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INTERVISTA

«Vi spiego il valore (e i nemici) della famiglia»

«La “modernità liquida” non può sopportare ciò che è solido». Si possono individuare «i “nemici” della famiglia con 3 P: Paura, cultura del Provvisorio e Perfezionismo». Ma nonostante gli ostacoli, una famiglia può arrivare in cima «con altre tre P, che rispondono alle precedenti…». Parla alla Bussola la bioeticista Giorgia Brambilla, curatrice del libro «Come olio di nardo».

Cultura 18_02_2022

“Una cultura profondamente segnata dal soggettivismo individualistico ha finito con assolutizzare la prospettiva individuale, inneggiando all’«amore libero», che altro non è che un’affettività narcisistica, instabile e mutevole, sottomessa alle proprie pulsioni e ai propri desideri. Anche la coppia si limita a vivere un’affettività debole - come amava chiamarla Benedetto XVI - votata all’emotivismo relazionale e decisionale, priva di impegno per il futuro e sempre meno incline alla fedeltà, intesa come maturità umana e valoriale prima ancora che sentimentale”.

È ciò che scrive Giorgia Brambilla, professore aggregato presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” e incaricato presso la Pontificia Università Lateranense, nell’introduzione del volume collettaneo da lei curato dal titolo “Come olio di nardo. Il valore della famiglia nel mondo contemporaneo”. Il volume consta di 19 interventi raccolti in quattro sezioni: si va dalla sociologia alla teologia e scienze religiose, dalla bioetica alla psicologia e pedagogia. Un ritratto a tutto campo di un soggetto, la famiglia, che, sotto alcuni aspetti, pare in forte crisi d’identità, ma che, su altri aspetti sui cui il volume insiste, sembra ancora un solido baluardo di fronte al nulla che avanza. La Nuova Bussola ne parlato con la stessa curatrice del volume.

Professoressa Brambilla, perché la famiglia è oggi così sotto attacco?
La “modernità liquida” - così ben descritta da Baumann - non può sopportare ciò che è solido; dunque, come potrà mai tollerare quanto di più solido per sua natura c’è nella società, ovvero la famiglia? La famiglia è stata sempre sotto attacco, ma se prima il conflitto era tra chi sosteneva la famiglia e chi la voleva evolutivamente eliminare, oggi si preferisce includere dentro la famiglia anche ciò che famiglia non è: così se tutto è famiglia, nulla è famiglia.

Questo conduce a una sociologia “post-famigliare”: da luogo naturale la famiglia viene spinta verso l’artificiale, quasi un ibrido a metà tra l’umano e il dis-umano se non addirittura post-umano; e come l’ingegneria genetica rende natura e cultura indistinguibili, la società odierna fa entrare la famiglia nell’orizzonte del disponibile e del manipolabile rendendo possibili forme di relazione famigliare precedentemente impensabili.

Ci può indicare tre nemici della famiglia?
Di solito presento i “nemici” della famiglia con 3 P: Paura, cultura del Provvisorio e Perfezionismo. Partiamo dalla paura. Non mi riferisco qui tanto alla paura come emozione, che fa e farà sempre parte della nostra vita, ma alla paura come mancanza di coraggio. Nei classici, c’è una stretta connessione tra il coraggio e la conoscenza. Conoscenza di cosa? Del bene, proprio e altrui. Amare è proprio questo: conoscere, volere e perseguire il bene dell’altro. Purtroppo, però, viviamo in un tempo votato all’emotivismo, dove l’amore è ridotto alla sfera dei sentimenti e in cui, per questo, la ragione diventa quasi “nemica” dell’amore e pertanto la volontà non è in grado di dirigersi verso il bene perché la ragione, inghiottita dalle passioni, non è in grado di mostrarglielo. Dunque, appena si profila una difficoltà, una responsabilità, un imprevisto, una delusione, un sacrificio - tutte eventualità che fanno parte della quotidianità famigliare (e oserei dire della “vita reale”) - si scappa a gambe levate o si resta, ma “senza esagerare” e tamponando possibili disagi: si fa un figlio solo, si cerca di occupare ogni secondo del proprio tempo per evitare il dialogo (o lo scontro), si acquista compulsivamente tutto ciò che il sistema consumistico offre in un dato momento con l’illusione di vedere soddisfatti tutti i bisogni, si cerca una qualche forma di dipendenza (videogiochi, sport, social network, ecc.) perché non manchi la dose di dopamina quotidiana.

