San Tommaso teologo di Dante: il creato è segno di Dio
L’importanza di san Tommaso all’interno della Commedia dantesca è grandissima: personaggio del Paradiso insegnerà al poeta ad arrivare a Dio attraverso la realtà. Il peccato non sta nella contemplazione della bellezza delle cose create ma nella separazione del particolare dall’universale.
L’importanza di san Tommaso all’interno della Commedia dantesca è grandissima: la sua filosofia è senz’altro alla base della formazione del poeta, il sistema morale del Purgatorio ripartito nell’amore che pecca «per malo obbietto», «per poco vigore» o «per troppo vigore» proviene dal tomismo, spesso il poeta fa riferimento al pensiero del filosofo nelle sue riflessioni, basti pensare alla conclusione del canto I del Paradiso in cui Beatrice spiega che tutta la realtà è ordinata e tende a Dio.
Maggiore filosofo cristiano del Medioevo, nato a Roccasecca nel 1226 (l’anno della morte di san Francesco), san Tommaso d’Aquino studiò a Parigi e a Colonia, entrò nell’ordine dei Domenicani, insegnò alle università di Parigi e di Napoli. Venne definito Doctor angelicus. Fu autore, tra le altre opere, della Summa theologiae e della Summa contra gentiles. Morì nel 1274.
San Tommaso è personaggio del Paradiso che parla con Dante, si intrattiene in conversazione per un intero canto e presenta addirittura altri santi. Quindi, se era silenzioso in vita, diviene, invece, nel terzo regno molto loquace. Salito al quarto Cielo, il Sole, dove sono collocati gli spiriti sapienti, Dante non riesce a descrivere le anime, per quanto possa fare appello al suo talento. Il poeta vede una prima corona circolare, composta da anime sfavillanti, che intonano un canto dolcissimo, che girano per tre volte intorno a loro e che si fermano, infine, conservando la figura che avevano descritto. Dante è preso dal desiderio di conoscere l’identità delle anime che adornano la bella ghirlanda di luci che gli è apparsa innanzi.
Mosso da carità, un beato vuole rispondere alla domanda del poeta. Si presenta dichiarando prima la propria appartenenza all’ordine di san Domenico di Guzman, nel quale «ben s’impingua se non si vaneggia», (ovvero «ci si arricchisce di beni spirituali se non ci si allontana dalla regola impartita»), ed esplicitando poi la propria identità: è san Tommaso d’Aquino. Al suo fianco si trova un altro domenicano: Alberto di Colonia.
La filosofia tomista, fondamentale per la formulazione dell’estetica medioevale, permea l’intera Commedia. San Tommaso (1225-1274) afferma che
veramente il bello e il buono nel soggetto in cui esistono si identificano, perché fondati tutti e due sulla medesima cosa, cioè sulla forma; e per questo il bene viene lodato come bellezza. Ma nel loro concetto proprio differiscono. Il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l’appetire è come muoversi verso qualcosa. Il bello, invece, riguarda la facoltà conoscitiva; belle, infatti, son dette quelle cose che viste destano piacere.
Il bello è una caratteristica dell’essere, assieme al vero e al bene, ma mentre il «vero dice relazione alla conoscenza, il bene relazione alla tendenza, il bello a tutte e due». E ancora:
il bello consiste nella debita proporzione; poiché i nostri sensi si dilettano nelle cose ben proporzionate, come in qualche cosa di simile a loro; il senso infatti come ogni altra facoltà conoscitiva ha una sua ratio […]. Per la bellezza si richiedono tre doti. In primo luogo integrità e perfezione: poiché le cose incomplete, proprio in quanto tali, sono deformi. Quindi debita proporzione o armonia (tra le parti). Finalmente chiarezza e splendore: difatti diciamo belle le cose dai colori nitidi e splendenti.
Il bello è evidente, luminoso, trasparente nella forma, per cui si può percepire con facilità senza il procedimento analitico tipico della scienza. È dotato anche di integrità, ovvero la compiutezza in tutte le sue parti permette di cogliere la forma dell’oggetto:
mentre in un oggetto naturale la mutilazione è sempre brutta, in un’opera d’arte può anche non esser tale.
Infine, fondamentale per la bellezza di un’opera è la proporzione delle parti, che determina l’armonia nel suo insieme. Per san Tommaso si rimane affascinati e avvinti nella contemplazione della bellezza, ancor prima di conoscerla. Questa attrattiva diventa strumento di conoscenza, perché ci sprona ad una intelligenza del reale, cioè ad una «lettura in profondità» (il termine «intelligenza» deriva per l’appunto da intus legere). Il piacere estetico deriva dalla contemplazione dell’oggetto bello: è un piacere disinteressato, che non mira al possesso. Il bello desta una potente attrazione proprio perché richiama alla verità e alla bontà dell’Essere. È diabolico fermarsi solo al piacere che il bello produce senza metterlo in relazione con l’Essere di cui l’oggetto o la persona bella è riverbero. Il diabolico consiste, infatti, nella separazione del particolare dal significato, dall’universale.
San Tommaso arriva ad affermare che, in realtà, ogni ente è dotato delle prerogative del bello e ha, perciò, una sua intrinseca bellezza, anche se non sempre noi riusciamo a coglierla. Qualcosa di simile afferma Dante nel I canto del Paradiso, quando scrive che
[…] Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine:
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
Bellissima affermazione è contenuta in queste parole: l’uomo è l’unica creatura che sa cogliere in tutte le cose l’impronta di Dio, ovvero la bellezza. Parole che, a chi volesse ben intenderle, hanno anche il sapore di aspro rimprovero nei confronti di chi non cogliesse la bellezza della realtà: è uomo solo chi sa intravederla, anche se pur in controluce. Anche per Dante, quindi, se le cose hanno un ordine e tendono al bene, allora tutte quante portano impresso, in maniera più o meno evidente, un riflesso della bellezza del Creatore. Come tutta la realtà porta impresso il sigillo di Dio, così anche tutta l’arte, non solo quella cristiana, è, in un certo modo, riverbero dell’Essere e ha in sé semi di verità, in altre parole, i semi del Logos per usare un’immagine del filosofo cristiano Giustino.