Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
il conflitto

Ucraina, dopo la conferenza svizzera la via della pace è ancora lontana

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Una conferenza di pace senza il belligerante che, peraltro, sta vincendo la guerra non poteva andare molto lontano. Le posizioni delle due parti sono lontanissime, ma l'impressione è che i leader occidentali vogliano arrivare al rinnovo della Commissione europea e alle elezioni americane, sperando che l'Ucraina non capitoli nel frattempo

Esteri 18_06_2024

La conferenza di pace tenutasi in Svizzera per porre fine alla guerra in Ucraina ha mostrato tutti i limiti che già erano ben noti fin da quando era stata indetta senza invitare al tavolo la Russia, che non solo è uno dei due belligeranti, ma è anche quello che la guerra la sta vincendo. Anche per questo alla conferenza hanno partecipato una novantina di nazioni e organismi internazionali, molti dei quali con delegazioni a basso profilo che in molti casi non hanno risparmiato critiche al mancato invito di Mosca.  

La pace si negozia col nemico non con amici e neutrali. Non a caso a Lucerna 12 nazioni non hanno firmato il documento finale che prevede una soluzione che garantisca “l’integrità territoriale delI’Ucraina”: tra questi Brasile, India e Sudafrica (la Cina non era presente alla conferenza), Messico. Armenia, Bahrein, Indonesia, Libia, Arabia Saudita, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti. 

Anche il fronte europeo contrapposto a Mosca comincia a dare segnali di cedimento e dopo l’annuncio della Germania che non  sosterrà nuove sanzioni alla Russia per non danneggiare le proprie aziende esportatrici, ieri il leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, favorita nelle elezioni francesi del 30 giugno, ha detto che «dovremo parlare con la Russia per cercare di trovare una via d'uscita positiva per l'Ucraina da questo conflitto, che chiaramente non può vincere. Spero che la Francia svolga un ruolo in questa soluzione ragionevole, per il bene dell'Ucraina sotto attacco e per un rapido ritorno a una pace duratura. La linea rossa che tracciamo per noi stessi è quella di pensare attentamente alle sanzioni in modo che non si ritorcano contro di noi. Penso, ad esempio, alla guerra energetica che abbiamo condotto, che è stata devastante per le nostre economie», ha affermato Le Pen aggiungendo che «la seconda linea rossa è non diventare co-belligeranti».

In questo contesto Mosca ha quindi avuto buon gioco nel definire l’esito della conferenza con «zero risultati», come ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov: «Se parliamo dei risultati di questo incontro, allora scendono a zero». Peskov ha aggiunto che Putin non rifiuta la possibilità di negoziati con l'Ucraina ma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non è la persona con cui sottoscrivere accordi.  «Non è la persona con cui si possono stringere accordi scritti perché l'accordo sarebbe illegittimo», ha detto ricordando che il mandato presidenziale di Zelensky è scaduto in maggio.

Con simili basi non ci si poteva aspettare molto dalla conferenza di Lucerna e infatti il presidente svizzero Viola Amherd ha dichiarato che Putin potrebbe essere autorizzato a partecipare a un potenziale secondo vertice di pace nonostante un mandato di arresto della Corte penale internazionale (CPI) emesso contro di lui. «Se la presenza di Putin è necessaria per tenere la conferenza, allora si può fare un’eccezione. Nel caso dei negoziati di pace in Ucraina con la Russia, questa può essere un’eccezione», ha detto Amherd aggiungendo che «una decisione deve essere adottata dal governo svizzero».

Come era facile prevedere il mandato della CPI contro Putin, tanto caldeggiato a suo tempo da Unione europea e Stati Uniti, si rivela oggi un ostacolo a negoziare la fine della guerra. Del resto il sostegno alla proposta di pace formulata alla Conferenza di pace in Svizzera dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky conferma ulteriormente lo scarso realismo con cui viene affrontata la questione dalle cancellerie euro-atlantiche.