Ed ecco allora che si profila la seconda “P”, la “cultura del Provvisorio” - come la chiama Papa Francesco - che poi altro non è che un’altra faccia dell’individualismo narcisista che ci dà la presunzione di vedere esaltata la nostra autonomia, per poi farci piombare nella più tremenda solitudine. Questa aridità interiore incide in modo particolare sull’apertura alla vita: il figlio è qualcosa che dipende da me, dai miei tempi, dai miei spazi e dai miei incastri; lo accolgo se sono pronto, se ne ho voglia, se ho raggiunto quell’obiettivo di carriera che mi ero posto, se ho la casa abbastanza grande, se ho chi me lo tiene; insomma, se, in base ai miei schemi, tutto è perfetto: ed ecco la terza “P”, quella di Perfezionismo. Come si può desiderare di metter su famiglia se i modelli che ci vengono proposti (o imposti) dalla cultura odierna sono totalmente oltre le nostre possibilità di soddisfarli? Dalla prestanza fisica a quella intellettuale, passando per la grandezza della macchina. Per non parlare degli obblighi auto-imposti verso il figlio, il quale, non fa neanche in tempo a nascere, che già viene giudicato idoneo o meno di continuare a vivere dai test genetici in gravidanza; poi via via dovrà restare al passo dei ritmi frenetici dei genitori e “potenziare” al massimo le sue capacità facendo già a tre anni, dopo otto ore di scuola, due sport a settimana, un po’ di musica e ovviamente tanto inglese. Insomma, un’ansia da prestazione intergenerazionale che ci porta ad essere estremamente fragili e a mollare il progetto famiglia prima ancora di iniziarlo.

Eppure, nonostante questi pendii impervi, la famiglia riesce ad arrivare in cima, come lascia intendere la copertina del libro. Ma come?
È possibile con altre tre P, che rispondono alle precedenti. Alla Paura, la famiglia risponde con la Provvidenza. Per essere coraggiosi non basta essere forti di fronte alla sofferenza e alla sopportazione; non si tratta di essere super-eroi. Il coraggio deriva dalla presa di coscienza di non essere soli e dalla consapevolezza che, mediante il sacramento del matrimonio, la famiglia “è costruita sulla roccia” (Mt 7,24).

Alla cultura del Provvisorio, la famiglia risponde con la “P” di procreazione. Quando la coppia si apre alla vita generosamente, oltrepassa l’orizzonte della contingenza e riscopre, in quella abbondanza di amore, di cui i figli sono “frutto e compimento” (CCC 2366), l’essere parte di un progetto più grande che punta “verso l’infinito e oltre”.

Infine, al Perfezionismo, la famiglia risponde con la “P” di Pienezza. La ricerca di una “vita perfetta” ci fa investire energie in qualcosa di autoreferenziale che ci dà la sensazione di non essere mai né arrivati né appagati. L’amore reale, legato ad una scelta definitiva e autentica come quella matrimoniale è la salvezza per quest’ansietà cronica perché rivela quotidianamente ad ogni suo componente che la gioia può coesistere con il dolore, non è la sua antitesi, così come la croce è espressione massima dell’amore di Cristo per l’uomo.

Lei si occupa di Bioetica: c’è un legame tra questa disciplina e il tema della famiglia?
Nella famiglia tutte le problematiche della Bioetica si vivono: la famiglia è il luogo della generazione, dell’accoglienza e, spesso, anche dell’assistenza. In altre parole, è la sorgente della “cultura della vita”. È importante, quindi, acquisire conoscenze e competenze per affiancare e sostenere con la formazione la famiglia, sotto vari profili, quello bioetico, ma anche sotto quello filosofico e sociologico, quello teologico e quello psicologico e pedagogico, come abbiamo cercato di fare in questo testo multidisciplinare. E contribuire, così, a diffondere il “buon profumo” della famiglia, culla della vita umana, sorgente del bene della persona, faro per la società.