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COMUNISMO CINESE

Xi Jinping riscrive la storia cinese per esaltare Mao

Il Partito unico cinese non ammette autocritica. Alla vigilia del centesimo anniversario del Pcc, i libri di storia sono stati riscritti. Mentre sotto il presidente Deng erano ammesse critiche nei confronti di Mao, con Xi Jinping torna l'esaltazione retorica del "grande timoniere". Xi lo vuole, per giustificare il suo strapotere di stampo maoista.

Esteri 21_06_2021
Vecchio poster di Mao

Il Partito unico cinese non ammette autocritica, nemmeno sul passato. A due settimane dall’anniversario proibito del massacro di piazza Tienanmen, giungono tramite l’attento (e per questo mal visto, in Cina) Wall Street Journal, notizie aggiornate su una nuova grande opera di revisione e riscrittura della storia. Il ruolo di Mao Zedong nella costruzione del socialismo viene di nuovo esaltato, i suoi errori minimizzati. Pechino ha bisogno di unità e non può permettersi di riflettere sugli errori del passato. Ma soprattutto il presidente Xi Jinping, che sta accumulando nelle sue mani la più grande concentrazione di potere dai tempi di Mao, non disdegna l’esaltazione delle gesta del dittatore e fondatore della Repubblica Popolare.

Deng Xiaoping, che divenne presidente dopo essere stato perseguitato nel corso della Rivoluzione Culturale (la grande purga dei quadri e degli intellettuali di partito, condotta da Mao dal 1966 alla sua morte nel 1976), aveva fatto riscrivere i libri di storia in senso critico, non nascondendo gli errori del “grande timoniere” ed alimentando uno spirito critico nei confronti del suo modo di governare autocratico, esaltando invece la direzione collegiale del Partito Comunista. Ovviamente si trattava di critiche molto edulcorate che non mettevano in discussione né la legittimità del fondatore della Cina comunista, né il ruolo centrale del Partito nella costruzione del Paese. E anche per quanto riguarda gli episodi più terribili, i morti sono sempre stati accuratamente nascosti. Solo in Occidente possiamo dire liberamente (pur subendo inevitabili contestazioni) che Mao fece direttamente 35 milioni di morti e altrettanti ne provocò la grande carestia, causata dalla sua politica economica del Grande Balzo Avanti, fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Deng fu lo stesso che ordinò l’oblio sul massacro che egli stesso ordinò in piazza Tienanmen.

Nonostante tutto, oggi la sua censura sbiadisce, se messa a confronto con la nuova politica storica voluta da Xi Jinping. Figlio di un eroe della rivoluzione che sottolineava l’importanza di vigilare (leggasi: controllare) il passato, Xi già dal 2013 incitò i funzionari comunisti a vigilare sui tentativi delle “forze ostili” di deridere la storia della Cina e del Partito. La sua politica, chiamata “corretto sguardo sulla storia” sta intensificandosi alla vigilia del prossimo centesimo anniversario del Partito Comunista Cinese, il prossimo 1 luglio.

Nei nuovi libri di storia, gli errori di Mao sono minimizzati. Nel manuale di base Breve storia del Partito Comunista Cinese è stato cancellato il passaggio in cui si criticava (come lezione da imparare e non ripetere) il Grande Balzo Avanti. Vengono anche omessi i crimini e gli errori che hanno portato alla Rivoluzione Culturale. Al contrario, del lungo regno di Mao vengono esaltati i risultati in termini di modernizzazione del Paese e i successi in politica estera. Altri capitoli sono stati aggiunti per descrivere il ruolo di Xi Jinping quale “statista visionario”. Giusto per promuovere anche il suo culto della personalità.

Torna anche la visione marxista classica della storia, il materialismo storico. Dunque viene promossa una visione determinista del passato, in cui il progresso verso il socialismo è inevitabile, deve solo essere assecondato dalla “levatrice della storia”. Uno degli slogan più recenti recita: “Non esiste una Cina in futuro senza la guida del Partito Comunista”.

Come in tutti i regimi totalitari, la politica storica non è solo questione scolastica o accademica, ma riguarda tutti. Ed è applicata attraverso una capillare politica repressiva. In aprile è stato istituito un nuovo servizio online e telefonico al quale i cittadini possono rivolgersi per denunciare il “nichilismo storico”, letto, visto o sentito in ogni luogo. Già all’inizio di maggio, le autorità hanno ordinato di cancellare 2 milioni di post sui social network. Inutile dire che chi li ha scritti è stato individuato. Per rientrare nella categoria di “nichilismo storico” non occorre parlare di argomenti vietati come Tienanmen, ma basta dire o scrivere qualcosa di critico sui leader del Partito e mettere in discussione la superiorità del socialismo.

Questa riforma della storia è una pessima notizia per la minoranza cristiana in Cina. Non si potrà parlare delle persecuzioni subite sotto Mao, almeno a partire dal 1951. Non si potranno ricordare le sofferenze immani subite nel corso della Rivoluzione Culturale, quando l’ateismo di Stato venne imposti con più vigore e molte chiese vennero distrutte dalla furia iconoclasta delle Guardie Rosse. Non solo: in base alle nuove norma sulla “sinizzazione” delle religioni, il clero cinese ufficiale dovrà anche farsi portavoce della propaganda storica e celebrare il Partito invece dei numerosi martiri che ha ucciso in odium fidei.