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Vescovi scandinavi e gender: bene, ma solo in parte

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Di fronte alle eresie nei documenti del sinodo tedesco, si può capire l'entusiasmo con cui è stata accolta la lettera pastorale dei vescovi scandinavi che ribadisce che l'identità sessuale è solo maschile e femminile. Tuttavia vi si trovano anche diverse espressioni problematiche che creano equivoci intorno alla fedeltà e all'omosessualità.

Editoriali 29_03_2023 English
Stoccolma, cattedrale cattolica

«L’antropologia normativa di genere, fondata sul diritto di natura positivo, e la sua legittimazione attraverso il ricorso ai testi biblici sulla Creazione devono essere riviste alla luce delle conoscenze acquisite dalle scienze bibliche e dalla teologia moderne». Di fronte a questa “perla” del documento del IV foro del Sinodo tedesco (scaricabile qui), che difende l’esistenza della variante transessuale e intersessuale, con, al loro interno, una «grande varietà di articolazioni individuali», la Lettera pastorale sulla sessualità umana dei vescovi scandinavi, tra i quali troviamo anche il Cardinale Anders Arborelius, appare come il Dictatus Papae di Gregorio VII.

Si può dunque in parte comprendere la ricezione entusiasta del documento da parte di alcuni siti cattolici. In essa, infatti, si trova affermata la verità biblica fondamentale che «l’immagine di Dio nella natura umana si manifesta nella complementarità del maschile e del femminile»; questa identità sessuale, maschile o femminile, che ci è donata, non è un orpello, ma una caratterizzazione della persona, a motivo della sua «integrità incarnata». Una eventuale distonia nella percezione di sé non può dunque condurre alla scelta di un “genere”, ma deve essere orientata alla «ricerca di un’integrazione sessuale» armonica con il dato impresso nella nostra carne.

Indubbiamente questo cammino di integrazione richiede una gradualità commisurata ai passi che di volta in volta la persona può compiere; tuttavia, appare piuttosto problematica l’affermazione che valuta come «un enorme salto di qualità» il passaggio da relazioni promiscue alla «fedeltà, indipendentemente dal fatto che la relazione stabile corrisponda pienamente o meno all’ordine oggettivo di un’unione nuziale sacramentalmente benedetta».

La frase è altamente equivoca. Innanzitutto perché una relazione che include atti di natura omosessuale, per quanto “fedele”, non corrisponde semplicemente “di meno” all’ordine oggettivo dell’unione matrimoniale, ma non vi corrisponde affatto, perché rimane un grave disordine; né può essere in alcun modo ordinabile ad un bene.

È difficilmente condivisibile anche il principio secondo cui la “fedeltà” nei rapporti sessuali disordinati possa essere salutata come un «enorme salto di qualità». Di quale qualità si sta parlando? Non è chiaro comprenderlo. Dal punto di vista delle specie morale che definisce l’atto omosessuale, infatti, la qualità rimane identica. Sembra di udire il sottofondo teorico di Amoris Laetitia, che nel § 298 chiedeva un discernimento particolare delle situazioni di «seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe».

Di fonte a queste situazioni, l’Esortazione rinviava a Familiaris Consortio, 84 – che indicava, in caso di impossibilità di separazione, la continenza assoluta - , commentando però in nota che «molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”». In sostanza, la via della fedeltà a Cristo - i.e. astensione dai rapporti non coniugali-, minerebbe il presunto bene della fedeltà. Si comprende che questo cortocircuito è stato possibile equivocando sul termine “fedeltà”.

AL si è spinta decisamente e problematicamente più in là di quanto non faccia la Lettera pastorale dei vescovi scandinavi; tuttavia vi è in comune proprio l’idea distorta di fedeltà, e dunque l’utilizzo improprio di questa parola. Erode prestò fedeltà alla promessa di dare qualunque cosa alla figlia di Erodiade, allorché la ragazza, istigata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista. Come dobbiamo valutare questo atto di “fedeltà”? Non c’è alcun dubbio che esso abbia aggravato il giuramento temerario e la lussuria del re, facendolo divenire perfino omicida. Come dobbiamo valutare la “fedeltà” reciproca di due malviventi, stile Bonnie e Clyde, nel sostenersi ed aiutarsi a commettere dei crimini? Analogamente la “fedeltà” di due persone nel commettere atti omosessuali, piuttosto che nell’adulterio, non può costituire un «enorme salto di qualità» dal punto di vista morale.

A ben vedere, essa è piuttosto il contrario di quella specifica fedeltà che è la fedeltà coniugale, che comporta il rifiuto dei rapporti extraconiugali; ed è la negazione di quella fedeltà a Dio, che consiste nel vivere conformemente alla sua volontà. Infine, la “fedeltà” nel male costituisce il de profundis di quella fedeltà alla persona dell’altro, che richiede invece la testimonianza del vero e del bene, e non invece la complicità nel male.

Altro rilievo. Giustamente i vescovi scandinavi ricordano che la loro missione «è indicare il cammino pacificante e vivificante dei comandamenti di Cristo, stretto all’inizio, ma che si dilata man mano che avanziamo». E altrettanto correttamente insegnano che la «comunione sacramentale presuppone un consenso coerentemente vissuto alle condizioni poste dall’alleanza sigillata nel sangue di Cristo», per cui «può accadere che le circostanze rendano impossibile a un cattolico ricevere i sacramenti per un certo periodo».

Tuttavia, mai nella lettera si trova espresso con chiarezza che i comandamenti di Dio condannano l’omosessualità, e neppure che l’esclusione dalla Comunione e l’impossibilità di ricevere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza perdurano fino a che non vi sia nella persona vero pentimento per il peccato, e proposito fattivo e sincero di non commetterlo più. E’ necessario ma non sufficiente che un documento di vescovi prenda le distanze da quella perniciosa ideologia che considera l’uomo come disincarnato, e pertanto indifferente alla sua caratterizzazione sessuale. Questo è infatti il sostrato teorico che rivendica la libertà morale di compiere certi atti e vivere relazioni più o meno stabili contro natura. La Chiesa deve vigilare su entrambi gli aspetti ed indicarli con grande chiarezza per quello che sono: non un semplice errore, ma un vero e proprio peccato, che impedisce alle anime di raggiungere il proprio bene in questa vita e nell’altra.