozza potranno ancora essere rivisti.
Partiamo dalla decisione che hanno sottoscritto i cinque giudici repubblicani: “Riteniamo che Roe e Casey debbano essere annullate. La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto, e nessun diritto del genere è implicitamente tutelato da alcuna disposizione costituzionale” (p. 5). Andiamo ad analizzare le motivazioni soggiacenti a questa decisione, ma prima è bene fare una precisazione. Alito scrive nel parere: “La nostra decisione non si basa su alcun giudizio in merito a quando uno Stato dovrebbe considerare la vita prenatale come avente dei diritti o interessi legalmente riconoscibili” (p. 29). La Corte quindi demanda ai singoli Stati tale questione legata all’eventuale soggettività giuridica del nascituro e, a monte, allo status personale dello stesso. Le due sentenze di cui sopra sono illegittime per altri motivi che qui andremo ad esaminare in modo sintetico.
LA TRADIZIONE GIURIDICA
I giudici della sentenza Roe legalizzarono l’aborto puntellandosi al principio della privacy che discendeva implicitamente da un altro principio contenuto nel XIV emendamento: il principio di libertà. Ma i giudici odierni della Corte Suprema, oltre a ricordare che in nessuna parte della Costituzione viene menzionato il diritto all’aborto, hanno avuto facile gioco a spiegare che era impossibile che gli estensori di quell’emendamento volessero ricomprendere l’aborto nel concetto di libertà: “Nel 1868, quando fu ratificato il Quattordicesimo Emendamento, tre quarti degli Stati, 28 su 37, avevano emanato norme che qualificavano l’aborto un reato” (p. 23). Gli altri Stati emanarono leggi simili negli anni successivi. A riprova di ciò la Corte, nelle Appendici A e B, riporta stralci di 50 normative che sanzionavano l’aborto. Dunque il XIV emendamento non tutela la libertà di abortire: “Nel momento in cui ci impegniamo, nel presente caso, in tale indagine [riguardante il concetto di libertà], la risposta evidente è che il Quattordicesimo Emendamento non tutela il diritto all’aborto” (p. 14).
Questa tradizione giuridica pro-life si è mantenuta sostanzialmente intatta fino alla sentenza Roe: “Al tempo di Roe, 30 Stati proibivano ancora l’aborto in tutte le fasi” (p. 2). Per quale motivo? “Vi sono molte prove che l’approvazione di queste leggi sia stata […] incentivata da una sincera convinzione che l’aborto uccide un essere umano” (p. 29). La Corte dunque sostiene che “la conclusione inevitabile è che il diritto all’aborto non è per nulla profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della Nazione” (p. 24), anche perché, all’opposto, esiste “una tradizione ininterrotta di proibire penalmente l’aborto [... ] dai primi giorni della common law fino al 1973. […] Fino all’ultima parte del XX secolo, nella legge americana non c’era nessun puntello per avvalorare un diritto costituzionale ad abortire. Zero. Nessuno. Nessuna disposizione costituzionale statale aveva riconosciuto un tale diritto. Fino a pochi anni prima della pronuncia Roe, nessun tribunale federale o statale aveva riconosciuto un tale diritto. Né c’era alcun trattato accademico di cui siamo a conoscenza” (pp. 24-25; p. 15) che lo riconosceva. Ciò a dire che la Corte nel ’73 s’inventò di sana pianta che l’aborto fosse un diritto, perché non c’erano puntelli né nella Costituzione né nella tradizione della common law americana.
L’ANTIDEMOCRATICITÀ
Quella decisione quindi appare chiaramente antidemocratica perché arbitraria, apodittica nelle sue premesse: «Non disponendo nient’altro che di un “potere giudiziario grezzo” la Corte ha usurpato il potere di affrontare una questione di profonda importanza morale e sociale che la Costituzione inequivocabilmente demanda al popolo. […] La Corte ha mandato in cortocircuito il processo democratico, impedendo di parteciparvi ad un gran numero di americani che hanno dissentito in vari modi da Roe» (p. 40). Questo atteggiamento impositivo è proprio anche della sentenza Casey la quale “ha rivendicato l’autorità di imporre una soluzione permanente relativa alla questione di un diritto costituzionale all’aborto semplicemente dicendo che la questione fosse chiusa” (pp. 63-64).
I giudici della Corte Suprema notano inoltre che la struttura della decisione Roe somiglia, più che a una sentenza, a un testo di legge. Una prova ulteriore che i giudici si sono messi a fare i parlamentari: “Senza alcun fondamento nel testo costituzionale, nella storia o nei precedenti, ha imposto all’intero paese un insieme dettagliato di regole molto simili a quelle che ci si potrebbe aspettare di trovare in una legge o in un regolamento” (p. 42).
LA LIBERTÀ
Come abbiamo visto la Roe fondava la legittimità di abortire sul concetto di libertà che, però, sino ad allora nessuno aveva esteso fino a ricomprendere la facoltà di abortire. Anche la sentenza Casey incardina il presunto diritto d’aborto sullo stesso concetto che - come si legge nel testo della sentenza stessa - corrisponde alla possibilità di compiere “scelte intime e personali. […] Al cuore della libertà c’è il diritto di definire il proprio concetto di esistenza, di senso dell’universo e del mistero della vita umana”. (p. 30) Alito però correttamente sottolinea che «la facoltà di agire sulla base di tali convinzioni può corrispondere a una delle tante concezioni di “libertà”, ma non è certamente la “libertà ordinata”» (p. 30) che è un concetto base dell’ordinamento giuridico statunitense. «La libertà ordinata pone limiti e definisce il confine tra interessi confliggenti. Roe e Casey hanno intaccato il particolare equilibrio tra gli interessi di una donna che vuole abortire e gli interessi di quella che hanno definito “vita potenziale”» (p. 31). Questo bilanciamento di interessi, per la Corte, non può essere demandato al supremo tribunale, bensì ai parlamenti locali: «Le persone dei vari Stati possono valutare tali interessi in modo diverso. In alcuni Stati gli elettori possono ritenere che il diritto all’aborto debba essere ancora più ampio del diritto riconosciuto da Roe e Casey. Gli elettori di altri Stati potrebbero voler imporre restrizioni severe sulla base della loro convinzione che l’aborto distrugge un “essere umano non nato”. La concezione storica della libertà ordinata della nostra Nazione non impedisce ai rappresentanti eletti del popolo di decidere come regolare l’aborto» (p. 31). Da qui la già ricordata decisione finale: “La Costituzione non vieta ai cittadini di ciascuno Stato di regolamentare o vietare l’aborto. Roe e Casey si sono arrogate quell’autorità. Ora annulliamo tali decisioni e restituiamo quell’autorità alle persone e ai loro rappresentanti scelti” (p. 67).
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