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VITA VS MORTE

USA, a un anno dalla Dobbs continua la guerra sull’aborto

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Il 24 giugno di un anno fa la Corte Suprema, con la sentenza Dobbs vs Jackson, restituiva ai singoli Stati il diritto di vietare l’aborto. Da allora Stati Repubblicani e Democratici camminano in direzioni opposte.

Esteri 26_06_2023

Un anno fa è giunto a compimento lo sforzo quasi cinquantennale per rovesciare la sentenza Roe vs Wade che liberalizzava l’aborto negli USA, con la Corte Suprema che - nella causa Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization - ha stabilito che gli Stati possono proteggere i bambini concepiti. Le manifestazioni per ricordare la svolta dello scorso anno, sia quelle dei pro life che dei pro aborto, si sono fronteggiate, senza incidenti, sabato 24 giugno a Washington e nelle altre capitali statali.

Sebbene quel giorno, il 24 giugno 2022, sia da celebrare, la lotta per porre fine all’aborto è tutt’altro che conclusa. Grazie alla Dobbs, gli Stati possono ora approvare leggi che proteggono i nascituri dall’aborto in qualsiasi momento della gravidanza, promuovere politiche familiari efficienti e sfidare meglio il linguaggio massmediatico insistendo sulla volontà di difendere la nascita di un bambino e non di un semplice impersonale “feto”.

Da allora diversi Stati, guidati dai Repubblicani, hanno promulgato leggi a favore della vita, mentre altri Stati hanno tentato di farlo, ma le loro leggi sono state bloccate da battaglie legali portate avanti da aziende e organizzazioni pro aborto. Nel frattempo, gli Stati governati dai Democratici hanno emanato leggi che liberalizzano l’aborto. E lo Stato federale e anche imprese private stanno pagando le spese di viaggio legate all’aborto dei dipendenti che scelgono di recarsi negli Stati pro aborto per abortire.

#WeCount, un gruppo di ricerca della Society for Family Planning, favorevole all’aborto, ha riferito lo scorso 15 giugno che si stima che ci siano stati 25.000 aborti in meno nei nove mesi successivi alla sentenza Dobbs, da luglio 2022 a marzo 2023. Altri dati mostrano che circa 60.000 bambini in più sono vivi oggi perché gli Stati finalmente possono approvare leggi che proteggono i non nati. Numeri che dimostrano le buone ragioni per celebrare la sentenza Dobbs. Dalla fuga di notizie e poi dalla pubblicazione della sentenza si sono anche moltiplicate le minacce e le distruzioni contro i centri pro life, le chiese (in particolare cattoliche), le associazioni e i giudici della Corte Suprema.

A ricordarlo, venerdì 23 giugno, le parole usate dalla paladina dell’aborto libero Nancy Pelosi, che ha parlato minacciosamente del “prezzo da pagare” per la difesa della vita del nascituro e della stessa madre. Un modo sgradevole per rammentare gli oltre 300 saccheggi, atti vandalici, attentati dinamitardi e violenze anche fisiche dell’ultimo anno. Attacchi e violenze che, come emerso negli ultimi mesi con sempre maggior chiarezza, hanno visto il Dipartimento della Giustizia e l’FBI complici degli abortisti e solerti persecutori dei pro life. Gli altri soggetti sotto sistematico attacco sono appunto i giudici della Corte Suprema, in particolare l’estensore della sentenza Dobbs, Samuel Alito, e il collega Clarence Thomas che, pur sostenendo il dispositivo, aveva anche chiesto l’annullamento della sentenza del 26 giugno 2015 sui cosiddetti matrimoni gay (Obergefell vs Hodges).

In particolare, i Democratici, spalleggiati scandalosamente dalle solite fondazioni pseudo-filantropiche e dai media mainstream, da mesi stanno avanzando dubbi sulla correttezza etica di quei due giudici, per le loro amicizie e frequentazioni nel tempo libero, nonostante una lettera firmata da tutti i giudici supremi abbia garantito sugli alti standard etici rispettati.

Il presidente Biden, per l’anniversario della sentenza Dobbs, ha deciso di firmare un imponente ordine esecutivo. Con esso Biden ordina all’intera Amministrazione di “migliorare l’accesso alla contraccezione (…). Sostenere i servizi e le forniture per la pianificazione familiare attraverso il programma Medicaid (…). Migliorare la copertura della contraccezione attraverso il programma Medicare (…). Sostenere l’accesso alla contraccezione per i membri del servizio, i veterani e i dipendenti federali (…). Sostenere l’accesso alla contraccezione a prezzi accessibili per i dipendenti e gli studenti universitari”. Eccetera.

Ovviamente, tre delle maggiori imprese multinazionali abortiste - Planned Parenthood Action Fund, Naral Pro-Choice America ed Emily’s List - hanno assicurato tutto il loro sostegno finanziario ed elettorale all’accoppiata Biden-Harris, in vista della campagna elettorale del 2024, ringraziando anche per gli impegni pro aborto presi da Kamala Harris alla manifestazione del 24 giugno. Allo stesso tempo è stata rilanciata la propaganda, primo promotore l’abortista Guttmacher Institute, sulle centinaia di cliniche abortive chiuse e, soprattutto, sui milioni di donne private del cosiddetto “diritto” all’aborto negli Stati governati dai Repubblicani; una semplice ri-edizione delle tattiche che dagli anni Sessanta in poi sono state usate per liberalizzare l’aborto.

Diversi i sondaggi, naturalmente non univoci, sull’opinione dei cittadini ad un anno dalla sentenza Dobbs: quello commissionato dal gruppo Susan B. Anthony Pro-Life America mostra una crescita del consenso e una maggioranza di americani favorevoli a maggiori protezioni per bimbi concepiti, nati vivi e madri; quello delle agenzie indipendenti NPR/PBS NewsHour/Marist registra invece una sostanziale conferma del leggero dissenso verso la sentenza Dobbs che si era registrato lo scorso anno; quello condotto da Pew Research, ad aprile scorso, vedeva in leggero aumento i sostenitori dell’aborto.

I leader pro life, molti parlamentari e candidati alle elezioni presidenziali interne dei Repubblicani, presenti alla conferenza della coalizione di organizzazioni pro life Faith and Freedom Coalition di sabato, hanno sostenuto la proposta di introdurre un divieto federale all’aborto in tutti gli Stati oltre la 15a settimana. Altri, sostenitori di Trump, hanno giustamente ricordato come proprio Trump sia stato il presidente più pro life della storia statunitense. In ogni caso, per ribadire l’impegno a favore della vita nascente, i senatori del Partito Repubblicano hanno bloccato e bocciato, giovedì 22 giugno, quattro proposte di legge del Partito Democratico per la completa liberalizzazione dell’aborto. Dobbiamo solo pregare e sperare che i Repubblicani possano vincere la guerra contro la legalizzazione dell’omicidio dell’innocente con un’affermazione alle elezioni del 2024, fino a che l’aborto sia completamente bandito.