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CONVENZIONE RATIFICATA

Ucraina, il prezzo per entrare nell’Ue: l’ideologia Lgbt

Il Parlamento ucraino ha ratificato la Convenzione di Istanbul. Una decisione che ha trasformato in consenso il precedente scetticismo di Danimarca, Olanda e Svezia verso l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Da 15 anni la Commissione europea pone come condizione per far parte dell’Ue il riconoscimento dell’ideologia Lgbt, veicolata dalla Convenzione. Esultano élite e lobby internazionali.

Editoriali 22_06_2022
Parlamento ucraino

La settimana per il destino dell’Ucraina è iniziata lunedì 20 giugno, con l’annuncio del presidente Zelensky che auspicava storici avvenimenti. La Verkhovna Rada, il parlamento monocamerale ucraino, ha ratificato nel tardo pomeriggio del 20 giugno la “Convenzione del Consiglio d’Europa (CoE) sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”, meglio nota come Convenzione di Istanbul. Su 450 parlamentari, 259 hanno votato a favore, quattro hanno votato contro e 25 si sono astenuti, gli altri erano assenti o ‘banditi’ dal Governo in carica.

La ratifica della Convenzione di Istanbul è un segnale in vista del vertice dell’Unione europea sulla disponibilità dell’Ucraina ad attuare le riforme necessarie, in quanto la Convenzione rappresenta di fatto una sorta di “marcatore di un Paese civile” per la Commissione europea. Sarà un caso, ma proprio nei giorni scorsi, a fronte dell’impegno preso da Zelensky, che il 18 giugno aveva chiesto al Parlamento di procedere con la ratifica, lo scetticismo di Olanda, Danimarca e Svezia, per il riconoscimento dello “status di candidato” a Kiev, si è trasformato in consenso. La Commissione stessa ha raccomandato ai leader dei Paesi membri di sostenere la candidatura ucraina al prossimo Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Sinora Kiev non aveva ratificato la Convenzione a causa delle proteste delle diverse chiese e di politici conservatori nei confronti del gender e delle tutele previste verso l’ideologia Lgbti presenti nel testo e nelle sue interpretazioni. “La ratifica della Convenzione conferma l’impegno dell’Ucraina nell’introduzione di standard e approcci europei per la protezione dei diritti umani e delle libertà. Il Governo e il Parlamento ucraino hanno fatto un grande lavoro per sviluppare un meccanismo per combattere e prevenire la violenza e la legislazione necessaria è stata implementata. La ratifica della Convenzione consolida questo lavoro”, ha commentato Olha Stefanishyna, vice primo ministro per l’integrazione europea ed euro-atlantica dell’Ucraina.

Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, ha salutato il voto di lunedì come una “vittoria storica per i diritti delle donne in Ucraina e un contributo al cambiamento della cultura, degli atteggiamenti e dei comportamenti nei confronti della violenza di genere (…). Il voto di oggi è una testimonianza di anni di campagne condotte (...) è un passo decisivo nella lotta contro la violenza di genere”. Sin dal mese di maggio, con una dichiarazione assolutamente priva di buonsenso, era stata la rappresentante dell’Onu Osnat Lubrani ad esortare “l’Ucraina ad accelerare la ratifica della Convenzione di Istanbul, ascoltando la voce di 25.000 cittadini che avevano firmato una petizione al Presidente dell’Ucraina”. La voce di 25.000 cittadini in un Paese di 44 milioni di abitanti?

È ben nota la condizione richiesta dalla Commissione europea, sempre inoltrata con tracotanza negli ultimi 15 anni nei confronti dell’Ucraina: senza un reale riconoscimento dell’ideologia Lgbti, dei “matrimoni gay”, dell’educazione al gender e alla non discriminazione (ovvero privilegi), non ci sarà disco verde. Due studi accademici dimostrano l’ossessione europea e americana per fare dell’Ucraina il primo Paese ortodosso russo (ora ucraino) che abbraccia l’ideologia Lgbti.

Nel primo studio si descrive come i diritti Lgbti e l’omosessualità siano emersi per la prima volta tra le argomentazioni contro l’avvicinamento dell’Ucraina all’Ue nel 2012, sullo sfondo dei negoziati in corso tra l’Ue e l’Ucraina per un accordo di associazione. Chi scrive ben ricorda personalmente di essere stato invitato e aver poi partecipato nell’autunno del 2013 ad una tavola rotonda con i rappresentanti del neonato intergruppo parlamentare pro famiglia e pro vita che si opponeva (anche con una mozione approvata dal Parlamento) alla condizione pro Lgbti di fatto posta dalla Commissione europea per la firma dell’Accordo di associazione con l’Ucraina. Il 21 novembre 2012 il governo di Viktor Yanukovych annunciava la decisione di sospendere i preparativi per la firma dell’Accordo di associazione con l’Ue e lo comunicava a Štefan Füle, commissario europeo per l’Allargamento.

Il secondo studio conferma puntualmente tutte le tappe e le pressioni subite dai governi ucraini dal sorgere dei primi gruppi Lgbti nel Paese tra il 2011 e il 2017. È di tutta evidenza che il riconoscimento esplicito dell’ideologia Lgbti è inserito di fatto nelle trattative per l’accesso di un Paese che voglia esser parte dell’Unione europea. Il Parlamento ucraino aveva già approvato (12 novembre 2015) una legge che vietava la discriminazione sul posto di lavoro, compresa quella basata sull’orientamento sessuale. Era l’ultima legge di un pacchetto di richieste affinché l’Ue potesse considerare l’esenzione dal visto per gli ucraini (in vigore dal 2017). L’allora presidente Petro Poroshenko scriveva: “L’Ucraina si sta liberando dalle catene della discriminazione del passato sovietico”. Come scriveva nel 2016, su Newsweek, la leader delle Femen: “L’Ucraina deve essere un campione dei diritti Lgbti perché abbia successo la rivoluzione di Maidan”.

La ratifica della Convenzione di Istanbul è un’ulteriore spinta anticristiana, stavolta promossa dall’attore comico e presidente Zelensky, nella tragedia della guerra.

 

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