Studente gay sgrida il Papa: il "todos" presenta il conto
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Il Sommo Pontefice rimproverato in collegamento video da un universitario con tanto di fascia arcobaleno. Francesco glissa, ma è lui stesso a prestare il fianco mostrando un papato pop... e anche friendly.
Il 20 giugno scorso Papa Francesco era in collegamento video con una manciata di studenti universitari, appartenenti ad alcuni Paesi asiatici che si affacciano sul Pacifico, per parlare del tema Building Bridges Across Asia Pacific.
Prende la parola Jack Lorenz Acebedo Rivera, studente di Manila, nelle Filippine, che, con tanto di fascia arcobaleno al petto, così rimprovera il Papa dopo aver fatto cenno alla discriminazione a danno delle donne musulmane: «Io stesso sono emarginato e vittima di bullismo a causa della mia bisessualità, del mio essere gay, della mia identità e del fatto di essere figlio di un genitore single. Mia madre non può divorziare da mio padre [la madre probabilmente è stata abbandonata dal marito, n.d.a.]. Per favore consenta il divorzio nelle Filippine e smetta di usare un linguaggio offensivo contro la comunità Lgbt+. Questo mi provoca un dolore immenso. A causa di ciò ho sviluppato un disturbo bipolare e vengo stigmatizzato» (da 1:00:48). Il motivo del rimprovero è noto: qualche settimana fa il Papa aveva detto: «Nella Chiesa c'è troppa aria di frociaggine». Espressione usata dal Santo Padre anche una seconda volta.
Il Papa, che ha preso la parola dopo una serie di interventi degli studenti, non ha ribattuto a Rivera, ma ha risposto in modo banale argomentando sulla discriminazione delle donne – tra l’altro con accenti fortemente discriminatori verso gli uomini – dei malati di HIV e sul nesso esistente tra identità e prossimità. A margine: il Papa non si è fatto sfuggire l’occasione per sganciare l’ennesima bomba all’idrogeno quando ha affermato che l’impossibilità di divorziare è una forma di discriminazione (molto ci sarebbe da dire, ma perlomeno, se proprio voleva affrontare questo argomento, occorreva ricordare che il matrimonio è indissolubile quando è valido).
Ma veniamo al punto e il punto è il seguente: uno studente rimprovera in diretta e in mondovisione – peculiarità di internet – il Papa. Qualche riflessione. La prima, che si pone a monte della tirata di orecchie pontificie da parte dello studente di Manila: il Papa, seppur in modo inelegante, ha detto una verità. C’è troppa omosessualità nella Chiesa. Le persone omosessuali, sacerdoti e laici, sono aumentate negli organi di governo tanto da diventare una lobby potente che, probabilmente, è riuscita, tramite ricatto, a far pubblicare Fiducia supplicans, documento del Dicastero per la Dottrina della Fede che legittima le benedizioni delle coppie omosessuali. C’è però da aggiungere che il termine triviale “frociaggine” è stato un pretesto delle comunità Lgbt per attaccare il Papa: chiunque infatti sa bene che quel termine è usato ordinariamente all’interno di queste stesse comunità, seppur in tono scherzoso.
L’aspetto però più tristemente saliente sta nel fatto che uno studentello qualsiasi ha l’ardire di redarguire un Papa pubblicamente e in diretta. La nostra cara e vecchia zia si potrebbe allora domandare: come siamo arrivati a questo punto? Di certo una prima risposta fa riferimento alla distruzione del valore dell’autorità. I rivoluzionari francesi tagliarono la testa al Re e Rivera, nipotino di quella stessa rivoluzione, l’ha tagliata al Papa.
