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CUSTODIRE L'AMBIENTE

Un convegno per respingere i miti anti-umani dell'ecologismo

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Il convegno organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana e Pro-Vita Onlus, Custodire l’ambiente, custodendo l’uomo in quattro sessioni ha confutato miti e luoghi comuni dell'ecologismo ideologico. A partire dalla sua premessa filosofica contro l'antropocentrismo, fino alle sue costose conseguenze per l'uomo, l'economia e la stessa natura. 

Creato 27_03_2023
Carbone, Cascioli, Poleggi

Riscaldamento globale: è difficile sentire una sola voce contraria alla narrazione dominante, secondo la quale moriremo tutti fra non molti anni. Il catastrofismo regna sovrano, in questo campo del sapere chiamato climatologia e non passa giorno che nei principali telegiornali italiani (pubblici e privati) non vi sia almeno un servizio dedicato al cambiamento climatico e alle sue nefaste conseguenze.

Per questo è stata un’occasione più unica che rara assistere al convegno Custodire l’ambiente, custodendo l’uomo, organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana e l’associazione Pro-Vita Onlus, il 25 marzo, moderato da Francesca Romana Poleggi (Pro-Vita Onlus). Nonostante, a Milano, fosse un bel sabato primaverile, circa 150 persone di pubblico (in certi momenti anche di più) hanno passato la giornata alla sede del Pime, ad assistere, con interesse e trasporto, a una relazione dietro l'altra.

Il titolo già dice tutto: non si è parlato male di ambiente e di ambientalismo, ma si è ridato il giusto ordine delle priorità, come sottolinea monsignor Giampaolo Crepaldi nel suo intervento introduttivo: prima l’uomo, poi l’ambiente. Il concetto di creato, biblico, spiegato in una lunga e dettagliata lezione introduttiva, da padre Giorgio Carbone, pone l’uomo al centro, a custodia della natura. Fermo restando questo concetto, antropocentrico, si può affrontare il catastrofismo contemporaneo. Che altro non è che una strategia della comunicazione adottata per far passare un’ideologia opposta: quella secondo cui l’uomo è solo una parte della natura e non può rivendicare diritti superiori, oppure, come nell’ecologismo radicale, l’uomo è il virus della natura. Ed è per questo che è sempre stato strettamente imparentato con la causa de-natalista, che mira al calo demografico. Se si dice che il nostro pianeta ha la febbre, è perché evidentemente noi siamo considerati come il virus che lo ha infettato, come sottolinea Riccardo Cascioli svelando i meccanismi di questa narrazione avvelenata.

Tre gli argomenti per confutare questa ideologia anti-umana: quella del riscaldamento globale antropico è una teoria scientifica e come tale può essere confutata; la transizione verde è economicamente controproducente e può distorcere il funzionamento corretto del mercato; i costi dell’ambientalismo, se applicato fino alle sue coerenti conseguenze, sono insostenibili.

Confutare la teoria del riscaldamento globale antropico appare ai più come una bestemmia, tanto da proporre l’introduzione del reato di “negazionismo climatico”. Ma è scienza, appunto, non religione. Ogni teoria scientifica può, e deve poter essere, falsificata. I professori Nicola Scafetta, Franco Battaglia e Uberto Crescenti lo hanno fatto, senza paura, ciascuno sulla base dei propri studi. Nessuno nega che vi sia un cambiamento climatico. Ma non è detto che sia l’uomo a provocarlo, non è detto che sia soprattutto l’uomo a causarlo, non è detto che il cambiamento sia così repentino da impedire l’adattamento. In passato, come in epoca romana e poi nel Medio Evo, vi sono stati altri riscaldamenti globali. Sicuramente non erano causati da emissioni umane di CO2 e certamente non hanno provocato l’estinzione della nostra specie.

Quanto all’aspetto economico della transizione verde, ormai un dogma nei programmi politici di quasi tutti i partiti europei, i professori Ernesto Pedrocchi e Mario Giaccio ci mostrano i due volti del problema: le fonti rinnovabili, su cui si punta, non sono produttive, né affidabili e la transizione verde funziona solo se lautamente finanziata con fondi pubblici, o fondi privati diretti dal pubblico. Si crea dunque un’enorme distorsione del mercato e a farne le spese sono soprattutto i ceti più produttivi, a vantaggio invece del settore pubblico e della finanza. Una finanza che, in questo contesto, agisce secondo le logiche di un capitalismo consociativo, agendo in tandem con la politica.

Infine, ma non da ultimo, la transizione verde costa anche, paradossalmente, in termini di distruzione ambientale e di regresso nell’agricoltura. Nell’ultima parte della conferenza, tenuta dall’ingegner Giovanni Brussato e dai professori Alberto Prestininzi e Luigi Mariani, abbiamo visto, ad esempio, quanto rischiamo di perdere, quanto è devastante la conseguenza dello sfruttamento minerario (indispensabile alla transizione verde) e quanto rischiamo di far regredire l'agricoltura. Il tutto a fronte di guadagni invisibili.

Tanto masochismo è motivato dall’ideologia. Non ci sono altre spiegazioni possibili. L’Ue rischia di immolarsi, perdendo la sua competitività nel nome dell’utopia verde. Ed è bene ricordare la premessa filosofica e teologica: si è sostituito il Creato con Gea o con altre concezioni contrarie all’antropocentrismo, perché, come spiega mons. Crepaldi: “le ideologie che emarginano l’uomo è perché intendono emarginare Dio”.