Trump minaccia tutti. Ma gli Usa non possono sfidare il mondo
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Prima minaccia la Danimarca sulla Groenlandia, poi dazi a Canada, Messico e Cina, prossimamente anche l'Europa nel mirino. E infine si aliena gli alleati arabi promettendo di svuotare Gaza. Trump non può inimicarsi tutti.

Aggressivo con i rivali e minaccioso con vicini e alleati. A meno di un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump sembra essere già riuscito nell’impresa di rendere gli Stati Uniti invisi a tutti o quasi nel mondo.
In pratica il tanto propagandato piano Make America Great Again (MAGA) rischia di trasformarsi in MAHA, acronimo di Make America Hated Again. All’Europa Trump minaccia dazi se non compra armi americane e non spende per la Difesa il 5% del PIL, cioè ben di più di quanto spendono gli stessi Stati Uniti (3,3%). Una cifra folle specie tenendo conto delle pessime condizioni economiche ed energetiche dell’Europa, che dopo aver pagato il prezzo della sudditanza all’Amministrazione Biden viene oggi sottomessa anche da quella Trump.
Non pago, The Donald rivendica senza mezzi termini e non escludendo l’uso della forza, il controllo sulla Groenlandia, ancora dipendenza con larga autonomia dal regno di Danimarca ma ”fondamentale” per la sicurezza nazionale statunitense. In un’intervista a Fox News, il vicepresidente statunitense J.D. Vance ha affermato che la Groenlandia è “davvero importante” per la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti. «Francamente, la Danimarca, che controlla la Groenlandia, non sta facendo il suo lavoro e non è un buon alleato», ha affermato Vance.
Dopo aver ceduto gran parte delle sue munizioni e tutta l’artiglieria e i velivoli F-16 all’Ucraina, la Danimarca improvvisamente non è più un buon alleato degli Usa perché non è disposta a cedere la Groenlandia? Non che Trump abbia trattato meglio i suoi vicini, Messico e Canada, ai quali ha applicato dazi del 25%. Nella visione di Trump anche il Canada dovrebbe venire annesso agli USA come 51° stato mentre al Messico sta riservando un trattamento da “paese ostile”, non solo schierando le truppe al confine per frenare l’immigrazione clandestina e il traffico di droga ma anche rivendicando un’egemonia territoriale ben evidenziata dalla pretesa di ribattezzare “Golfo d’America” il Golfo del Messico.
Secondo un attento osservatore statunitense di politica internazionale come il conservatore Daniel Pipes «la minaccia più ampia di Trump di imporre tariffe doganali indiscriminate, anche contro Canada e Messico, avrà conseguenze disastrose in politica estera. Gli alleati più stretti degli Stati Uniti prenderanno le distanze e i partner commerciali fuggiranno verso altri mercati».
Non va meglio con l’intera America Latina. L’aver indotto con minacce economiche (i soliti dazi) il governo della Colombia ad accettare il rientro degli immigrati illegali deportati dagli Usa e con la minaccia di invasione il governo di Panama a non rinnovare il contratto con una società cinese per la gestione del porto e del Canale che collega gli oceani Atlantico e Pacifico, non favorirà certo rapporti distesi e di buon vicinato con l’America centro-meridionale.
La Cina ha risposto ai dazi imposti da Trump con un minore export negli USA di terre rare e ha respinto al mittente le accuse di favorire i traffici di droga fentanyl attraverso il Messico, sottolineando che Pechino applica leggi severe contro il consumo di droga, a differenza degli Stati Uniti. Benché cerchi un accordo con Putin per chiudere il conflitto in Ucraina, il neo presidente statunitense non ha resistito alla tentazione di minacciare anche Mosca di dazi e ulteriori sanzioni in caso di mancato accordo sulla guerra in corso ormai da tre anni. Forse Trump non si è reso conto che dieci anni di sanzioni non hanno piegato l’economia russa.
Anche in Medio Oriente il presidente americano ha rapidamente bruciato il credito che aveva incassato imponendo a Israele di accettare l’accordo per la liberazione degli ostaggi e il ritiro da Gaza, proponendo la deportazione degli abitanti della Striscia da porre sotto il controllo degli Stati Uniti.
In una conferenza stampa con Benjamin Netanyahu, il presidente ha affermato che «i palestinesi devono lasciare la città e andare in altri paesi. Gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza, un controllo a lungo termine che porterà stabilità al Medio Oriente, Gaza sarà la riviera del Medio Oriente». Trump ha ribadito che «gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza e si occuperanno della bonifica degli ordigni e della ricostruzione». Un controllo, quello di Washington sulla Striscia, «a lungo termine» che, per il presidente americano, «porterà stabilità al Medio Oriente». A Gaza «vivranno le persone del mondo, anche palestinesi. Sarà la rivière del Medio Oriente». Non è chiaro se questo piano prevede il dispiegamento di truppe militari in territorio palestinese. Trump non lo ha escluso, limitandosi a dire che «faremo ciò che è necessario».
In attesa di vedere marines o contractors statunitensi strappare il controllo delle rovine di Gaza ai miliziani di Hamas per farci un gigantesco resort turistico con alberghi e casinò da inglobare negli USA, Trump ha incassato l’ira di tutto il Medio Oriente.
Giusto per ampliare l’ostilità verso gli Stati Uniti nella regione mediorientale, Trump ha offerto un miliardo di dollari di nuove armi a Israele e ha minacciato Teheran di annientamento nel caso gli iraniani tentassero di ucciderlo.
Nel complesso la politica estera che Trump sta delineando rischia di irritare gran parte del mondo, sia rivali che amici e alleati di Washington, favorendo l’avvicinamento a potenze che appaiono meno imperialiste e più aperte al dialogo come Russia e Cina. Secondo Pipes «una cosa è minacciare la Colombia, secondo esportatore mondiale di fiori, con tariffe doganali per convincere questo Paese ad accogliere i migranti espulsi, due settimane prima di San Valentino. Ma indurre l’Egitto o la Giordania ad accettare l’afflusso massiccio di gazawi è un’altra questione».
«Se ce ne fosse la necessità, l’Egitto e la Giordania rimpiazzerebbero i finanziamenti governativi statunitensi con il sostegno dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo. Avrebbero un appoggio diplomatico quasi unanime. Si allontaneranno dagli Stati Uniti e si orienteranno verso la Cina».
Pipes non risparmia un monito alla Casa Bianca. «Guai a un Paese il cui leader adotta una politica estera disinvolta, senza un’attenta considerazione dei fattori. Minacciare tutti, indistintamente, di danni economici indebolirà la posizione dell’America nel mondo. Gli americani e i loro alleati perderanno molto se Trump si ostinerà a minacciare di imporre dazi come pilastro della politica estera degli Stati Uniti”.