Affermare che i russi devono ritirarsi dai territori ucraini e pagare i danni di guerra (come ha ripetuto Ursula von der Leyen) è privo di senso perché la Russia non è la Germania del maggio 1945: non ha perso la guerra, anzi la sta vincendo conquistando un villaggio dopo l’altro logorando le sempre più esauste forze ucraine. Non tenerne conto, nascondendo la testa sotto la sabbia, danneggerà ulteriormente gli interessi europei e porterà solo all’inutile sacrificio di altre migliaia di vite ucraine.

Lo stesso approccio è stato adottato per respingere la proposta di accordo formulata da Putin il 14 giugno in base al quale la Federazione Russa si impegna a cessare le ostilità e negoziare se Kiev ritirerà le sue truppe dalle quattro regioni solo parzialmente occupate dalle forze russe e rinuncerà ad entrare nella NATO (per una analisi del piano di Putin leggi qui). Dopo oltre due anni e forse mezzo milione di morti e feriti, la proposta di Putin include tutte le quattro regioni annesse da Mosca con i referendum del settembre 2022 sulle quali il controllo russo oggi non è certo completo. 

Secondo quanto riportato dal giornale tedesco Bild, Putin chiede agli ucraini di cedere circa 26 mila chilometri quadrati di territori che sono già quasi tutti oggetto delle offensive russe con l’eccezione di Kherson, dove i contendenti sono separati dal fiume Dnepr. Un’area consistente che potrebbe venire discussa in sede di trattative ma Kiev, Usa, Ue e Nato hanno respinto la proposta di Mosca definita più un’offerta di resa che di negoziato.

D’altra parte continuare a scommettere sulla vittoria di Kiev non appare una prospettiva realistica considerata la situazione militare, economica e sociale dell’Ucraina che vede gli stessi ucraini ormai stanchi di combattere. Oltre ai tanti che cercano in ogni modo di sottrarsi all’arruolamento forzato, un numero rilevante di ucraini ritiene che vi sia un pericoloso declino dei diritti e della democrazia come spiega un sondaggio pubblicato in Francia da Les Echos e realizzato dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev.

Invece di puntare a un accordo realistico all’interno di una conferenza che ristabilisca condizioni di pace, distensione e sicurezza per tutti ai confini orientali europei, si rafforza l’impressione che USA e UE puntino sulla resistenza dell’Ucraina almeno fino alla nomina della nuova Commissione Europea e fino alle elezioni statunitensi, perché un suo tracollo sancirebbe la disfatta di tutti i leader e governi che hanno sostenuto il braccio di ferro con la Russia sulla pelle degli ucraini.
Il problema è che tra sei mesi le condizioni imposte da Mosca per la pace potrebbero essere ancora più esose in termini territoriali senza dimenticare che un eventuale tracollo dell’Ucraina rischierebbe di cancellarla dalle carte geografiche.

Peraltro la credibilità di molti leader e governi è già ampiamente compromessa come ha dimostrato il voto europeo dell’8 e 9 giugno che ha punito i governi più “bellicosi” di Francia e Germania, mentre fuori dalla UE l’esecutivo britannico è già dimissionario e i conservatori non hanno molte speranze di vincere le elezioni del 7 luglio. L’Europa ha ancora l’opportunità di gestire la conclusione della guerra in Ucraina in un contesto che ristabilisca pace, sicurezza e relazioni normali con la Russia, necessarie a evitare un’altra Guerra Fredda che non possiamo permetterci senza esporci a povertà e instabilità. Ma la finestra di opportunità si chiuderà presto. 

Entro breve, considerando che anche Joe Biden (o chi per lui, viste le sempre più precarie e imbarazzanti condizioni di salute del presidente USA) potrebbe lasciare la Casa Bianca a Donald Trump il quale anche nei giorni scorsi si è mostrato scettico circa il sostegno a Kiev, la gran parte dei governi che hanno sostenuto la guerra contro la Russia fino all’ultimo ucraino saranno con ogni probabilità mandati a casa dai loro elettori mentre al Cremlino siederà ancora Putin.



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