Concorsi per non obiettori, Roma impugna la legge della Sicilia
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Il Consiglio dei Ministri ha deciso di impugnare la legge della Regione Siciliana che prevede concorsi riservati al personale abortista. Una scelta di buonsenso, a tutela dell’obiezione di coscienza.

I concorsi riservati al personale abortista violano la Costituzione. Il governo Meloni ha riconosciuto questo fondamentale principio giuridico (frutto di buonsenso) e ha deciso di impugnare la legge della Regione Siciliana n. 23 del 5 giugno 2025 (approvata dall’Ars a maggio), intitolata “Norme in materia di sanità”, che all’articolo 2 stabilisce che le aziende sanitarie e ospedaliere bandiscano concorsi riservati esclusivamente a personale che non sollevi obiezione di coscienza rispetto all’aborto volontario.
La decisione è stata formalizzata nel corso del Consiglio dei Ministri di lunedì 4 agosto, che, su proposta del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, ha esaminato 32 leggi delle Regioni e delle Province autonome, impugnandone in tutto 7. Tra queste, appunto, quella approvata, su iniziativa della sinistra e in particolare del Partito Democratico, nell’Isola governata dal centrodestra, con presidente Renato Schifani. L’impugnazione della legge siciliana – come spiega il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri – giunge «in quanto talune disposizioni, eccedendo dalle competenze statutarie e ponendosi in contrasto con la normativa statale in materia di ordinamento civile, violano l’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, nonché i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso di cui agli articoli 2, 3, 19, 21, 51, primo comma, e 97 della Costituzione». Adesso, quindi, la palla passa alla Corte costituzionale, a cui spetta il compito di pronunciarsi sui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni.
Il deputato regionale del PD, Dario Safina, primo firmatario della legge intanto impugnata, ha espresso dure critiche verso la decisione dell’esecutivo nazionale, tacciato di aver compiuto «un atto ideologico, non tecnico». Secondo Safina, quella approvata in Sicilia è «una norma di civiltà», caratterizzata da «bontà giuridica e morale», che «non penalizza né discrimina i medici obiettori ma mira semplicemente a garantire un servizio essenziale» (sic!), ossia l’aborto: il che equivale a chiamare male il bene, e bene il male, senza tra l’altro riconoscere l’evidente discriminazione che la norma pone nei confronti degli obiettori di coscienza.
A proposito di obiezione, l’esponente del PD usa il solito argomento dell’«emergenza» di una mancata applicazione della legge 194/1978 sull’aborto: «In molte strutture della nostra regione – afferma Safina – l’obiezione di coscienza ha superato l’80%, rendendo l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza di fatto impraticabile». Ma è davvero «impraticabile» l’aborto in Sicilia? E i medici non obiettori sono soggetti a carichi di lavoro «insostenibili» come si dice spesso – per la Sicilia e non solo – sui media mainstream?
Per rispondere, richiamiamo i dati ufficiali più aggiornati, relativi al 2022 e contenuti nell’ultima relazione del Ministero della Salute (dicembre 2024) sull’attuazione della legge 194, con relative tabelle allegate. Nel 2022 la Sicilia contava tra gli obiettori l’81,5% dei ginecologi, il 62% degli anestesisti e il 64,9% del personale non medico: percentuali piuttosto al di sopra, in tutti e tre i casi, della media nazionale (rispettivamente: 60,7%, 37,2% e 32,1%). Tra le 55 strutture con reparto di ostetricia e ginecologia prese in considerazione dalla relazione, 26 (il 47,3%) praticavano aborti nel 2022 (media nazionale al 61,1%). Il numero di aborti procurati ufficiali in quello stesso anno è stato pari a 4.374: non esattamente un numero esiguo, tanto più che dietro ciascuna di quelle fredde unità si nasconde la vita – soppressa – di un bambino innocente.
Un altro dato ufficiale rende ancora l’idea che l’emergenza di cui parlano Safina e compagni non esiste: se infatti consideriamo la percentuale di donne emigrate per abortire in una regione diversa dalla Sicilia, la pagina 35 della relazione del Ministero ci dice che sono state appena il 5,5%, cioè meno della media nazionale (6,9%). Detto in soldoni: non è affatto vero che l’aborto in Sicilia sia «impraticabile». Magari, aggiungiamo, fosse così.
Ma forse è vero che i ginecologi non obiettori sono sottoposti in Sicilia a carichi di lavoro insostenibili? Neanche. Il carico di lavoro medio per ginecologo non obiettore è stato di 1,5 aborti a settimana, un dato poco al di sopra della media nazionale (0,9). Ancora, c’è stato forse un sovraccarico di lavoro per determinate strutture sanitarie? Neanche questo. Nel 2022 il valore massimo di aborti in una singola struttura siciliana è stato in media pari a 6,1 a settimana: un numero di interventi assolutamente gestibile, visto anche il fatto che un aborto chirurgico ha una durata media di appena 10-20 minuti.
In breve, siamo di fronte all’ennesima propaganda di matrice abortista: questa sì, ideologica, perché nega la realtà. Del resto, se non si riconosce che la vita umana va tutelata fin dal concepimento e che questa tutela è il fondamento naturale di ogni altro diritto, non può sorprendere che si attacchi anche la libertà di seguire la retta coscienza.
Bye bye coscienza, in Sicilia concorsi per soli abortisti
L’Assemblea regionale siciliana (Ars) ha approvato una legge che prevede che gli ospedali bandiscano concorsi riservati a personale non obiettore di coscienza in tema di aborto. Una norma totalitaria che va contro l’ordinamento nazionale e ribalta la legge naturale. Il Governo la impugnerà?
- «Cosa dire quando...» si parla di aborto, di Marcello Riccobaldi