Un’altra eutanasia di Stato. Pippa è tornata al Padre
La disabile inglese di sei anni, al centro di una battaglia legale tra ospedale e famiglia, è morta qualche giorno fa dopo il distacco della ventilazione. L’ennesima vittima del “miglior interesse” improntato al relativismo. Pippa lascia un fratello di poco più grande e la madre, Paula Parfitt, che ha lottato fino all’ultimo per assicurarle le cure.
Pippa Knight è tornata alla Casa del Padre. A ufficializzare la notizia è stata, nel tardo pomeriggio di ieri, la Bbc, riferendo che gli avvocati dell’Evelina Children’s Hospital di Londra hanno confermato la morte della bambina inglese di sei anni (in alto un fermoimmagine di un video girato all'inizio di questa primavera), che aveva avuto le prime crisi epilettiche a venti mesi di età e soffriva di encefalopatia necrotizzante acuta. Il decesso, secondo quanto la Nuova Bussola ha appreso nella mattinata di ieri da fonti britanniche che hanno seguito il caso, è avvenuto qualche giorno fa, già la settimana scorsa. La madre, Paula Parfitt, che ha lottato fino all’ultimo per Pippa, assistendola devotamente, aveva nel frattempo mantenuto il riserbo sulla perdita, elaborando il suo dolore. La morte - una nuova eutanasia di Stato - è sopraggiunta dopo l’estubazione, ma al momento non ci risultano comunicazioni ufficiali sul giorno e l’ora esatti.
L’ultimo passaggio legale noto, e oggetto di un’udienza pubblica, è stato mercoledì 5 maggio, quando il giudice Nigel Poole (autore a gennaio della prima sentenza sul caso) ha dato il suo definitivo via libera al piano predisposto dall’ospedale londinese per il distacco della ventilazione meccanica, respingendo l’ennesimo ricorso (diviso in due filoni) di Paula. La donna aveva detto alla Bussola di aver presentato la richiesta di appello anche contro quest’ultima decisione. Ma l’esito, alla luce di come si è conclusa la vicenda, non è stato evidentemente quello sperato.
Pippa, che aveva compiuto sei anni lo scorso 20 aprile, si aggiunge così a Charlie, Alfie, Isaiah, Midrar, per ricordare solo le piccole vittime più note della cultura eugenetica ormai radicatasi nel sistema sanitario britannico (o meglio, un po’ in tutto l’Occidente) e i cui nomi sono emersi solo perché i loro genitori avevano deciso di opporsi - intraprendendo una battaglia legale - all’eutanasia di fatto caldeggiata dai medici. Senza dimenticare, tra gli adulti, il recente e clamoroso caso di RS, ‘privato’ perfino del nome e del volto. Ha prevalso ancora una volta la logica ribaltata del “miglior interesse”, figlia di un relativismo che non riconosce l’unità tra anima e corpo e, con essa, il valore intrinseco di ogni vita umana, donata da Dio. Un relativismo che di conseguenza non sa accettare la debolezza umana, la capacità di dare e ricevere amore anche (e perfino di più) in una condizione fragile, la possibilità che la sofferenza - se unita alla Croce di Cristo - serva un mistero di salvezza eterna.
Ancora una volta, né la giustizia inglese, né la Corte europea dei diritti dell’uomo, né l’Onu attraverso il suo Comitato per i diritti delle persone con disabilità hanno difeso il diritto alla vita di una innocente. E ciò in barba non solo alle norme interne ma anche alle convenzioni internazionali che teoricamente prevedono tale diritto, ma all’atto pratico lo sacrificano sempre più alla discrezionalità di medici e giudici. Pippa, va ricordato, beneficiava di una cura di base - la ventilazione - che non è lecito interrompere, come insegna la Chiesa, fino a quando assolve la sua funzione (mantenere in vita, come succedeva per la bambina originaria del Kent) e non risulta troppo gravosa per il paziente. Il caso era in generale più complicato di quello di Tafida, dove la cultura della vita ha avuto la meglio. E, per talune difficoltà (vedi qui), appariva non semplice il trasferimento richiesto in via prioritaria da Paula con la prosecuzione delle cure a casa; ma certamente si sarebbe dovuta proseguire la ventilazione nel reparto di terapia intensiva, fino alla morte naturale, come la stessa madre, in mancanza di alternative, chiedeva.
Rimane una famiglia segnata da un grave lutto e che adesso ha bisogno più che mai di preghiere. Il padre di Pippa si era suicidato nel 2017, non reggendo al dolore di vedere la sua bambina in gravi condizioni dopo che un altro figlio, avuto da una precedente relazione, era morto di meningite. Adesso Pippa, uccisa da innocente. Lascia Paula e un fratellino di circa 7 anni, insieme agli altri cari. La madre, nel bel mezzo della battaglia giudiziaria, aveva rivelato di aver trasmesso un insegnamento preciso alla figlia: «Prima che si ammalasse, le ho insegnato a pregare, lei univa le mani e diceva: “Gesù”». Nella sua breve vita terrena, anche lei ha vissuto il suo calvario, rifiutata e amata, come un piccolo segno di contraddizione. Ed è consolante pensare che oggi possa essere insieme ai bambini che l’hanno preceduta sulla stessa via e pronunciare quel Nome, mentre contempla il Volto divino.