Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’insegnamento

San Leopoldo Mandić e l’importanza della Confessione

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Tra i grandi “dispensatori” della Misericordia di Dio, san Leopoldo passava anche 15 ore al giorno nella sua celletta-confessionale per impartire il sacramento della Riconciliazione. Insisteva sulla brevità e sul non rovinare con le spiegazioni «ciò che il Signore opera» nelle anime dei penitenti.

Ecclesia 12_05_2023

Un padre abbraccia il figlio in un momento carico di tenerezza. I due personaggi dipinti così sulla tela commuovono lo spettatore per questo loro nuovo incontro: il figlio, in ginocchio, ritratto simbolicamente calvo (così come è calva la testa di un bambino) chiede perdono; il padre, austero e allo stesso tempo dolce, si china sul figlio, in un abbraccio di amore e misericordia. È questa la famosa scena ritratta dal pittore olandese Rembrandt: l’opera in questione ha per titolo Ritorno del figliol prodigo, databile al 1668 circa e conservata al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. Le figure si ispirano alla parabola dell’evangelista Luca (15,11-32). L’opera è anche conosciuta come Parabola del Padre misericordioso: nelle immagini dipinte da Rembrandt, in fondo, non è poi così difficile ritrovare l’immagine di Dio Padre che si china davanti al proprio figlio - a ciascun figlio - che dimostra pentimento per i propri peccati, in ginocchio.

È il sacramento della Confessione o della Riconciliazione o ancora della Penitenza, della Conversione: questi i nomi attribuiti dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che riguardo a questo fondamentale sacramento nella vita di ogni cristiano scrive: «Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1422).

Sempre nelle pagine del Catechismo troviamo altre parole che riescono, con semplicità ed efficacia, a farci comprendere quanto l’atto del pentimento dei propri peccati davanti a un ministro di Dio sia davvero importante per la vita di ogni cristiano in cammino. Al numero 1423 leggiamo: «È chiamato sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato. È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore».

Aggiunge il Catechismo al n. 1424: «È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una “confessione”, riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore. È chiamato sacramento del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente “il perdono e la pace”. È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia [...]».

Uno dei più grandi “dispensatori” della Misericordia di Dio è stato, senza dubbio, san Leopoldo Mandić (12 maggio 1866 - 30 luglio 1942) del quale oggi ricorre la memoria liturgica. La sua celletta-confessionale presso il convento dei Frati minori cappuccini di Padova si potrebbe definire un “monumento della Riconciliazione”: una piccolissima stanza con poche cose, quelle indispensabili, segni di una vita essenziale, profondamente radicata nella povertà francescana. Ancora oggi, quella celletta è lì, rimasta indenne dai bombardamenti del maggio 1944. Gli oggetti parlano di lui: un inginocchiatoio; un crocifisso; un’immagine della Vergine Maria; la stola; la sedia e il letto dove riposava, quando possibile. Padre Leopoldo stava lì, in questo luogo di pochi metri quadrati, nella sua cella-confessionale, anche 15 ore al giorno, senza sosta: instancabile nell’ascolto, nell’esortazione, nel dialogo e nell’impartire il Sacramento.

«Non roviniamo con le nostre spiegazioni ciò che il Signore opera», così amava dire san Leopoldo. In questa frase è racchiuso il segreto delle sue confessioni: lasciar parlare Dio e basta e, si sa, che il Signore molto spesso opera nel silenzio, con poche e nette parole che risuonano forti nell’animo. Una piccola frase, a volte una parola sola e nell’animo si apre un mondo: così era per il penitente davanti a san Leopoldo. Su questo punto - quello della brevità nella confessione - il santo frate cappuccino ha creduto fortemente, sempre. A confermarlo, ci sono molte testimonianze di quanti si sono confessati da lui.

In una lettera indirizzata a un sacerdote, san Leopoldo scriveva: «Vede, noi, nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio, Dio solo che opera nelle anime! Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della loro salvezza e santificazione». Sono queste parole a fornirci il ritratto dell’umiltà del frate cappuccino: la consapevolezza di essere strumento di Dio e nulla più. Sono semplici parole che nascondono però un’alta teologia della confessione e, in fondo, dello stesso ministero sacerdotale: basti pensare a quel «non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime». In questa frase vive tutta l’apertura del confessore-ministro di Dio all’ascolto dell’altro, di chi gli sta di fronte; un ascolto che diviene compenetrazione dell’anima e della personalità del peccatore che si è recato al confessionale.

San Leopoldo Mandić aveva proprio questo carisma: quello di poter entrare nel cuore dell’altro, di leggere il suo animo, per poterlo mettere a suo agio per confessare i suoi peccati. È la sublime ispirazione divina dei semplici che respira nella mente e nel cuore del santo cappuccino vissuto e morto a Padova.

E, certamente, quando si pensa a Padova le immagini s’incrociano con quelle di un altro santo, o meglio il Santo, così è conosciuto sant’Antonio di Padova da tutti i padovani. Rimane affascinante fare riferimento a una speciale convergenza fra i due proprio riguardo al sacramento della Confessione. Anche se tale tema meriterebbe un capitolo a parte, per averne giusto un’idea è necessario citare ciò che si trova scritto nella Vita prima di S. Antonio o Assidua del 1232 circa: «Reca certo meraviglia che [Antonio], afflitto com’era e travagliato da continua infermità, tuttavia, per lo zelo instancabile delle anime, egli perseverasse nel predicare, nell’insegnare e nell’ascoltare le confessioni fino al tramonto del sole, e molto spesso digiuno». In quest’immagine sembra di rivedere san Leopoldo: la santità s’incrocia nel sacramento della Confessione in una linea retta e infinita che non ha confini dettati dal tempo. «Padre, c’è stata qualche cosa che vi ha procurato tanto dispiacere?». A questa domanda, san Leopoldo rispose: «Oh! Sì, purtroppo sì. Quando ero giovane, nei primi anni di sacerdozio, ho negato tre o quattro volte l’assoluzione». In questa risposta tutto il senso di una vita offerta al Signore Misericordioso.