Pippa Knight, un’altra bambina in balìa dei giudici
Combatte tra la vita e la morte Pippa Knight, bambina inglese di 5 anni considerata in stato vegetativo e tenuta in vita dal 2019, all’Evelina Children’s Hospital di Londra, attraverso un ventilatore. L’8 gennaio di quest’anno l’Alta Corte ha accolto la richiesta dell’NHS, giudicando nel «miglior interesse» di Pippa il distacco del supporto vitale. Ma la madre Paula, cristiana, 16 ore al giorno accanto a lei, non si arrende e punta al trasferimento a casa. Ricorrerà in Appello, dove l’esame del caso è fissato per il 9 febbraio.
Un’altra vita umana viene giudicata in queste settimane nei tribunali britannici, che da ultimo hanno decretato la condanna a morte di RS. Si tratta di Pippa Knight, una bambina di 5 anni gravemente malata, che dal gennaio 2019 si trova in cura presso l’Evelina Children’s Hospital di Londra. L’8 gennaio di quest’anno, il giudice Nigel Poole dell’Alta Corte (Family Division) ha deciso di accogliere in toto la richiesta del trust che ricomprende l’ospedale, stabilendo che è legale e nel «miglior interesse» della piccola paziente interrompere la ventilazione meccanica che la tiene in vita nel reparto di terapia intensiva pediatrica. La richiesta era stata presentata dal Guy’s and St Thomas’ Children’s NHS Foundation Trust nel marzo 2020 e al primo punto prevede anche che alla bambina non venga praticata la tracheostomia.
A questa idea si oppone la madre Paula Parfitt, 41 anni e vedova da tre, che sulla base del parere di due medici esterni al nosocomio londinese chiede che si faccia il tentativo di continuare le cure a casa, con l’ausilio di un ventilatore portatile e delle altre apparecchiature necessarie, nonché di personale sanitario. Questa eventualità richiederebbe proprio una preliminare tracheostomia, quantomeno se il trasferimento (che implica un periodo di transizione - dalla terapia intensiva a casa - stimato in almeno sei mesi) dovesse essere permanente. Ma il dottor Wallis, uno degli esperti indipendenti consultati da Paula, ha concesso, durante il dibattimento, che della tracheostomia si possa anche fare a meno per un’eventuale prova iniziale che dovrebbe durare due settimane.
I medici obiettano che in un ambiente meno attrezzato di un reparto di terapia intensiva la morte, viste le complicazioni della malattia, arriverebbe presto.
Va aggiunto per completezza che nel febbraio 2019 lo staff dell’Evelina - nella prospettiva di un miglioramento neurologico e di una ventilazione a lungo termine - aveva offerto a Paula la possibilità della tracheostomia per la figlia, ma la donna, che non aveva ancora capito pienamente a cosa servisse, aveva allora rifiutato. Ad ogni modo, qualora il trasferimento a casa non fosse praticabile, Paula ha manifestato la volontà che la ventilazione continui. Secondo le conclusioni del legale in primo grado di Paula, riportate nel giudizio di Poole [n° 16], tuttavia, la donna avrebbe detto al suo avvocato che «considererebbe» di acconsentire al distacco del supporto vitale se Pippa, dopo aver eventualmente superato la prova del ventilatore portatile, non manifestasse nel giro di sei mesi nessun reale progresso diretto a un ritorno a casa.
Il personale calvario di Pippa, nata sana il 20 aprile 2015, è iniziato nel dicembre 2016, con il primo ricovero in ospedale e la comparsa delle prime crisi epilettiche. Presto c’era stato il trasferimento al St George’s Hospital di Londra. La diagnosi: encefalopatia necrotizzante acuta (Ena), una malattia neurologica rara con gravi complicazioni. Dimessa nel giugno dell’anno successivo, Pippa presentava un disordine motorio nei quattro arti e aveva bisogno della sonda nasogastrica. Al vederla così, il padre, che aveva già perso un bambino (a causa della meningite) avuto da una precedente relazione, si è suicidato pochi giorni dopo il ritorno della bambina a casa. Pippa, colpita da un virus, aveva avuto un altro ricovero temporaneo nel 2018 ma poi, di nuovo a casa, grazie alle cure della madre aveva fatto progressi, come camminare con un girello, parlare un po’ e interagire nei giochi.