Ma il fattore cardine che ha determinato l’uscita censoria dell’universitario di Manila sta nel fatto che è stato lo stesso Papa a tagliarsi la testa sin da quando è apparso, il giorno della sua elezione, sul balcone della loggia delle benedizioni. È il Papa che ha permesso ad un signorino nessuno di rimproverarlo come se fosse un alunno particolarmente discolo. Lo ha permesso per più motivi. In primis perché anch’egli è figlio della rivoluzione che odia l’ordine e l’ordine è sempre gerarchico. Da qui l’idea, assai datata in realtà, della Chiesa come un consesso democratico, della sinodalità dove ogni testa vale uno, dell’egualitarismo che pialla tutto e rende omogeneo ogni differenza, tanto che in Paradiso ci sarà posto anche per i peccatori impenitenti. Da Sommo Pontefice a casellante che fa entrare «tutti, tutti, tutti» (todos, todos, todos) senza far pagare pedaggio alcuno.
Ovviamente la strategia è solo di facciata. È ormai assodato che il Papa è fortemente autocratico ed esercita il suo potere con maglio di ferro e in modo assolutistico, imponendo le sue prerogative, assegnate dal Cielo misericordioso, senza misericordia. Ma l’apparenza è altra e il messaggio comunicato all’esterno è diverso: io sono uno di voi, uguale a voi, valgo quanto voi perché peccatore come voi. Insomma sono uno del popolo. E il messaggio è arrivato forte e chiaro al giovane Rivera: ha rivoltato come un calzino Francesco, come se fosse in videochat con un suo compagno di classe che il giorno prima lo aveva insultato dicendogli che era "frocio". È il Papa che ha deciso le regole di ingaggio, è lui che si è messo sullo stesso piano di Rivera, altrimenti per quest’ultimo sarebbe stato impossibile mettersi sullo stesso piano di un Papa. Infatti l’errore è stato a monte: un Papa non dovrebbe mettersi in collegamento con una manciata di studentelli, tutti copie della Thunberg pronti a sgridare i potenti. Il problema centrale sta allora nella secolarizzazione della figura del Papa.
Il pontefice per i Romani era colui che creava un ponte tra gli uomini e le divinità. È uomo che innalza l’immanente verso il trascendente, che porta il Cielo sulla Terra, che vuole inclinare l’asse orizzontale della storia umana verso quello verticale della storia di Dio; che scrive sull’ascissa parole che trovano senso solo sull’ordinata. Uomo non di altri tempi ma di un altro mondo, quello paradisiaco. È come noi perché uomo, ma diverso da noi per ufficio, che lo fa diventare santo, non perché "non peccatore", ma perché chi, per chiamata, ha le mani in pasta con il divino non può che essere soffuso di sacralità.
Ma dato che questo pontificato si è distinto per la soppressione del trascendente a favore dell’immanente, della giustizia a favore della giustificazione, del senso ultimo della economia della salvezza a favore del senso primo dei fatti, ecco che il Papa è diventato pop. Sì, popolare e come tale è uno di famiglia a cui puoi dirne quattro. E se sei come noi in tutto e per tutto, non sei altro da noi, non sei differente, non sei da ascoltare con riverenza e dunque scompari. Il Papa oggi, dal punto di vista sociologico, è un fantasma, è irrilevante, non è più un’autorità morale, perché si è omologato alle istanze filantropiche-ambientaliste-pacifiste-inclusive, annacquato in una soluzione incolore fatta di sentimentalismi stereotipati, diluito e disciolto nelle istanze del filosofare contemporaneo che alla fine è solo uno sterile chiacchiericcio mediocre perché appiattito sulle convenzioni sociali. Ed infatti appena il Papa non ha rispettato l’etichetta parlando di “frociaggini”, è arrivato un cameriere qualsiasi, manco un maître, e gli ha ricordato che simile frasario mal si attaglia al ristorante Il Mondo dove lui si ostina a pranzare.
Il Papato per farsi capire dal mondo è diventato come il mondo. Il processo di mimesi si è quasi completato alla perfezione. Inevitabile quindi che un Sommo Pontefice chieda scusa – per poi tornare a parlare di “frociaggine” dopo pochi giorni per far capire che lui non si fa intimidire da nessuno – e chiede scusa perché ha infranto le regole, che non sono quelle di Nostro Signore, ma quelle imposte dal sentito generale, da una coscienza collettiva che è sporca, molto sporca.
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