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clericalizzazione dei laici

Gerarchie sinodali, in Brabante comanda la delegata Rebecca

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Un vicariato affidato a una laica che per decreto (suo) pretende di essere nominata nella preghiera eucaristica, subito dopo il Papa e il vescovo. Accade nell'arcidiocesi di Bruxelles, dove la sinodalità stravolge la struttura gerarchica della Chiesa.

Ecclesia 20_12_2024

Il nome della delegata episcopale Rebecca nella Preghiera eucaristica. È questa la trovata del vicariato di Brabante-Vallone (arcidiocesi di Malines-Bruxelles), per volontà della stessa delegata, Rebecca Charlier-Alsberge, nominata un anno fa da mons. Luc Terlinden. Con un decreto del 6 novembre, la delegata episcopale ha deciso che, durante la celebrazione eucaristica, potrà prendere la parola per tre volte: dopo il saluto liturgico iniziale, prima della benedizione finale e dopo il Vangelo, per «far risuonare la parola di Dio»; la delegata sarà inoltre a fianco del celebrante nella processione d'ingresso ed in quella d'uscita, associandosi ai “saluti” che il celebrante rivolgerà ai fedeli, da lui riceverà direttamente il segno di pace verrà nominata nel canone della Messa, subito dopo la menzione dell'ordinario.

La notizia non fa altro che mostrare la distorsione che il paradigma della sinodalità sta dando alla struttura gerarchica della Chiesa. Perché, dopo che dei laici partecipano con diritto di voto ad un Sinodo di vescovi, non sorprende che la signora Rebecca sia stata chiamata ad esercitare il potere di governo nella Chiesa, sebbene su potestà delegata del vescovo. Già, perché per gabbare il Diritto Canonico, che, nel rispetto della costituzione gerarchico-sacramentale della Chiesa, prevede vicari episcopali che siano almeno sacerdoti (cf. can. 478 § 1), i quali hanno potestà ordinaria che esercitano secondo la determinazione che viene loro conferita (vicario per la Vita consacrata, per la carità, per la famiglia, etc.), si sono moltiplicati i delegati episcopali, i quali di fatto fanno tutto quello che dovrebbero fare i vicari, incluso l'entrare a far parte del Consiglio episcopale, senza però essere ordinati.

Ci troviamo di fonte dunque, a conti fatti, ad un esercizio del potere di governo da parte dei laici, e dunque, per ovvia par condicio, anche delle laiche. Tant'è che, nel caso in questione, la signora Charlier-Alsberge ha ricevuto la nomina di delegata per il vicariato  di Brabante-Vallone dopo che il vicario episcopale, il vescovo ausiliare mons. Jean-Luc Hudsyn, è divenuto emerito, il 31 dicembre 2023. Si tratta di una “successione” che porta la signora in questione ad esercitare l'autorità di un vicario episcopale, sebbene ella figuri con il titolo di delegata “per il Canon che nol consente”. Lo stesso avvenne per la signora Marianne Pohl-Henzen, nominata nel maggio 2020 dal vescovo di Friburgo, mons. Charles Morerod, delegata episcopale per i cattolici di lingua tedesca della diocesi, sostituendo il vicario episcopale, padre Pascal Marquard. Si moltiplicano così laici e laiche che si trovano ad avere autorità sui parroci, loro sottoposti...

Un altro modo per gabbare il Diritto Canonico è quello di trasformare l'omelia in una “risonanza della parola di Dio”. Perché anche qui la legge della Chiesa è chiara: «l'omelia […] è riservata al sacerdote o al diacono» (Can. 767 § 1), in ragione della dipendenza del ministero della predicazione e dell'insegnamento dagli Ordini sacri. Dunque, la signora delegata non ha alcuna autorità per prendere la parola dopo il Vangelo, dal momento che il commento autorevole alla parola di Dio nella liturgia spetta al ministro ordinato. Quanto alla “risonanza”, non è prevista dall'ordinamento liturgico.

Che dire poi dell'inserimento del suo nome nel canone della Messa? Fin dai primi secoli, il Canone romano prevede che nella prima parte (Te igitur) si preghi per la Chiesa, perché riceva pace e protezione e sia raccolta nell'unità e governata su tutta la terra «con il tuo servo [una cum] il nostro papa N., il nostro vescovo N., e con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli apostoli». Questa menzione avveniva in tutte le chiese d'Occidente e l'esclusione esplicita della menzione del papa nell'una cum era ritenuto un segno di scisma, come ricorda I. Schuster, richiamando l'ammonimento di papa Pelagio I nei confronti dei vescovi della Tuscia: «Come fate a ritenere di non essere separati dalla comunione cattolica, dal momento che rifiutate di menzionare il mio nome duranti i santi misteri, com'è consuetudine fare?» (in Liber Sacramentorum, II, p. 64). Non si tratta dunque di pregare per il papa, il vescovo o altre persone, ma di esprimere la comunione gerarchica con i legittimi successori degli Apostoli, come d'altra parte è facile comprendere osservando la struttura sintattica del passo in questione.

Ad ulteriore conferma che questo sia il significato dell'una cum, occorre notare che il Te igitur era riservato al celebrante, e dunque chiaramente distinto dai successivi dittici, che erano invece pregati dal diacono, nei quali si prega per gli offerenti, nominandoli. Quanto all'inclusione di «tutti quelli che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli apostoli», che risale ad un'epoca successiva, essa riguarda ancora un volta i soli vescovi. Non si tratta dunque di pregare per il papa o per il vescovo, ma di esprimere la propria sottomissione alla legittima gerarchia, che costitutivamente richiede l'Ordine sacro.

La signora Rebecca – non ce ne voglia – è pertanto un'intrusa sotto tutti i punti di vista, perché essa non ha ricevuto né può ricevere gli Ordini sacri, e l'autorità (problematica) che essa esercita non è affatto ordinaria, come quella di un vescovo, ma semplicemente delegata. In nessun modo può dunque pretendere che i sacerdoti menzionino il suo nome della Preghiera eucaristica, non avendo ella alcuna potestà ordinaria. La decisione della signora Charlier-Alsberge, evidentemente condivisa dal suo vescovo, costituisce a tutti gli effetti un attentato alla costituzione gerarchica della Chiesa. I dicasteri competenti dovrebbero intervenire tempestivamente; ma è noto che di questi tempi abbiano altre priorità.



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