USA, pillole abortive: il caso arriva alla Corte Suprema
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A una settimana dallo stop di un giudice federale del Texas alle pillole abortive e a stretto giro da un’ordinanza in Appello che accontenta solo in parte gli abortisti, l’Amministrazione Biden ha presentato ricorso alla Corte Suprema per chiedere una sospensione d’urgenza del giudizio contro l’aborto chimico. E i nascituri?
Negli Stati Uniti risuonano tamburi di guerra perché la vita sta vincendo, nonostante Biden. Dopo l’ordine giudiziario emanato lo scorso 7 aprile dal giudice federale del Texas, Matthew Kacsmaryk, che bocciava l’autorizzazione alla pillola abortiva data dalla Food and Drug Administration più di vent’anni or sono (LiveAction ne traccia tutte le tappe temporali), l’Amministrazione Biden e le multinazionali abortiste si erano scatenate, come abbiamo descritto sulla Nuova Bussola, minacciando non solo di chiederne l’annullamento in Appello ma anche di ricorrere alla Corte Suprema. Ebbene, ieri l’hanno fatto.
Biden e i suoi sponsor abortisti non possono sopportare le conseguenze della sentenza Dobbs del 24 giugno 2022, che ha bocciato il diritto federale all’aborto, e ora i possibili divieti sulle pillole abortive, pillole che rappresentano più del 50% degli omicidi dei nascituri innocenti negli USA.
Dunque, a sette giorni dalla decisione di Kacsmaryk, venerdì 14 aprile l’Amministrazione Biden ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di bloccare i limiti imposti dai tribunali al mifepristone e, in particolare, di ripristinare la decisione di vendere pillole per posta senza controllo medico, decisione presa proprio dal sedicente cattolico e inquilino della Casa Bianca, con l’avallo della FDA a inizio 2023.
In particolare, il Dipartimento di Giustizia ha presentato una richiesta alla Corte Suprema, chiedendo ai giudici di sospendere la decisione del giudice Kacsmaryk contro la distribuzione della pillola abortiva. L’Amministrazione Biden chiede alla Corte Suprema un provvedimento d’urgenza per difendere anche “il giudizio scientifico della Food and Drug Administration e proteggere l’accesso degli americani a cure riproduttive sicure ed efficaci”, come già dichiarava Garland il 13 aprile in un comunicato. Nelle stesse ore, anche la Danco Laboratories, l’azienda produttrice del mifepristone, ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti un provvedimento simile.
La doppia e convergente azione dell’Amministrazione Biden e della casa di produzione della pillola abortiva nei confronti della Corte Suprema si spiega con il fatto che l’ordine giudiziario di Kacsmaryk, un’ingiunzione preliminare, sarebbe dovuto entrare in vigore alle 12.00 (ora locale) di oggi, sabato 15 aprile; e il tentativo fatto dal Dipartimento di Giustizia alla Corte d’Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti, con sede a New Orleans, di bloccare le restrizioni, era stato in gran parte respinto il 12 aprile.
Invero, i giudici della Corte d’Appello avevano confermato la sospensione delle pillole abortive vendute per corrispondenza e ripristinato i requisiti per cui la pillola abortiva debba essere dispensata di persona in una clinica o in un ospedale e non nelle farmacie al dettaglio. La stessa Corte aveva anche stabilito che la pillola abortiva potesse continuare a essere disponibile, ma richiedendo che tutti gli eventi avversi - non solo i decessi delle donne - correlati alla pillola abortiva venissero nuovamente segnalati. La decisione, per 2-1, emessa nella tarda serata di mercoledì 12 aprile, aveva concesso una sospensione solo parziale alla FDA e alla Danco (imputate nella causa intentata dall’Alliance for Hippocratic Medicine) rispetto alla sentenza del giudice Kacsmaryk che aveva a sua volta sospeso, come accennato, l’approvazione del mifepristone decisa dalla FDA nel 2000.
L’ordinanza dei giudici del Quinto Circuito aveva riportato, tra l’altro, a sette settimane di gestazione il limite per la somministrazione delle pillole (Obama, nel 2016, lo aveva esteso a 10 settimane); aveva inoltre ripristinato le visite mediche necessarie e l’obbligo per le cliniche abortiste di controllare la salute delle donne, per verificare l’assenza di complicazioni dopo l’aborto chimico. La Corte d’Appello del Quinto Circuito aveva ribadito infine che l’approvazione del mifepristone generico da parte della FDA era illegale e che il produttore avrebbe dovuto comunque cessarne la produzione entro la notte di venerdì 14 febbraio.
Ora la decisione spetterà alla Corte Suprema e avrà certamente un impatto politico e sociale simile a quello prodotto dalla sentenza Dobbs. Le premesse perché Biden, abortisti e prezzolati terroristi interni si scatenino ci sono tutte: gli attacchi contro i cristiani e i cattolici in particolare si stanno moltiplicando.
L’organizzazione Family Research Council ha pubblicato in questi giorni il Report “L’ostilità contro le chiese è in aumento negli Stati Uniti”, che documenta l’incremento del tasso di vandalismo nelle chiese degli Stati Uniti negli ultimi anni. Il primo trimestre del 2023 registra il più alto numero di episodi di vandalismo nelle chiese negli ultimi sei anni, il triplo rispetto allo scorso anno: si sono già verificati 69 atti di ostilità contro le chiese e i fedeli, in 29 Stati. Buone notizie invece sul fronte della vita nascente, secondo i calcoli presentati nei giorni scorsi dalla Society of Family: nei primi sei mesi dopo la sentenza Dobbs, negli Stati Uniti sono stati praticati 32.260 aborti in meno, pari a 5.377 aborti in meno al mese e con un -96% di aborti nei tredici Stati che hanno limitato l’aborto in quello stesso periodo, sfruttando la facoltà restituita loro dalla sentenza della Corte Suprema.