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RELATIVISMO PERICOLOSO

Se la Consulta dice "nì" alla "doppia madre" è tirannia

Due donne fanno la fecondazione e chiedono a un tribunale di essere riconosciute entrambe come madri "partorienti". I giudici si rivolgono alla Corte Costituzionale che rimanda il tutto al Parlamento affermando che le leggi costituzionali devono essere scavalcate da un’altra fonte normativa: il sentire diffuso, che poi sarà quello discrezionale dei giudici.

Editoriali 29_10_2020

La Corte costituzionale ha detto “Ni” alla doppia omogenitorialità. Ricostruiamo i fatti. Due donne unite civilmente decidono di andare all’estero affinchè una della due si sottoponga alla pratica della fecondazione artificiale eterologa. Il bambino, figlio biologico di una delle due donne, nasce in Italia. L’altra donna - che ormai il linguaggio politicamente corretto chiama in modo risibile “madre intenzionale” - vorrebbe essere riconosciuta anche lei come secondo genitore del bambino, ossia come madre a tutti gli effetti del pargolo. Una sottolineatura: questa madre non intende essere riconosciuta come madre adottiva, esplicate le relative pratiche di adozione, ma come se lei avesse partorito il bambino.

La coppia, esaurito a vuoto l’iter burocratico-amministrativo, si rivolge infine al Tribunale di Venezia che solleva eccezione di incostituzionalità in riferimento alla disciplina normativa prevista dalla legge sulle unioni civili che non equipara i figli delle coppie gay unite civilmente a quelle delle coppie (eterosessuali) sposate, demandando, in buona sostanza, la soluzione dei casi all’inventiva dei giudici. Su altro fronte i giudici veneziani contestano un decreto del presidente della Repubblica riguardante l'ordinamento dello stato civile, il quale non prevede, in accordo a tutto l’assetto normativo del nostro ordinamento giuridico, che un bambino possa avere due madri o due padri. In breve per il nostro ordinamento è esclusa la doppia omogenitorialità, proprio ciò che invece chiede la coppia di donne di cui sopra.

Gli articoli della Costituzione violati dalle citate normative sarebbero il 2, violazione dei diritti fondamentali; il 3 a motivo della «disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale e sul reddito, laddove privilegia chi dispone dei mezzi economici non solo per concepire, ma anche per far nascere il figlio all'estero e richiedere la trascrizione in Italia dell'atto di nascita straniero» (ma anche le coppie omosex che vogliono trascrivere in Italia l’atto di nascita redatto all’estero non trovano di certo la strada spianata per i motivi già esposti); il 30 sulla tutela della filiazione.

Il tutto è quindi stato rimesso nelle mani della Consulta. Questa come ha risposto? Il presidente Mario Morelli ha così dichiarato: «Il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - non risponde a un precetto costituzionale, ma comporta una scelta di così alta discrezionalità da essere per ciò stesso riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività nazionale». Perché «su temi così eticamente sensibili» è di competenza del Parlamento «ponderare gli interessi e i valori in gioco, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico». E poi ha così continuato: «La protezione del miglior interesse del minore in simili situazioni - oggi affidata dalla giurisprudenza all’attuale disciplina sull’adozione in casi particolari - può essere assicurata attraverso varie soluzioni, tutte compatibili con la Costituzione, che spetta sempre al legislatore individuare».

In apertura di articolo abbiamo scritto che la Consulta ha detto “Ni” alla doppia omogenitorialità. Infatti da una parte non ha rigettato il ricorso, dall’altra ha rimandato il tutto al Parlamento. Un mezzo No o un mezzo Sì a seconda di come si vuole guardare la decisione presa dai giudici.

Volendo andare oltre alla questione del rifiuto/accoglimento della eccezione, i punti interessanti della decisione della Consulta sono più di uno. In primis stupisce che la Corte si astenga dal decidere perché la doppia omogenitorialità sarebbe una tematica eticamente sensibile. Ma la Corte quando in passato è intervenuta più volte sulla legge 40 inerente la fecondazione artificiale, sul suicidio assistito lo scorso settembre (sebbene dopo aver invitato il Parlamento a legiferare), sulle convivenze omosessuali, sulla famiglia, sull’aborto - tanto per fare solo alcuni esempi - non si è pronunciata su tematiche sensibili?

Ulteriore rilievo: secondo la Consulta «il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - non risponde a un precetto costituzionale». Ma, al di là di ciò che uno può pensare, questa vicenda non interessa, come minimo, il concetto di famiglia (art 29), i diritti fondamentali (art 2) e il principio di uguaglianza ( art. 3)?

Terza riflessione: nel settembre scorso avevamo criticato alcuni passaggi del neo presidente Morelli durante la presentazione della sua nuova carica ai giornalisti. Allora Morelli aveva affermato che i diritti fondamentali non sono solo quelli scritti nero su bianco nella Costituzione ma anche quelli che, in modo impalpabile, sono presenti nel tessuto sociale, diritti che poi vengono cristallizzati dall’intervento del giudice. Oggi il presidente Morelli, in modo analogo, afferma che per risolvere la controversia in oggetto il Parlamento si deve fare «interprete del sentire della collettività nazionale, […] tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico». Dunque, rimanendo alla lettera di quanto ha detto Morelli, le leggi e le norme costituzionali si trovano scavalcate da un’altra fonte normativa a loro sovraordinata: il sentito diffuso, la coscienza collettiva.

I problemi di questa impostazione, come avevamo già annotato un mese or sono, sono plurimi. In primo luogo è difficile individuare esattamente, tanto da condensarlo in norme, il sentito diffuso, perché questo è multiforme, variopinto, pieno di sfumature. Il risultato finale in realtà sarebbe il seguente: le norme sarebbero lo specchio del sentire del legislatore che avrebbe preso a prestito questa trovata della coscienza collettiva per legittimare condotte che magari la gente ripudia.

Inoltre anche ammesso e non concesso che si riuscisse a distillare il volere dei più, il sentito diffuso è cangiante, mutevole nel tempo. Fatta una legge oggi, domani potrebbe non più rispecchiare la coscienza collettiva. C’è poi da aggiungere che fare affidamento al percepito collettivo è assai rischioso: e se la maggioranza degli italiani si mostrasse favorevole, ad esempio, ad essere indulgente verso le violenze sulle donne e sui bambini? Inoltre, cosa succederebbe se, tastato il polso della penisola, venisse fuori che la maggior parte del popolo italico fosse contrario ad esempio alle unioni civili, all’omogenitorialità? Sarebbe ancora valido il riferimento al sentire collettivo? Non crediamo. E che dire di rispettate l’opinione della massa che vorrebbe meno tasse? Questo sì che è un sentire diffusissimo e certo, eppure…

Dunque non siamo ipocriti: questo metro di giudizio per varare nuove leggi è buono solo quando risponde ai desiderata della tecnocrazia al potere.