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VATICANO

Rimozioni e promozioni, il Papa non può agire da sovrano assoluto

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Il siluramento di mons. Rey e la nomina di suor Brambilla a prefetto da parte di papa Francesco violano le norme della Chiesa ed esigono che vengano ribaditi natura e limiti della potestà papale. Perché la Chiesa è affidata al primato, non al capriccio di Pietro.

Editoriali 09_01_2025 English Español
La Presse (AP Photo/Gregorio Borgia)

Il Papa «in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente» (Codice di Diritto Canonico, can. 331). Suprema, plena, immediata e universali: quattro aggettivi che esprimono la fede cattolica relativamente al potere trasmesso al successore dell'apostolo Pietro, Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale. Nessun abuso eventualmente commesso da chi è stato scelto ad esercitare il primato petrino può portare a sacrificare, nella teoria o nei fatti, questa verità di fede.

Bisogna però guardarsi dall'intendere questa potestà secondo i canoni dell'assolutismo o addirittura del dispotismo, quasi che si tratti di un potere illimitato. L'autorità del Sommo Pontefice è realmente piena e suprema perché fondata da Cristo ed esercitata come vicario di Cristo; il che significa che la plenitudo potestatis è per definizione limitata, purché la si intenda come una limitazione non dal basso ma dall'alto. Il Papa è più di tutti colui che deve stare lontano da ogni arbitrio, da ogni capriccio, per essere pienamente disponibile ad esercitare la funzione di vicario di Cristo, e non di servo del proprio personale sentire o delle logiche deviate di questo mondo. Egli è dunque il più vincolato di tutti a quanto proviene dalla volontà divina: il diritto divino naturale, il diritto divino positivo, la costituzione divina della Chiesa, la salvezza delle anime.

Il potere del Papa ha dei limiti: di fronte a questa verità si infrangono sia le deliranti onde assolutistiche, che concepiscono l'autorità sciolta da ogni norma superiore, sia quel relativismo e democraticismo che vede nell'autorità del Papa l'esecuzione e la rappresentanza di una vaga sovranità popolare. Ma è chiaro che di fronte alle nuove decisioni di Papa Francesco risulti maggiormente urgente ribadire il primo corno del dilemma ed in particolare che il Papa può agire contra legem (umana), ma non contra iustitiam. Il riferimento è in particolare alla nomina di suor Simona Brambilla a Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita apostolica e alla “rimozione” di mons. Dominique Rey, vescovo della diocesi di Fréjus-Toulon.

Era già stato stabilito dalla Costituzione Apostolica Prædicate Evangelium che «qualunque fedele» possa «presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi» (II. 5). Il cardinale Ghirlanda aveva giustificato la novità, spiegando che la presidenza di un organismo curiale dipendeva direttamente dalla potestà conferita dal Sommo Pontefice, a prescindere dall'aver ricevuto gli ordini sacri. Nella nomina del nuovo Prefetto, la potestas regimini appare come del tutto indipendente dal sacramento dell'ordine, segno che quella linea che il cardinale Ghirlanda ha maturato fin dalla sua tesi dottorale, si è ora imposta durante questo pontificato.
Il punto in questione è importante. Potestà d'ordine e potestà di giurisdizione sono effettivamente distinte: la prima è conferita sacramentalmente per compiere atti sacramentali e non può essere revocata (sebbene possa essere limitata); la seconda è conferita dalla Chiesa per via non sacramentale per compiere atti di governo e può essere revocata. Né è un mistero che alcuni laici che ne hanno ricevuto la facoltà possano compiere alcuni atti di governo, come quelli giudiziali.

Tuttavia, il can. 129 § 1 continua ad affermare che sono «abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell'ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto».  In una risposta dell'8 febbraio 1977, la Congregazione per la Dottrina della fede precisava che «dogmaticamente, i laici sono esclusi soltanto dagli uffici intrinsecamente gerarchici, la cui capacità è legata alla recezione del sacramento dell’Ordine». Il che significa che l'attribuzione di alcuni uffici gerarchici a dei laici comporterebbe una contraddizione della struttura gerarchica della Chiesa, dal momento che essi scaturiscono proprio dalla struttura gerachica della Chiesa, voluta dal Signore stesso. La risposta aggiungeva che la determinazione di quali fossero questi uffici «spetta agli organismi istituiti “ad hoc” dalla Santa Sede» e raccomandava altresì «la massima cautela per evitare che si crei un ministero pastorale laico in concorrenza con il ministero dei chierici». Va da sé che tale determinazione non sia un atto arbitrario, ma l'esito di un opportuno approfondimento teologico.

È lecito domandare quali di questi «istituti ad hoc» abbia identificato tali uffici intrinsecamente gerarchici e mediante quale documento siano stati resi noti. Parimenti è lecito chiedere se la nomina di una suora a Prefetto di un importante Dicastero, come anche le nomine di laiche a delegate episcopali, che di fatto esercitano tutti i poteri di un vicario episcopale (vedi qui), non abbiano già non solo raggiunto ma anche abbondantemente oltrepassato il confine della concorrenza con il ministero dei chierici, dal momento che non si comprende quale irrisolvibile e grave necessità abbia potuto spingere il Papa alla nomina di una “suora prefetto”, se non quella di ossequiare l'ideologia della ministerialità e del “femminismo cattolico”.

Non meno perplessi lascia la forzatura delle dimissioni di un vescovo, mons. Dominique Rey, che suona a tutti gli effetti come l'ennesima rimozione ingiustificata (per una lista non esaustiva, vedi qui). Mons. Rey, dopo aver visto congelata la propria autorità e persino le ordinazioni sacerdotali e diaconali nella propria diocesi, ha preferito acconsentire alle richieste di dimissioni che Papa Francesco, tramite il Nunzio, ha sollecitato, differenziando così la propria situazione da quella di mons. Joseph Strickland, il quale invece rifiutò di presentare le dimissioni e costrinse Francesco ad una ingiusta rimozione. È probabile che il vescovo francese abbia voluto evitare più gravi ritorsioni sulla diocesi di Fréjus-Toulon e sul suo clero; un eventuale rifiuto di Rey, forse auspicabile, avrebbe molto probabilmente portato il Papa a commettere un nuovo abuso della propria autorità (vedi qui), autorità utilizzata per commettere un'ingiustizia.

E qui torniamo al punto di partenza: il Papa non può fare quello che vuole, non può agire contro il bene comune, non può distruggere la Chiesa, non può agire contro giustizia. Che nessuno nella Chiesa abbia il potere per giudicare il Papa regnante, non significa che non si possa e non si debba esprimere un giudizio sul suo operato, ed eventualmente anche resistergli, qualora esso contraddica le disposizioni divine. Così come è lecito e doveroso che quanti condividono con lui il governo della Chiesa lo correggano e lo ammoniscano. Potrebbe scoraggiare il fatto che la Chiesa non ha strumenti per rimuovere e punire il Papa, ma occorre sempre ricordare che la realtà della Chiesa è del tutto incomprensibile al di fuori di una prospettiva di fede, quella fede che portava san Tommaso ad indicare il ricorso a Dio come efficace risoluzione di quelle situazioni in cui non è possibile appellarsi ad un superiore: «se non c'è un superiore, ricorra a Dio che lo corregga o lo tolga di mezzo» (Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, IV, d. 19, q. 2, a. 2, qc. 3, ad 2).



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