Sidney Sweeney, l'attrice linciata. Non perché sexy, ma per i suoi "geni"
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Un gioco di parole in uno spot fra geni e jeans (che in inglese si pronunciano allo stesso modo) scatena la sinistra woke contro i jeans American Eagle e l'attrice Sidney Sweeney che li pubblicizza. Una polemica che rivela un disagio profondo.
- Jaguar vittima del woke di Lorenza Formicola

In un mondo in cui tutto è politica, quando la doccia è di sinistra e il bagno è di destra, Sidney Sweeney è decisamente di destra. L’attrice americana, divenuta celebre per le serie Tv Euphoria e The White Lotus, è al centro di una bufera mediatica che sta durando da una settimana. La colpa non è sua, che ha solo prestato il corpo e il volto, ma dell’art director dell’ultima serie di spot televisivi di American Eagle, marca di jeans che ha guadagnato in borsa il 23% dopo questa polemica.
In uno spot, infatti, Sidney Sweeney si allaccia i jeans con atteggiamento sexy e sussurra al pubblico che (e qui il gioco di parole è intraducibile) i geni (che in inglese si pronunciano esattamente come jeans) vengono trasmessi dai genitori alla prole, spesso determinando tratti come il colore dei capelli, la personalità e persino il colore degli occhi”. E conclude: “i miei sono blu”. La scritta che compare in sovrimpressione recita: “Sydney Sweeney ha dei geni fantastici”, poi la scritta “geni” viene cancellata e sostituita con “jeans”.
La pubblicità recitata da una bomba sexy e con gli occhi azzurri avrebbe potuto dare adito a polemiche per la solita mercificazione del corpo femminile, o per la mancanza di pudore e la sessualizzazione della televisione a tutte le fasce orarie e di età. Ma invece il tenore dei commenti e delle condanne è molto diverso. “Questa è pura propaganda nazista”, si legge in uno dei commenti social più diffusi. E citando uno slogan segregazionista c’è chi dice: “Dobbiamo garantire l'esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi è uno slogan folle per vendere denim”.
Insomma, la Sweeney non viene contestata perché troppo sfacciata, ma perché è bianca. E perché la pubblicità in cui recita osa riderci anche sopra, con il gioco di parole sui geni. Hannah Holland, produttrice della Tv Msnbc, avverte il pubblico in un suo commento: «La pubblicità, la scelta di Sweeney come unico volto e la reazione di internet riflettono un cambiamento culturale sfrenato verso la “bianchitudine”, il conservatorismo e lo sfruttamento capitalista. Sweeney è sia un sintomo che un partecipante».
Immediate anche le risposte da parte conservatrice, a questo punto. Steven Cheung (portavoce della Casa Bianca): «La cancel culture è impazzita». Il senatore repubblicano Ted Cruz: «Wow, ora la sinistra dei folli si è schierata anche contro le belle donne». E lo stesso presidente, a domanda, risponde: «Se Sydney Sweeney è una repubblicana, penso che la sua pubblicità sia fantastica! Saresti sorpreso da quanti siano i repubblicani… ». E Donald Trump jr ha diffuso una foto del padre nella stessa posa e con la stessa giacca di jeans della Sweeney (realizzata con intelligenza artificiale, nessun presidente è stato scomodato per posare).
Sidney Sweeney è realmente un’elettrice registrata repubblicana nel seggio della Florida. Un bersaglio perfetto per i liberal: una ragazza che ha votato Trump, che di professioneè attrice ma per hobby fa la meccanica. E spara anche bene con la pistola. Manca qualcosa? Essendo bionda e con gli occhi azzurri incarna lo stereotipo che la cultura woke detesta.
A prescindere dalla polemica politica, le reazioni esagerate suscitate da questo spot rivelano un disagio molto più profondo, culturale più ancora che psicologico. L’America si sente in colpa per il razzismo del suo passato, anche recentissimo. Ed è giusto così. Il problema sta nella risposta al razzismo. Perché per tutto l’ultimo decennio, la cultura di sinistra americana, ha cercato di demolire due realtà: la natura umana e la bellezza. Il messaggio prevalente è frutto di un antirazzismo impazzito esteso a tutte le categorie: ogni differenza (non solo il colore della pelle) è puramente culturale e soggettiva. Quindi non esiste più distinzione possibile fra bello e brutto e anche fra sano e malato.
La moda ha cercato, senza successo, di proporre al pubblico modelle (donne o transgender) obese, non depilate, cellulitiche, visibilmente ammalate. E tutte, o quasi, appartenenti a minoranze, nere e non solo. Non si trattava solo di carità, per niente. Non era nemmeno un incoraggiamento per le meno dotate, né una storia di successo per le minoranze storicamente svantaggiate. No, perché quel ragionamento sarebbe già stato troppo tradizionale, troppo americano. L’obiettivo era la pura e semplice demolizione della natura, oltre che del senso del bello.
Con risultati deliranti, come l’insistenza che il genere si assegna e quindi anche la parola “donna” è discutile: c’è la “persona assegnata femmina alla nascita”. E risultati pericolosi, come l’affermazione di un orgoglio curvy, per cui l’obesità diventa un’identità da difendere e non più un male da curare. Abilismo, genderismo, transgenderismo e multiculturalismo ci hanno ossessionato per tutto il decennio, provocato boicottaggi, rovinato intere aziende e carriere personali. Finché non è arrivata una donna-donna, bionda e con gli occhi azzurri, a sussurrare un gioco di parole sui geni blu come i jeans e a fare impazzire tutti.