All’inizio del 2019, l’Ena è tornata a colpirla e dal 15 gennaio di quell’anno è ricoverata appunto all’Evelina. I medici, esperti indipendenti compresi, ritengono che sia in “stato vegetativo persistente”, non abbia coscienza dell’ambiente circostante e probabilmente non senta dolore. Vengono in generale escluse speranze di miglioramenti, inclusa la possibilità di fare a meno della ventilazione, da cui ad oggi risulta totalmente dipendente. La madre, che ha anche un bambino di sette anni, è invece fiduciosa che una volta a casa (risiedono nel Kent, a una trentina di miglia da Londra) Pippa possa progredire grazie all’ambiente e all’amore familiare, suo, del fratellino, dei nonni e zii materni. «Non capisco perché l’ospedale e il tribunale - ha detto Paula - non mi abbiano permesso di verificare se Pippa potesse tornare a casa per essere assistita con tutta la sua famiglia intorno a lei, quando due medici indipendenti di rispettabili ospedali in Inghilterra hanno detto di pensare che valga la pena provare».
Nelle disposizioni finali del suo giudizio di cinquanta pagine, il giudice Poole ha sì riconosciuto e ribadito la straordinaria devozione di Paula verso la figlia (Pippa beneficia mediamente per 16 ore al giorno della presenza della madre, alloggiata gratuitamente in una vicina residenza dell’ospedale), ma ha aggiunto che «la responsabilità per le decisioni in questo caso spetta alla corte, non a lei». In primo grado, la madre si è potuta avvalere della difesa d’ufficio (uno dei due legali che le sono stati assegnati è però Victoria Butler-Cole, nota per essere pro-eutanasia), mentre per il ricorso le è stata negata. La sua accorata richiesta d’aiuto è stata provvidenzialmente colta dalla britannica Spuc (Society for the protection of unborn children), antica organizzazione pro-vita, che si è offerta di pagare le spese legali - stimate fino a 100.000 sterline - e a tal fine ha lanciato una campagna di raccolta fondi.
Alla notizia dell’aiuto da parte della Spuc, Paula ha versato lacrime di gioia e sollievo: «Mi sento così privilegiata. E sono grata non solo per il sostegno finanziario ma per le loro preghiere per Pippa, per la loro fede e umanità e per aver cercato di salvarla con preghiere e amore. So che, come cristiana, sono una grande credente nella legge di Dio» e questo significa «preservare la vita, rispettare e prendersi cura di ogni vita umana». La madre ha rivelato anche un particolare sulla figlia: «Prima che si ammalasse, le ho insegnato a pregare, lei univa le mani e diceva: “Gesù”. Sto cercando di seguire la via di Gesù. A Dio la gloria. Sempre».
Va notato che tra i precedenti citati nella sentenza di Poole (dove ci sono anche estratti dei giudizi su Charlie Gard e Alfie Evans), particolare spazio ha avuto il caso di Tafida Raqeeb, su cui peraltro avevano fatto leva la famiglia di Pippa e alcuni degli esperti chiamati a supporto. Il giudice ha però rigettato in gran parte il paragone, argomentando principalmente - sulla base della sentenza a suo tempo di Alistair MacDonald - che Tafida presentava un minimo livello di coscienza (qui ritenuta assente) e c’era un «piano di assistenza completamente pensato e finanziato» (n° 179, Raqeeb) per arrivare a condurre, col tempo, la bambina a casa.
Ora, detto che la situazione appare ad oggi più complicata rispetto a quanto potesse apparire per la piccola Tafida, il punto sta nel valore intrinseco della vita umana. Valore che fa passare in secondo piano le varie ipotesi sulla possibilità o meno di miglioramenti. Se è vero com’è vero che la ventilazione è una cura di base da garantire fino a quando (senza essere eccessivamente gravosa) assolve il suo fine - mantenere in vita -, bisogna continuare ad assicurarla. I due esperti più combattivi chiamati da Paula sbagliano laddove appoggiano l’idea di staccare la ventilazione nel caso questa possa essere continuata solo in un contesto ospedaliero di terapia intensiva. Ma rispetto all’idea di tentare un trasferimento a casa, è del tutto ragionevole quel che il dottor Wallis afferma nel suo rapporto di aprile 2020: «Va riconosciuto che c’è un rischio intrinseco nel tornare a casa per Pippa, ma se l’alternativa è il ritiro del supporto vitale allora questo rischio dovrà essere accettato…».
Per martedì 9 febbraio, riporta la Spuc, è stato fissato l’esame del caso presso la Corte d’Appello.